C’è una parola, nel lessico di MILLE, nome d’arte di Elisa Pucci, che non va mai presa alla leggera: ribellione. Ma non quella scenografica, quasi sguaiata, buona per far rumore sui social. Quella di cui parla lei ha a che fare con qualcosa di più intimo e urgente: il coraggio di riconoscere cosa ci fa stare male e la forza, anche quando si vacilla, di restare fedeli a sé stessi.

Nel suo nuovo brano C’est Fantastique, l’urgenza di questo gesto si traduce in una marcia pop-punk a tinte corali, una danza ipnotica tra disincanto e desiderio, sarcasmo e liberazione. È un grido collettivo, ma anche profondamente personale: l’inizio di un nuovo percorso artistico che ha il sapore di una presa di posizione, musicale e politica.

Il disco in arrivo si chiamerà RISORGIMENTO — un titolo che non fa sconti: evoca battaglie, cicatrici, ritorni. Ma più che una riscossa, per MILLE questo progetto è una fotografia emotiva: uno sguardo sul movimento interiore che attraversa le sue canzoni e la sua scrittura, come una corrente elettrica che non si lascia imbrigliare.

Ne abbiamo parlato con lei, tra synth lasciati indietro e chitarre regalate, tra Florence + The Machine e Verdena, tra istinto, fragilità e palcoscenico. Perché, come ci ha raccontato, “non mi interessa sembrare forte. Non è quello che sono”.

Ecco la mia conversazione con MILLE, artista eclettica, ironica, viscerale. Fantastique, sì. Ma anche terribilmente vera.

Se non ci conoscessimo, sono Corrado Parlati e questo è MentiSommerse.it, un magazine ribelle, un rifugio virtuale dove ti racconto le storie più belle legate al mondo della cultura.

C’est fantastique e il RISORGIMENTO nel nuovo album di MILLE

“C’est Fantastique” ha il passo di una marcia e il cuore di un grido collettivo. Da cosa nasce l’urgenza di questo brano e cosa significa per te, oggi, la parola “ribellione”?

La parola “ribellione” per me significa, prima di tutto, ricordarmi cosa mi fa stare bene e cosa no. Ribellarsi vuol dire riconoscere quando qualcosa non va e avere il coraggio di farlo notare, soprattutto quando c’è qualcuno o qualcosa che ne è responsabile. Troppo spesso questa parola viene fraintesa o usata con un’accezione negativa, ma per me ha un significato profondamente personale: è un modo per restare fedele a me stessa.

“C’est Fantastique” nasce da questa esigenza di verità, è il brano in cui mi sento più libera e senza filtri. È proprio questo suo spirito a fare da apripista al disco: anche se musicalmente è molto diverso da “Il tempo, le febbri, la sete” – cambia il bpm, cambia il ritmo – l’approccio e la scelta degli strumenti restano gli stessi. È una dichiarazione d’intenti, la mia.

Il titolo del nuovo album sarà RISORGIMENTO – una parola forte, evocativa. In che modo senti che questo disco rappresenti per te un riscatto, una rinascita, o un ritorno alle radici?

Il titolo Risorgimento ha a che fare con il Movimento, inteso come i moti rivoluzionari che hanno caratterizzato quel periodo storico, ma anche come movimento interiore. È un grande contenitore in cui convivono passato, presente e futuro, e io mi ci inserisco lasciandomi attraversare da questi tre tempi.

Questo disco, più che un riscatto, rappresenta una fotografia del momento in cui sto vivendo il mio personale Risorgimento. Non ho scritto le canzoni per riscattarmi, ma per memorizzare quello che sto attraversando.

Dal Jazz al pop: le influenze artistiche di MILLE

Hai citato influenze molto diverse tra loro, da Antonella Ruggiero a Britney Spears. Guardando al tuo precedente EP, invece, Musica Jazz e Sbagliare sbagliare che giocano con i synth e l’estetica psichedelica, mentre Qualcosa di stupendo riporta a un’atmosfera retrò.  Quanto c’è di ricerca sonora e quanto di istintivo nel tuo approccio alla produzione?

Con la musica mi comporto un po’ come facevo da bambina con i giocattoli: scelgo quello che mi va, che mi risuona in quel momento. Non parto mai da un genere preciso, sarebbe uno sforzo inutile cercare di etichettare quello che faccio.

Seguo l’istinto, cercando ogni volta la veste giusta per quel testo, quelle parole, quella melodia.

Rispetto all’EP Quanti me ne dai, in questo nuovo disco ci sono anche delle differenze pratiche: in studio avevamo meno synth e quindi abbiamo lavorato molto di più con strumenti acustici. Allo stesso tempo, un liutaio mi ha regalato una chitarra elettrica, e da lì sono nate tantissime canzoni.

È come se il “vestito” delle tracce si costruisse naturalmente in base agli strumenti che ho a disposizione e all’urgenza emotiva di quello che voglio raccontare.

Proviamo a fare un gioco: se dovessi scegliere cinque dischi che  hanno principalmente influenzato il tuo gusto musicale, sia da un punto di vista professionale sia personale, quali sarebbero?

1 Cerimonials di Florence & The Machine

2 Sotto il segno dei pesci di Venditti

3 Wow dei Verdena

4 Post Orgasmic Chill degli Skunk Anansie

5 Whatever people say I am, I’m not degli Arctic Monkeys

L’introspezione nella scrittura e nella produzione musicale della cantautrice MILLE

In Giovane distratta si parla di desiderio e contraddizione, di corpi che si muovono anche quando la testa vorrebbe fermarsi. Ti va di raccontarci come è nato questo brano e cosa rappresenta per te?

È nato da un incontro che mi ha lasciato in bilico, da una fascinazione che mi faceva oscillare continuamente tra il “posso” e il “non posso”.

Giovane distratta racconta proprio questo scarto, questa tensione tra istinto e ragione, e diventa una specie di viaggio amoroso che si consuma nella mia testa ma è anche molto reale.

La narrazione di Via dei Fiori è particolarmente emotiva, sembra quasi una fotografia tra introspezione e resa. Quanto è importante per te raccontare anche la fragilità attraverso la musica?

La fragilità per me è tutto: è il binario entro cui vivo le cose e le racconto. Non mi interessa sembrare forte, perché non è quello che sono.

In Via dei Fiori c’è proprio questa vulnerabilità, il timore di esprimere i desideri più profondi, di dire davvero cosa si prova. È una canzone che espone quella parte di me che spesso resta nascosta, ma che sento fondamentale condividere.

In Touché e Monsieur Malheur emerge una cifra quasi teatrale. Può esserci un fil rouge che lega questi brani alla tua esperienza teatrale con “La locandiera”?

Sì, credo che ci sia un filo comune, anche se questi brani sono nati prima della mia esperienza teatrale. Hanno entrambi un’impronta ironica, un po’ sopra le righe, che ho ritrovato poi nel modo in cui ho vissuto il palcoscenico.

In fondo, il mio modo di scrivere parte spesso da un’attitudine interpretativa, e questo ha sicuramente contribuito a farmi sentire a mio agio anche in teatro.

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