Ci sono artisti che salgono sul palco. E poi ci sono quelli che il palco lo trasformano in un laboratorio permanente di futuro.

Maurizio Capone è uno di questi. Da 25 anni guida i BungtBangt, pionieri della musica ecologica e dell’attivismo sonoro. Ma la sua storia parte da molto più lontano: da una scatola elettronica costruita con le sue mani, da un asilo occupato sul Petraio, dalle bambole fatte di stracci cucite da sua nonna. Non è solo una questione di musica. È una visione. Una pratica che tiene insieme teatro, strumenti riciclati, memoria urbana, militanza ecologista e cura delle relazioni.

Nel suo percorso si intrecciano blues metropolitani, tamburi nati dai rifiuti e manifesti utopici come il Musicalismo, che oggi suona più attuale che mai.

Oggi ho avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con lui.

25 anni di Capone e BungtBangt: l’intervista

25 anni di BungtBangt. Un traguardo che è molto più di una ricorrenza musicale: è un’idea di mondo che resiste, che evolve. Ma partiamo da dove tutto è cominciato. Sul tuo sito si legge “Se a 6 anni la befana non gli avesse portato la batteria, non avrebbe mai svegliato i vicini in piena notte!”. Ricordi com’è andata la prima volta che sei salito su un palco?

La primissima volta fu alle scuole medie, avevamo un gruppo che si chiamava Utopia formato con un compagno di classe ed altri giovanissimi musicisti tra cui Roberto Ferrante diventato poi a sua volta un importante produttore dance pop della musica italiana. Il concerto lo facemmo in un teatro che si trovava nella discesa di Marechiaro, a Napoli, gestito dai preti. Se non ricordo male suonavo i bonghetti, e forse anche un aggeggio elettronico autocostruito, una scatola di legno che generava degli LFO, cioè dei frequenze sonore che regolavo con dei potenziometri, come un sintetizzatore molto, molto rudimentale…diciamo preistorico. Ma la musica che facevamo non mi coinvolgeva più di tanto e la collaborazione durò veramente poco, anche perchè subito dopo entrai nel vero mondo underground e un anno dopo feci il mio primo vero concerto in un asilo occupato sulle scale del Petraio, che è una cosa che ogni volta che la racconto mi fa ridere perchè penso ai bambini di un asilo che occupano la scuola! In realtà furono i genitori ad occuparla, era il 1977 ed i movimenti politici e popolari erano molto attivi, quello era il mondo che avrei continuato a frequentare contribuendo artisticamente a farlo crescere.

In un’epoca di greenwashing e slogan facili, Come Suona il Caos continua a praticare una sostenibilità reale, radicata nelle persone e nei territori. Quanto è difficile, oggi, restare fedeli a un’utopia che fa i conti con la realtà?

Penso che se ho resistito fin qui difficilmente cambierò rotta. Può sempre capitare di dover fare scelte difficili, ma ad un certo punto, quando ne hai fatte tante, diventa più semplice perché non vendi la tua coerenza per un pugno di mosche.

Io per Come suona il Caos ho creato un consiglio scientifico di prima qualità, Greenpeace, Legambiente, Mare Vivo, formato da esperti, biologi, zoologi ed attivisti che sono proprio quelli che Lorenzo ha chiamato “econazisti” offendendo un’intera generazione di giovani che lottano per la tutela del loro ambiente, perchè sono loro che dobbiamo rispettare visto quello che gli stiamo lasciando.

Quando progetto cosa faremo al festival, seguo le mie idee, i miei desideri, le mie visioni ma poi chiamo chi ne sa più di me e chiedo se sono valide, non vado dritto per la mia strada.

Ad esempio nell’edizione 2023 volevamo fare una pulizia della spiaggia di Bagnoli per raccogliere rifiuti da trasformare in strumenti durante il mio workshop, un’idea sicuramente nobile, educativa e senz’altro super ecologica, ma fu bocciata dal Coordinamento Italiano Tutela Ambienti Naturali dai Grandi Eventi (C.I.T.A.N.G.E.), che sono gli stessi che aveva espresso seri dubbi sul Beach Party, mi dissero di non fare questa raccolta rifiuti perchè in quel periodo dell’anno c’erano le nidificazioni e le deposizioni di uova delle tartarughe ed anche se nel luogo che avevamo scelto sicuramente nessun animale si sarebbe sognato di nidificare o deporre uova sarebbe stato in ogni caso un cattivo esempio.

Così cambiammo subito direzione e facemmo una altra attività per cercare di soddisfare i più alti standard di rispetto dell’ambiente come dovrebbe fare chi dice di star creando un evento ecologico, non è un gioco!

Credo che questo sia il modo per dare veramente un contributo, per quanto piccolo, all’evoluzione umana ed al rispetto del pianeta, non riempirsi la bocca di parole e poi fregarsene del contenuto e dei risultati delle proprie azioni, perché se no questo è solo greenwashing!

Chiudo dicendo che questa non è utopia, questo è semplicemente un modo naturale di agire seguendo le emozioni e l’amore che ci trasmette la bellissima natura che ci circonda ed anche, non ultimo, il naturale istinto di sopravvivenza di cui pochi parlano ma che visto il degrado dimostra la totale follia dell’uomo sembra faccia di tutto per autodistruggersi.

Hai detto che tutto è cominciato dalle mani di tua nonna, che costruiva bambole con oggetti di scarto. Quanto quel gesto primordiale ha inciso non solo sul tuo percorso creativo, ma anche sul tuo modo di vedere il mondo?

Si è vero, mia nonna aveva la capacità di creare cose belle da materiali di scarto ed io la osservavo e mi divertivo perché lei giocava, c’era tanta leggerezza e fantasia nel fare quello che faceva. Poi sono stato aiutato anche dal fatto che in casa mia, nonostante mio padre vendesse macchine per la lavorazione del legno, non c’erano utensili neanche a pagarli oro. Avevo un martello di mio nonno tutto ammaccato, niente giraviti ne pinze, niente di niente. Ed io invece sono sempre stato interessato alla manualità, mi piaceva costruirmi cose da quello che avevo a portata di mano, ero proprio un bambino selvaggio, con tutti i pro ed i contro. Con questa mancanza di utensili dovetti sviluppare la creatività e quindi utilizzare cose diverse per raggiungere i miei scopi. La mia pinza era uno schiaccianoci, il mio giravite un coltello dalla lama sottile e così attraverso queste trasformazioni è entrato nel mio dna lo sguardo alternativo, la capacità di guardare le cose da un altro punto di vista, cercando le caratteristiche che mi interessavano a prescindere dall’utilizzo ufficiale di quello oggetto. Che poi è esattamente quello che faccio quando creo uno strumento.

Aprendo la mente a questo sguardo alternativo credo si sia sviluppata anche la capacità di osservare la nostra società con questa tecnica. Osservarne le contraddizioni e sopratutto non fidarmi ciecamente di quello che viene detto, dei luoghi comuni, delle etichette.

Non ho nessun preconcetto verso le persone, sulla loro provenienza, sul loro ceto sociale, sul loro stato economico. Mi interessano tutti e con tutti ho delle relazioni. Questo mi ha fornito un grande bagaglio umano, perché chi ha paura dell’altro perde la grande occasione di scoprire mondi diversi, si diventa migliori e sopratutto più capaci di vivere la vita. Questo è un tema in genere poco sottolineato, non è un discorso moralistico, riuscire ad avere relazioni con tutti dai detenuti ai presidenti della repubblica vuol dire essere capace di saper scegliere che strada seguire nei momenti difficili, ti può anche salvare la vita!

Ho fatto attività nelle zone più a rischio di Napoli e del mondo ed ho sempre ricevuto un rispetto non reverenziale, ma emotivo, più di vicinanza perché è quello che amo, la vicinanza anche quando le differenze sono tante. Un detenuto è in carcere per un motivo, sta scontando una pena ma questo non ci vieta di costruire una relazione, di avere rispetto per la persona. Poi lui resta un detenuto, forse un criminale, ed io un musicista ma nel momento del contatto siamo duem persone e quello che creiamo riguarda solo noi e la nostra emotività. Ho conosciuto tanti detenuti che mi sembrava assurdo stessero in carcere, tanti ragazzi che per un errore di una volta sono entrati in un luogo che può trasformarli per sempre. Dico sempre che se esistono i carceri è perché qui fuori c’è qualcosa che non va!

“Femmena, vita e libertà” è il titolo del concerto che dedichi alle donne e alla Madre Terra. In che modo la tua musica può diventare amplificatore delle loro voci, e cosa ti hanno restituito queste donne sul palco?

Credo siano più di cinque anni che ho avuto una folgorazione, dopo tante canzoni, tante iniziative ed impegno sul contrasto alle disuguaglianze mi sono reso definitivamente conto che se non risolveremo la madre (e non uso a caso questa parola) di tutte le disuguaglianze non arriveremo mai a risolvere le altr. Sto parlando della discriminazione di genere, quella nei confronti delle donne che viviamo e perpetriamo all’interno delle nostre case, nella nostra società apparentemente evoluta. Non c’è bisogno di guardare all’Iran per rendersi conto che le donne sono discriminate quotidianamente anche in occidente.
Non possiamo fingere di non vedere che i maschi sono dei privilegiati e le donne sempre sotto nel lavoro, in casa, nelle relazioni di coppia con un numero di femminicidi impressionante.

Ecco, una volta resomi conto di questo ho cominciato a ragionare su come avrei potuto stimolare il pubblico su questi temi, come avrei potuto mettermi in gioco per dare spunti agli uomini, da uomo, per avviare un processo di evoluzione che ormai è indispensabile, anche perché c’è un grande cambiamento in atto rispetto alla definizione sessuale che come in tutte le cose dell’universo non è bianca o nera, anzi diciamo pure che il mondo maschile è in grande crisi visto che non accetta il fatto che le donne hanno delle qualità superiori sotto molti aspetti.

Inorridisco a vedere queste riunioni di capi di stato che generano solo guerre e sono quasi tutti maschi, stupidi e presuntuosi, e qualche donna che non fa altro che avallare la loro stupidità ed inchinarsi ancora una volta all’aggressività maschile. Bisogna cambiare!

Quando in Iran è stata uccisa Mahsa Amini il mio cuore è stato inondato di dolore e rabbia che per mia fortuna posso trasformare in musica e così ho deciso di scrivere e dedicarle Capille Luonghe. E’ un brano sentimentale nel quale ho immaginato il suo sogno di poter camminare per strada senza lo hijab con i suoi capelli sciolti e lunghi, mano nella mano al suo ragazzo, o ragazza non fa differenza, senza dover subire violenza gratuita per un gesto di libertà ed amore.
Nella canzone ad un certo punto cito il movimento Donna, Vita e Libertà traducendolo in napoletano così è venuto fuori Femmena, Vita e Libertà.

Per questa canzone e per il mio sostegno alla lotta alle violenze sulle donne l’anno scorso il comune di Napoli mi ha dato una targa visto il bisogno che c’è di uomini che si espongano in modo determinato su questo tema.
Dopo questo riconoscimento mi è venuta l’idea di fare un concerto nel quale la parola fosse affidata alle donne, cioè un concerto dove di donne parlassero direttamente le donne, sono loro le protagoniste e noi siamo la colonna sonora ed anche un simbolo maschile che si fa da parte e diventa funzionale al loro grido.

La restituzione delle nostre ospiti è stata emozionante, sono stato ricambiato con affetto e rispetto per aver creato un happening coerente, non di facciata, dove ogniuna di loro ha scelto in totale libertà cosa dire e cosa donare a noi ed al pubblico.

La cosa di cui vado fiero è che questa formula è stata apprezzata anche da diversi organizzatori e quindi la porteremo su altri palchi in giro per l’Italia.

Iniziative come la jam collettiva con strumenti riciclati o i laboratori per i bambini rifugiati trasformano il pubblico in co-creatore. Qual è, per te, il senso più profondo di questa condivisione creativa e politica?

La mia idea di Musica è sempre molto legata al grande amore che ho per questa forma d’arte ed al fatto che vada molto oltre un semplice gesto artistico. Dentro c’è un atto di autoconoscenza col quale tutti musicisti sono costretti a confrontarsi, bisogna autodisciplinarsi per raggiungere degli obiettivi, bisogna avere coordinazione fisica e quindi conoscenza del proprio corpo, bisogna lasciarsi andare e quindi liberarsi delle insicurezze e tutte queste attività conducono ad un miglioramente della persona. E’ quindi evidente che la Musica è uno strumento di evoluzione, di espressione e di autoconoscenza. Di qui il suo valore educativo che se ben incanalato porta chi si cimenta ad avere soddisfazioni ed anche a credere in se stessi. Suonare, qualunque strumento ma specialmente le percussioni, fa bene sia al corpo che alla mente.

C’è un limite che molto spesso viene dato dagli insegnanti che si prendono troppo sul serio, per carità la Musica è un’attività complessissima e serissima, ma è pur sempre un modo per giocare con se stessi e con gli altri, e questo a volte lo si dimentica.
Quando faccio i miei laboratori, che io chiamo il mio lato B, non mi interessa il risultato ma l’intensità dell’impegno e la gioia nel farlo. La chiave è questa, stimolare i ragazzi a credere in se stessi facendo qualcosa di divertente e condiviso. La Musica non è una competizione e non deve essere un’ansia, deve creare armonia dove non ce ne è. Mi capita spesso di far suonare insieme persone che non lo hanno mai fatto, abbiamo fatto dei grandi concerti collettivi alla Gaiola con i rifiuti ripescati dal mare, invitando chiunque a suonare, una specie di drum circle riciclato. Ed i risultati sono sempre stati splendidi.

Quando si fa Musica ogni barriera cade, le differenze si abbattono e tutti devono necessariamente impegnarsi per trovare un accordo, un equilibrio con gli altri. E’ una disciplina ancora più potente dello sport che comunque è una gara, una competizione, anche se leale, la musica è un’unione un collante tra tutti i partecipanti, include e non gareggia, anzi più si è disponibili, più si ascolta l’altro tanto migliore è l’effetto. Cosa c’è di meglio?

Per quanto riguarda la dimensione politica per me è evidente, è la miglior forma di anarchia, perchè ci sono infinite soluzioni ma devono essere tutte armonizzate tra loro, ognuno può dare il suo contributo liberamente rispettando e collegandosi agli altri…per me questo è il senso dell’anarchia, un caos armonico. un po come sono i napoletani, quelli buoni.

Nel 1985 sei stato uno dei co protagonisti del film Blues Metropolitano di Salvatore Piscicelli con Pino Daniele, Tony Esposito, Peppe Lanzetta, Marina Suma, Ida Di Benedetto, Barbara D’Urso, Tullio De Piscopo, Francesco Paolantoni, Stefano Sarcinelli. C’è un momento particolare di quel periodo che vuoi raccontarci?

Questo è stato il mio ingresso ufficiale nel grande mondo dello spettacolo, avevo 19 anni nel 1983 quando cominciammo le riprese di Blues Metropolitano e fui subito proiettato tra i grandi della musica, nel 1985 andammo da Pino Daniele che decise di produrci e per i successivi tre anni vivemmo a stretto contatto con lui.

I ricordi di quel periodo sono stampati in me perché sono la mia formazione, la mia esplosione e tanto di quello che sono lo devo a quel momento.

Ho tanti ricordi di Pino, anche teneri perchè lui era un grandissimo artista ma anche uno scugnizzo e quando stava con noi che avevamo diversi anni meno di lui, si lasciava andare, ed in particolare con me che ero il più piccolo aveva un rapporto molto affettuoso ed anche goliardico.

Anche tra gli attori di Blues Metropolitano ero il più giovane, restavo molto oltre la fine delle mie riprese per guardare gli altri attori e cogliere le sfumature di un mondo che non conoscevo. Sono rimasto molto legato un po a tutti ma con Peppe Lanzetta, il mio compagno di storia, siamo legatissimi e sto scrivendo le musiche di un suo urban musical che andrà in scena l’anno prossimo.

E’ stato un periodo di grandi sogni, speranze ed anche di una discreta notorietà, posso dire che sono partito col piede giusto!

Hai attraversato musica, teatro, attivismo, artigianato. Ma la tua è soprattutto una visione: la Musicalismo. Cos’è oggi, per te, questo manifesto? E cosa sogni per i prossimi 25 anni di suoni, caos e trasformazioni?

Mi fa molto piacere ricevere questa domanda perchè mi da l’opportunità di parlare di questo manifesto che ha più di quindici anni ma che ogni volta che lo rileggo trovo sempre attuale e molto chiaro nei suoi obiettivi.

Il Musicalismo è nato intorno al 2009, è stato un gesto di creatività politica, una sintesi di quello che secondo me potrebbe essere il punto di contatto tra l’arte ed il suo impiego nel sociale con un passaggio che affronta anche la relazione con le istituzioni, terreno sempre molto delicato e spinoso.

Si compone di quindici punti nei quali vengono dichiarati gli intenti e si definiscono gli obiettivi dell’utilizzo della musica come strumento di evoluzione che va oltre il mero tecnicismo strumentistico.

In effetti questa intervista stessa è intrisa di Musicalismo, mi sembra evidente che per me la Musica è molto di più di una attività di intrattenimento ed in tutti i miei gesti è sempre ben visibile questa idea.

A riguardare il Musicalismo credo proprio che sia quanto mai attuale.

Per quanto riguarda i miei sogni sono abbastanza granitico, desidero avere sempre l’energia per sperimentare senza paura idee nuove che mi proiettino sempre nel futuro.

Se guardo indietro alla mia storia musicale si potrebbe dire che ho sempre camminato un po troppo avanti, quel tanto da non essere del tutto comprensibile alla massa. Questo non è né un pregio né un difetto è solo una caratteristica, e pur pagando il fatto di non essere subito compreso da tutti ho l’onore di essere stato un pioniere e questo è molto stimolante.

Prevedo un periodo molto complesso e travagliato nel quale tutti, compreso gli artisti, dovranno dare il loro contributo a che gli esseri umani intraprendano una strada di pace e di unità che è l’unica che ci permetterà di vivere su questo stupendo pianeta. Il rischio è che la Terra si stanchi della nostra presenza e ci sputi via come si fa con una gomma da masticare. Dobbiamo stare attenti, non siamo per niente indispensabili su questo pianeta.

IL FESTIVAL COME SUONA IL CAOS

Come Suona il Caos non è un semplice festival, ma un’alleanza tra arte, pensiero critico e azione concreta. In un’epoca in cui le parole rischiano di essere più leggere dei coriandoli, Capone & BungtBangt ci ricordano che la musica può (e deve) avere peso, materia, direzione. Che ogni battito, ogni gesto condiviso, ogni oggetto sottratto ai rifiuti e trasformato in suono è un atto politico. È un seme.

Si comincia l’8 giugno ad Afragola, nella Masseria Ferraioli, bene confiscato alla camorra, con la piantumazione di due ulivi e l’apposizione di una targa commemorativa dedicata alla Terra dei Fuochi. Un gesto simbolico, ma carico di radici e memoria.

Il cuore pulsante dell’evento batte poi il 18 giugno a Napoli, nel Cortile delle Carrozze di Palazzo Reale, con un pomeriggio ricco di laboratori, percorsi sensoriali, attività per adulti e bambini, stand di associazioni ambientaliste e una jam session collettiva con strumenti riciclati, che trasformerà il pubblico da spettatore a protagonista.

Alle 21, il concerto “Femmena, Vita e Libertà”, con Capone & BungtBangt, darà voce a donne che lottano per i diritti e per Madre Terra, con performance di artiste e attiviste da Iran, Palestina, Tunisia, Cuba, Venezuela, Napoli e tante altre parti del mondo. Un’esplosione di storie, corpi, parole e suoni. Sul palco anche un live painting dell’artista Trisha Palma e la sfilata delle Action Women, per celebrare l’incontro tra arte, identità e trasformazione.

In un mondo dove la retorica spesso prende il posto dell’impegno, Come Suona il Caos si distingue per coerenza, partecipazione e rigore ecologico, dimostrando che la cultura – quando è fatta bene – può ancora essere un motore di cambiamento reale.

Perché ogni gesto, ogni suono, ogni abbraccio tra sconosciuti può diventare seme.
E tu, che suono hai deciso di portare nel caos?

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