«L’unico modo è attraversare la tempesta, qualunque essa sia. Non fare finta di nulla, accettare tutte le fasi: dalla frustrazione al sentirsi senza via d’uscita. È solo vivendole che si arriva davvero dall’altra parte.»

Stefania Bianchi, in arte Alteria, non ha mai avuto paura di esporsi. Lo fa con la voce, abrasiva e fragile insieme, lo fa nei testi del suo nuovo disco, Nel fiore dei tuoi danni, e lo fa anche con noi di MentiSommerse, in un pomeriggio di parole sincere e visioni musicali.

Pubblicato da Vrec Music Label, il nuovo album è un lavoro in italiano che fonde ballad intime e cavalcate rock, prodotto da Max Zanotti (Deasonika, Casablanca).

Progetti come questo dimostrano come il rock sia ancora un linguaggio potentissimo. È libertà, rabbia, ma anche dolcezza. E noi dobbiamo continuare a raccontarlo con verità.

Quella verità che Alteria mette in ogni parola, dentro e fuori dal palco. Da Encore a Vita Imperfetta, passando per il tour nei club con la sua super band, ha costruito una carriera coerente, credibile. E questo nuovo capitolo ne è la prova più vibrante.

Per presentare il suo nuovo album, ho avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con lei. Se non ci conoscessimo, sono Corrado Parlati e questo è MentiSommerse.it, un magazine ribelle, un rifugio virtuale dove ti racconto le storie più belle legate al mondo della cultura.

ALTERIA PRESENTA IL NUOVO ALBUM “NEL FIORE DEI TUOI DANNI”: L’INTERVISTA

Partiamo proprio da un’immagine contenuta in “Nel fiore dei tuoi danni”: quella della crisalide dischiusa. Ricordi il momento in cui la crisalide di Stefania è diventata Alteria? Quando sei salita sul palco per la prima volta?

Certo che lo ricordo! Le primissime esperienze con la musica risalgono a quando ero una ragazzina, parliamo della seconda o terza media. Ho iniziato a capire che poteva diventare qualcosa di più serio verso la quarta superiore.

Mi ricordo che trovai un annuncio su un blog musicale—forse Mercatino Musicale, erano gli anni in cui iniziavamo a usare bene quei siti—che cercava una cantante per una band rock. Mi sono lanciata, ho fatto un provino con questa band milanese che si chiamava Chakra.

Da lì non mi sono più fermata.

Ed è proprio in quel periodo che nasce anche il nome “Alteria”, giusto? Ho letto che affonda le radici in un incontro particolare…

Sì, esatto, sarà stato in quinta superiore. Conobbi un ragazzo più grande di me, che mi piaceva un sacco, anche se ero proprio una bambina. Ricordo che non ricambiò il mio interesse, ma mi disse una frase che mi è rimasta impressa: “Tu sei il mio alter ego”.

Quando poi ho iniziato a cantare, “Stefania Bianchi” mi sembrava un po’ poco rock come nome d’arte. Ripensando a quella frase, ho preso “alter ego”, l’ho reso più musicale, più femminile, più accattivante, ed è diventato “Alteria”.

Poi pensa, anni dopo l’ho anche rincontrato… a parte gli scherzi, è un bravo musicista, e in fondo ha avuto la “colpa” di avermi ispirato.

Parlando di ferite, c’è una frase in “Voglio andare oltre” che mi ha colpito molto: le ferite sono mappe nella mia carne. Se oggi dovessi leggere la tua mappa interiore, quali segni ci troveresti sopra?

Tanti, tantissimi. È piena di trasformazioni, di cambi di percorso. Quando vivi quei momenti, ci stai male… ma poi, col senno di poi, ti rendi conto che erano tappe necessarie per la tua evoluzione.

E ti dirò: nei momenti in cui sto male, mi sento più creativa.

Questo disco, almeno per come l’ho percepito, sembra nascere anche da un momento molto difficile. Ne hai parlato anche in un TED Talk: un problema serio alla voce. Per una speaker radiofonica e una cantante, la voce è tutto. Come si affronta una crisi simile?

Si affronta dal principio. Il modo giusto, l’ho capito col tempo, è quello di non ignorare i segnali. Io all’epoca ho sbagliato: cercavo di fare quella sempre super sorridente, solare, sempre “tutta d’un pezzo”, quando invece avrei dovuto accettare che qualcosa non andava.

Il mio corpo me lo stava dicendo, la mia voce pure.

L’unico modo è attraversare la tempesta, qualunque essa sia. Non fare finta di nulla, accettare tutte le fasi: dalla frustrazione al sentirsi senza via d’uscita. È solo vivendole che si arriva davvero dall’altra parte.

Accogliere ogni fase: la frustrazione, l’impotenza, la rabbia. Solo così puoi davvero superarla.

E in questo senso, c’è una frase in “Colpi invisibili” che sembra chiudere il cerchio: la vita è stata tempesta e oggi è la polvere quello che resta. Come nasce questo brano?

Bel collegamento. “Colpi invisibili” è stato il primo pezzo che ho registrato per questo disco, proprio il punto di partenza.
Quel ritornello mi girava in testa da tantissimo tempo, forse addirittura dai tempi di Vita imperfetta, ma era rimasto lì, in sospeso. Quando ho ripreso a scrivere, sono ripartita proprio da quel frammento.

È come se quel testo avesse fatto da ponte tra i due dischi: Vita imperfetta raccontava una fase molto difficile, questo invece apre uno spiraglio verso qualcosa di più sereno. Colpi invisibili è un modo per dire: ok, la tempesta c’è stata, ora andiamo avanti.

C’è una fase del processo creativo che ha portato a Il fiore dei tuoi danni che vuoi condividere con noi?

Scrivere questo disco è stato abbastanza difficile. Amo tantissimo Vita imperfetta, penso che ci siano canzoni davvero belle, e forse avevo dato così tanto in quel lavoro che poi ho faticato a ripartire.

C’è stato di mezzo il lockdown, quindi non l’ho mai davvero portato in tour con una full band. Ho fatto una mezza data a Milano, ma in un clima complicato. Poi ho messo le energie su altri progetti, tra cui uno che mi ha portato spesso all’estero a cantare cover.

Quando, dopo quattro anni, ho ripreso in mano la scrittura con Max Zanotti—con cui avevo scritto anche il disco precedente—ho fatto fatica. Ma Max mi ha spronato, e una volta rotto il ghiaccio… è stato come aprire il vaso di Pandora.

E nel brano “Camomilla con gin”, racconti una certa difficoltà a sentirsi parte della socialità. Quanto c’è della tua esperienza personale in quel senso di sentirsi “altrove”?

Tantissimo. Quella canzone sono io, completamente. C’è una contraddizione forte nella mia personalità: il mio lavoro, soprattutto quello radiofonico, mi porta a essere sempre solare, energica, presente. E quel lato c’è, esiste.

Ma c’è anche un’altra parte di me, meno scontata, molto presente se non superiore,, molto introversa, molto malinconica. Quando mi trovo in contesti sociali come feste, pubbliche relazioni, non mi trovo molto a mio agio. Se posso scegliere io con chi stare, con pochi amici fidati, sto benissimo. Ma nella socialità forzata, spesso non vedo l’ora di tornare a casa.

In “Personalissima rivolta” sembri cantare una disobbedienza quasi terapeutica. Qual è stata la scintilla che ha dato vita a questo pezzo?
Guarda, ti dirò la verità. È nato in concomitanza con l’annuncio della reunion del Teatro degli Orrori, una band che adoro. Pierpaolo Capovilla, il cantante, ha un modo pazzesco di cantare, di narrare, di raccontare attraverso i suoi testi. Li ho sempre amati tantissimo.

In effetti, la scelta di cantare le strofe di Personalissima rivolta in quel modo vuole essere un omaggio proprio a lui e al Teatro degli Orrori.

E poi, sai, a 41 anni – che compirò tra pochi giorni – inizi a fare i conti con certe dinamiche, certi meccanismi che ti stanno stretti. Anche se cerchi di assecondarli, non sempre funzionano.

Quindi la personalissima rivolta diventa, in un certo senso, il momento in cui decidi di fare un po’ come ti pare. Anche quando non ti senti perfettamente “giusta” o ti sembra di affrontare un percorso difficile… boh, va bene così, vai, insisti.

Questo è il mood che mi accompagna all’alba del mio terzo album in italiano – il quarto in totale. Ci sta, a un certo punto, dire: “Boh, vado e faccio come dico io”.

Cosa ti ha spinto a passare dalla scrittura in inglese a quella in italiano?
Il fatto che non riuscivo a dire davvero quello che volevo dire.

Non essendo madrelingua, non avevo un controllo totale su quello che desideravo comunicare. Ricordo alcuni degli ultimi concerti fatti con il disco in inglese: sul palco mimavo quello che cantavo, perché ci tenevo a farmi capire.

Però sai com’è: in mezzo al caos di un concerto rock, se il testo è in inglese, non è detto che il pubblico voglia davvero sforzarsi di capire il tuo messaggio.

Così ho deciso di provare con l’italiano. All’inizio è stato terrorizzante, perché nella mia testa il rock in italiano “faceva cagare” – anche se, in realtà, ho sempre amato alcune band rock italiane.

Poi, però, ho capito che quando trovi il tuo modo, l’italiano ti offre un vocabolario, una possibilità di gioco con le parole meravigliosa. Ora mi diverto tantissimo e non tornerei mai indietro.

Ed è anche una lingua perfetta per essere cantautori con un suono rock, se vogliamo.
Sì, sì, assolutamente. Ci sono un sacco di esempi. Io ho sempre amato, fin da piccola, i Litfiba. Ma anche il cantautorato non rock, tipo Brunori Sas o Niccolò Fabi.
Se vado più indietro, penso a Dalla. E nel rock, quanti esempi bellissimi abbiamo? I Verdena, Manuel Agnelli da solista, gli Afterhours, i Marlene Kuntz… tanta, tanta roba.

Ne “Il fiore dei tuoi danni” racconti un amore viscerale, fatto anche di imperfezioni e fragilità. Qual è la tua visione dell’amore oggi?

Nel brano “Il fiore dei tuoi danni”, parlo dell’amore totalizzante. Per me, è l’amore che provo per mia figlia. È una canzone che le dedico. Lei ha 18 anni e mezzo, è nel fiore dei suoi anni… e anche nel fiore dei suoi “danni”, per forza di cose.

Oggi, la mia visione dell’amore – non solo verso mia figlia – è che si tratta del valore che più conta per stare bene con se stessi.
Può essere l’amore per mia figlia, per i miei genitori, per il mio compagno, per amici o amiche speciali… alla fine è proprio questo che fa la differenza.

Sto patendo molto, in questo periodo, tutta questa freddezza, questa virtualità dei rapporti. I social, il comunicare sempre “da lontano”… per quanto serva anche per lavoro, ti fa apprezzare ancora di più quanto sia bello avere rapporti sani, affetto vero, con persone fisiche e reali.

Arriviamo verso la fine della nostra chiacchierata, guidando tra nostalgia e follia – riprendendo il mood di “Tangenziale Est”. Se volessimo fare un viaggio a ritroso nella tua carriera, come speaker e come cantautrice, quali sono tre istantanee che porteresti con te? Tre fotografie che ti hanno segnato profondamente.
Allora… come speaker, la prima è chiarissima: tanti anni fa, prima ancora di approdare a Virgin Radio, passai davanti alla piazza dove si trova la sede. Era un sogno per me, lavorare lì. Ricordo distintamente di aver detto: “Un giorno lì dentro ci devo entrare, ci devo lavorare.”

Quando poi feci il provino e ci entrai davvero, mi tornò in mente quel momento. E pensai: “Cavolo, ce l’ho fatta.”

Come cantante… ce ne sarebbero tantissimi. Ma visto che prima abbiamo parlato del passaggio dall’inglese all’italiano, ti dico: il primissimo tentativo di cantare un mio pezzo – che avevo scritto in inglese – in italiano. Era per il disco La vertigine prima di saltare, il mio primo in italiano. Ricordo bene la sensazione che ho provato quando ho riascoltato la mia voce in italiano. Quel brividino… ho pensato: “Cazzarola, forse è questo il modo. Così mi trovo.”

La terza? Non è un momento solo, ma una serie di notti folli, di divertimento puro, con le persone che hanno fatto parte del mio percorso nelle band. Alcuni musicisti sono cambiati, altri sono rimasti, ma ho tantissimi ricordi bellissimi di notti pazzesche. Ci siamo divertiti davvero tanto.

VOGLIO ANDARE OLTRE – IL TOUR NEI CLUB DI ALTERIA

Voglio andare oltre (Royal Enfield Tour)” è lo show che mostra tutto l’amore di Alteria per le esibizioni live, unendo la sua voce graffiante a un’energia incontenibile. Ad accompagnarla sui palchi di tutta Italia è la super band con Max Zanotti (chitarra), Alessandro Ducoli (batteria – The Elephant Man, Bloom), Thomas Festa (chitarra solista) ed Elettra Pizzale (basso).

Prossimi appuntamenti del Voglio andare oltre (Royal Enfield Tour)“:

15 MAGGIO – MILANO – LEGEND CLUB – ore 20.00

16 MAGGIO – NIMIS (Udine) – LUPUS IN FABULA – 21.30

17 MAGGIO – BOLOGNA – ALCHEMICA – ore 21.00

23 MAGGIO – SONDRIO – MORBOROCK – 20.30

30 MAGGIO – TORINO – BLAH BLAH – ore 21.00

20 GIUGNO – PESARO – BIG BELL SOUND – BIG BELL SOUND  

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