Una boccata d’aria dopo l’apnea. Un ritorno alla superficie, alla verità, a sé stessi. Con BOCCATA D’AMORE, Luca Re non firma solo un nuovo brano, ma inaugura un viaggio che durerà due anni e che avrà il sapore della scoperta, della guarigione, del tornare “a casa” – qualunque cosa significhi, per ognuno di noi.
Nelle sue parole c’è l’urgenza di raccontare l’amore nella forma più pura e autentica, quella che non si piega alle definizioni e ai confini, ma che sa essere rifugio, slancio vitale, forza rigeneratrice. Dentro BOCCATA D’AMORE convivono elettronica, R&B alternativo e un’attitudine pop che non rinuncia mai alla profondità emotiva: la cifra di un artista che ha fatto della vulnerabilità la sua firma stilistica.
In questa intervista, Luca Re ci accompagna tra le pieghe di questo primo respiro, raccontando la genesi di un nuovo progetto, l’importanza delle relazioni vere, il percorso che lo ha portato a trovare finalmente il proprio suono e la propria voce. Ma, soprattutto, ci invita a respirare insieme a lui.
Boccata d’Amore è il primo respiro di un viaggio che durerà due anni, ma anche una dichiarazione di rinascita, di sollievo e di autenticità. Cosa significa per te oggi parlare d’amore in questi termini? E cosa vuol dire tornare a casa — o sentirsi a casa — attraverso una canzone?
Sì, è vero, “BOCCATA D’AMORE” per me rappresenta tutto questo. Sono davvero felice di aver dato inizio a questo nuovo progetto con questo brano, è nato in modo totalmente spensierato verso l’inizio della scorsa estate, è uno dei primi pezzi che ho prodotto con Chaze. In studio ci siamo divertiti tanto, c’è stata subito sintonia tra di noi e mi ha colpito come il tema del brano si sia rivelato perfettamente in linea con l’idea del progetto che in realtà è nata dopo. È stata la riconferma che fosse il brano giusto per cominciare.
Parlare d’amore in questi termini per me significa semplicemente raccontarlo così com’è per me, per come lo vivo. Quando ho scritto questo brano, avevo voglia di raccontare un amore vissuto a pieno, senza rimpianto. Un amore che ha la forza di guarire le ferite del passato e di farti guardare al futuro in un modo nuovo.
Non mi riferisco soltanto all’amore di coppia. Mi piaceva l’idea di raccontare un amore più universale, che riguarda anche l’amicizia, la fratellanza. È quell’amore che ti fa sentire al posto giusto, quando sei con la persona giusta puoi essere ovunque o da nessuna parte, ma ti sentirai sempre a “casa”.
“casa” sarà un tema ricorrente in questi due anni, non indica per forza un luogo fisico, anche se può esserlo, ma più una sensazione, un “sentirsi bene”, al sicuro, in equilibrio. Questo è quello che volevo trasmettere con il brano.
“Una boccata d’amore può guarire il mio cuore malato”: c’è un’intensità viscerale in questa frase, che richiama qualcosa di molto personale. Quanto ha contato, nel tuo percorso umano prima che musicale, la riscoperta delle relazioni autentiche?
Beh, tantissimo. Io cerco di vivere solo relazioni autentiche. È chiaro che nella vita esistono rapporti diversi, alcuni più superficiali di altri, ma le persone che frequento davvero, quelle che ho attorno ogni giorno, sono persone con cui provo a costruire qualcosa di vero, sincero e profondo. La frase che hai citato: “una boccata d’amore può guarire il mio cuore malato” è una delle mie preferite. Come dicevo anche prima, non parlo solo dell’amore di coppia. È più un concetto ampio: l’amore che ricevi nelle situazioni difficili, complicate, quando non ci sono nemmeno le parole giuste da dire, è qualcosa di estremamente potente, basta il gesto giusto, un abbraccio sincero, una parola detta con il cuore, e tutto cambia.
Il tuo percorso artistico è segnato da una continua ricerca — prima con Chryverde, poi con i DEMONA, fino alla fondazione di OutSoon. In che modo questi passaggi ti hanno aiutato a trovare la tua voce, e come hanno influenzato la direzione sonora di questo nuovo inizio?
Sì, assolutamente, il mio percorso musicale fino a qui è stato una continua ricerca. Anche se adesso sento di essermi finalmente “arenato” da qualche parte, nel senso positivo: sto davvero facendo il mio.
All’inizio penso sia normale cercare le persone giuste con cui lavorare, quelle con cui riesci a esprimerti al meglio. Io l’ho fatto, ma ogni tappa è stata fondamentale. Ogni persona con cui ho lavorato è stata quella giusta nel momento giusto. Nel 2022, per esempio, Chryverde era perfetto per produrre “LUCE” EP. Nel 2023, quando mi stavo avvicinando di più all’elettronica, è stato naturale incontrare i DEMONA ed è stato bellissimo lavorare con loro. Oggi sono felicissimo di portare avanti questo nuovo capitolo con loro e con Chaze.
Questo non significa che ogni anno cambierò team. È stato un processo che mi ha permesso di conoscere persone, metodi di lavoro diversi, e di capire alla fine qual’è il modo giusto per me. Oggi sento di avere costruito un team solido attorno a me. Ci capiamo, c’è intesa, e sappiamo dove vogliamo andare.
OutSoon, invece, è un’altra cosa ancora: è il collettivo che ho fondato con il mio manager Federico Caon alla fine del 2023. Con la nascita del collettivo ho iniziato anche a seguire progetti di altri artisti, occupandomi della direzione artistica, e questo mi ha aiutato a crescere tantissimo. Sono molto fan dei rapporti umani, della costruzione dei team, dello sperimentare e vedere con chi scatta davvero qualcosa.
Dal punto di vista sonoro, sicuramente i DEMONA mi hanno influenzato: mi hanno fatto scoprire nuovi artisti, nuove reference, nuove sonorità. La cosa bella è che, pur ricevendo stimoli da loro, io ho una visione ben chiara e radicata. Il risultato è un mix che secondo me funziona, che è nostro e unico.
Se dovessi scegliere i cinque artisti che hanno maggiormente influenzato il tuo gusto artistico e personale, quali sceglieresti e perché?
Se devo dirtene cinque, anzi dai facciamo sei, partirei dall’Italia. Sicuramente Mecna e Nayt per me sono e sono stati esempi di coerenza e visione a lungo termine. Hanno costruito community solide, hanno dato spazio alla musica più che a tutto il resto e si sono presi il tempo giusto per far crescere i loro progetti, pubblicando vari dischi con un’identità precisa.
Un altro nome che metto tra le influenze in Italia è Frah Quintale. L’ho ascoltato tanto, mi è sempre piaciuto il suo immaginario e mi ha sempre affascinato la sua versatilità.
Fuori dall’Italia, per primo direi Mac Miller. Non penso ci sia bisogno di spiegare troppo che artista sia e cosa rappresenti per me: è stato un musicista vero, un grandissimo riferimento a livello di sound.
Infine, due artisti che sto amando tantissimo adesso, e nel disco secondo me un po’ si sentirà, sono Dominic Fike e Kevin Abstract. Mi piace tutto: l’immaginario, l’approccio, l’attitude al microfono… in questo momento sto ascoltando i loro dischi a ripetizione.
Hai raccontato spesso di come l’adolescenza ti abbia allontanato dalla musica, e di come poi tu sia tornato a lei per colmare un vuoto. Oggi che sei immerso in un progetto a lungo termine, cosa significa per te restare fedeli a sé stessi pur continuando ad evolvere?
Per me restare fedeli a sé stessi è la chiave. Credo che quello che mi ha allontanato dalla musica durante l’adolescenza sia stata proprio la paura di essere davvero me stesso. Un po’ per il giudizio degli altri, un po’ per paranoie mie.
Sapevo già allora che la musica era la mia strada, sapevo cosa provavo suonando e sentivo dentro che era quello che volevo fare, ma ho rimandato per tanto tempo. Avevo paura di espormi, di non essere capito. Poi, quando ho deciso di riavvicinarmi alla musica e di dedicarmici al 100%, mi sono sentito finalmente al mio posto. Mi si è riacceso quel fuoco che avevo perso. È tornata la voglia di svegliarmi ogni giorno con l’obiettivo di realizzare un sogno, ma soprattutto con il desiderio di raccontare qualcosa, di comunicare.
Essere fedeli a sé stessi, pur evolvendo, per me vuol dire anche questo: accettare che cambiamo. Rispettare ciò che sentiamo, ciò in cui crediamo.
Io sono pro al cambiamento, mi affascina guardare indietro e vedermi così diverso da ora. Siamo esseri umani e in quanto tali cambiamo continuamente, conosciamo nuove persone, veniamo influenzati, ci informiamo, cresciamo, cambiamo opinione. E va benissimo così. Credo che l’importante sia soltanto restare veri, con gli altri ma soprattutto con noi stessi.
In Boccata d’Amore c’è un equilibrio sottile tra elettronica, alternative R&B e scrittura pop, ma si percepisce anche una forte tensione poetica. Nella tua visione, qual è il confine tra musica e confessione? E quanto è importante per te rimanere vulnerabile nei tuoi testi?
Nel mio caso non esiste nessun confine tra musica e confessione. La mia vita e la mia musica vanno proprio di pari passo, se evolvo io evolve anche la mia musica, e viceversa. La musica è sempre stata un posto dove poter essere completamente chi sono e raccontare completamente cosa sento.
Non mi spaventa essere sincero, anzi, a volte mi viene molto più difficile mascherare quello che sento piuttosto che dirlo apertamente. Rimanere vulnerabile nei testi per me è fondamentale. La scrittura, nel mio caso, è proprio terapeutica. Spesso scrivo quando sto vivendo o superando un momento difficile, e ho bisogno di raccontare quella cosa con sincerità. Non riuscirei a scrivere di qualcosa che non ho vissuto almeno in parte.
E la cosa bella è che questa cosa alle persone arriva, ho ottenuto molto di più da brani “pesanti” che raccontavano qualcosa di sentito, piuttosto che da brani più “leggeri” che sarebbero dovuti essere facilmente ascoltabili.
Quindi sì, essere vulnerabili è una parte fondamentale del mio modo di fare musica. Essere sinceri è la base di tutto, ed è quello che mi sono sempre promesso di fare e che continuerò a fare.