Hello World.
Letteralmente: Ciao, mondo.
Con queste due parole inizia ogni viaggio nella programmazione.
E con due parole inizia anche quello dei Pinguini Tattici Nucleari negli stadi italiani.
Ma oggi a Napoli, quel “Hello World” suona più come un invito:
mettetevi scomodi, lasciate fuori l’algoritmo e godetevi l’ultima grande notte musicale di questa estate.
Allo Stadio Diego Armando Maradona è andata in scena l’ultima data estiva dei Pinguini. E io ero lì per raccontarvela.
Se non ci conosciamo: sono Corrado Parlati, e questo è MentiSommerse.it – un magazine ribelle, un rifugio narrativo dove vi racconto le storie più belle, soprattutto quando la musica si fa specchio dell’anima.
IL RACCONTO DEL CONCERTO
Ore 21:07.
Le luci si abbassano. Parte un countdown di 60 secondi. Poi esplode la festa: Hello World.
E da quel momento in poi, è come se tutto il Maradona si accendesse.
Il secondo brano in scaletta, “Giovani Wannabe”, non è solo un brano da urlare a squarciagola.
È un manifesto. Perché essere giovani oggi vuol dire spesso sentirsi fuori posto.
Sempre a un passo da qualcosa, ma mai davvero dentro. Mai davvero pronti a quel qualcosa.
È così che il brano rappresenta una generazione che non chiede certezze, ma almeno la possibilità di provarci. Di dire: voglio esserci. Voglio contare. Anche se ancora non so come.
Al Maradona, Riccardo Zanotti e compagni portano il vino e un po’ di nostalgia, facendo continui salti lungo la timeline della loro storia artistica, mescolando i brani di “Hello World” a quelli che, nel tempo, li hanno resi la band più amata della loro generazione.
Perché quelle dei Pinguini Tattici Nucleari sono canzoni in cui è facile ritrovare parti del proprio percorso esistenziale, e questo senso d’identità esplode tutto fin dalle prime canzoni in scaletta: il pubblico canta forte ogni singola parola di ogni brano, esattamente come accaduto un anno fa, quando la band di Bergamo si è esibita a pochi chilometri dal Maradona, in due date sold out al Palapartenope.
Un legame raro, soprattutto in tempi in cui una hit dura quanto un trend su TikTok.
A legare i diversi momenti dello spettacolo c’è una voce narrante fuori dagli schemi: quella dell’intelligenza artificiale.
Distaccata, quasi algida, in contrapposizione con il mood della serata, eppure stranamente adatta a raccontare la poetica binaria di “Hello World”.
È l’IA che dice le verità scomode. Quella che non ha emozioni, ma che proprio per questo riesce a farcele sentire meglio.
Poi succede qualcosa.
Sulle note di “Bottiglie vuote” lo stadio esplode: sale sul palco Max Pezzali, accolto da un boato nello stadio in cui sarà protagonista con un concerto che celebrera “Gli anni d’oro” il prossimo anno.
E in un attimo si uniscono due mondi. Due generazioni.
Pezzali e Zanotti si guardano e si riconoscono: entrambi hanno cantato con occhi lucidi e poetici i sogni e le paure della provincia.
“Bergamo” è dedicata a tutte le case – anche quelle distrutte – con un pensiero a Gaza.
Durante “Hold On”, il rito: una persona scelta dal pubblico viene tatuata dal vivo sul palco. Un gesto che supera lo spettacolo e diventa memoria incisa nella pelle.
E poi c’è la band: Elio Biffi, Nicola Buttafuoco, Matteo Locati, Simone Pagani, Lorenzo Pasini. Ognuno trova il suo spazio strumentale e narrativo, introduce un pezzo, ne racconta la genesi.
In un’epoca di frontman assoluti, in cui le band, fatte le dovute eccezioni, sono relegate a un ruolo marginale, i Pinguini restano collettivo. E questo fa tutta la differenza.
A metà spettacolo, Nicola Buttafuoco si mette nei panni del deejay e rende il Maradona una grande discoteca a cielo aperto con un medley che riporta tutti alle origini, al vero “Hello World” dei Pinguini Tattici Nucleari, unendo in un mega mix dalle sonorità anni ‘90 brani come “Your dog”, “Scooby Doo”, “Tetris” e “Burn out”.
E infine, il commiato. Dopo un’altra carrellata di canzoni iconiche, Zanotti prende fiato, guarda lo stadio e canta “Pastello Bianco”.
L’ultimo ritornello, stavolta, è in napoletano.
Un tributo alla città, al pubblico, alla vita.
Un momento sospeso, che sa di poesia metropolitana.
E allora sì: Hello World, ma detto con l’anima.
Non è solo il saluto della programmazione o l’apertura di un tour.
È la chiamata a raccolta di una generazione che ha scritto insieme alla band il proprio codice esistenziale, nota dopo nota, sogno dopo sogno, attimo dopo attimo.
E se davvero esistono momenti in cui tramite la musica ci si sente parte di qualcosa di più grande, di una grande famiglia, questa – al Maradona – è stata una di quelle.
Perché tutti, ieri sera, ci siamo resi conto di essere “Giovani Wannabe”, figli dei fiori del male, guerre lontane, sopravvissuti anche alla fine della storia, che sul viso portano il proprio passato come Dorian.