“Essere un Toro Loco è l’unico modo per sopravvivere.”
È con questa dichiarazione di intenti che potremmo riassumere la potenza liberatoria del live di Piero Pelù alla Casa della Musica di Napoli. Un concerto che non è solo tappa de “Il Ritorno del Diablo Tour 2025”, ma un atto d’amore viscerale verso il rock, i popoli resistenti a cui ha sempre dedicato un’attenzione particolare e, ovviamente, la sacralità della Dea Musica.
Perché quando Pelù entra in scena, non c’è solo musica: c’è un’intera visione del mondo.
Il ritorno del Diablo: 40 anni di rock, sudore e rivoluzione
Il tour celebra quattro anniversari fondamentali: Desaparecido (1985), El Diablo (1990), Spirito (1995) e Né buoni né cattivi (2000). Ma sarebbe riduttivo parlare di semplice commemorazione. Piero Pelù porta in scena un Giubileo del Rock che è anzitutto un manifesto attuale, vivo, carico di significati politici, esistenziali e culturali. Ogni canzone in scaletta, infatti, è portatrice di un messaggio preciso.
Con la sua fisicità da sciamano del rock, Pelù attraversa quarant’anni di storia musicale italiana, mescolando senza soluzione di continuità i brani della sua carriera solista con i classici intramontabili dei Litfiba. Lo fa con lo stile che lo contraddistingue: istintivo, teatrale, affilato.
La scaletta: una parabola tra denuncia e catarsi
Il concerto si apre con “Lo spettacolo” ed entra subito nel cuore del repertorio storico con “Eroi nel vento” e “La preda”, due brani che incarnano perfettamente il legame tra poesia e militanza. Il pubblico partecipa con trasporto, quasi in uno stato di trance collettiva.
Pelù alza il pugno su Novichok, invettiva contro i potenti che giocano con il veleno e con la guerra. Su Istanbul, sventola la bandiera del popolo curdo e quella della Palestina: un gesto che, nel contesto attuale, acquista una carica simbolica incandescente. “No frontiere” e “Io ci sarò”, preceduta da un discorso sulle contraddizioni dell’uomo contemporaneo, diventano momenti di riflessione su un presente che sembra aver dimenticato la lezione dell’empatia. Il tutto culmina in “Toro loco”, una dichiarazione di libertà emotiva e vitale. “Bomba boomerang”, è un monito: ogni forma d’odio finisce per tornare al mittente. “Gigante”, invece, riporta la tenerezza di tutto.
E poi c’è “El Diablo” che, come da trentacinque anni a questa parte, si trasforma in un rito purificatore e catartico. “Un album – racconta Pelù – che è diventato epocale per sua natura e non per calcolo, un culto spontaneo che ancora oggi fa vibrare le corde fisiche e le corde dell’anima che tutti abbiamo dentro, tutta roba che si è affinata col tempo e che con migliaia di concerti è arrivata a livelli potentissimi”.
I momenti più epici arrivano con i brani dei Litfiba: Spirito, Lacio Drom, Gioconda. Lì la folla esplode, e Pelù diventa il tramite di un’energia collettiva ancestrale. La chiusura con Tziganata, preceduta da Proibito e Lulù e Marlene, è un’ode alla contaminazione culturale, alla libertà e all’identità nomade del rock.
I Bandidos e “Il Don”: una band di Eroi nel vento
A sostenere Pelù in questo viaggio, i suoi Bandidos: Amudi Safa alla chitarra, Max Gelsi “Sigel” al basso e Luca Martelli “Mitraglia” alla batteria. Una macchina da guerra sonora, compatta e incendiaria, capace di passare dalla psichedelia alla furia punk con naturalezza.
Ad arricchire il sound degli Eroi nel vento sul palco con Piero Pelù arriva Antonio Aiazzi, “il Don”, tastierista storico dei Litfiba, che accompagna Pelù nei brani storici della band fiorentina. La sua presenza non è solo un omaggio al passato, ma un suggello di autenticità, un ponte diretto tra le radici e il futuro del rock italiano.
Un concerto per chi non si arrende
In un mondo dominato da algoritmi e superficialità, Pelù canta ancora per i vinti, per gli esclusi, per chi non si rassegna. Lo fa con la forza di chi ha attraversato decenni senza cedere a compromessi, mantenendo intatta la propria visione, anche quando si è trattato di andare incontro a limitazioni o addirittura minacce.
In un’epoca in cui tutto scorre veloce, Piero Pelù ci ricorda che il rock è ancora una forma d’arte necessaria, di amore assoluto per la vita. E lo fa con una lucidità e un’energia che, specialmente in Italia, pochi altri sanno trasmettere.
Perchè la ribellione che porta sul palco non è un gesto eroico, né un mero atteggiamento. È energia vitale.
Perché essere un Toro Loco, oggi più che mai, vuol dire resistere con la musica, con il corpo e con l’anima.