Le Seventeen Fahrenheit sono un gruppo rock tutto al femminile che fonde urgenza espressiva, punk viscerale ed estetica a tratti freak. Portano nel loro rock il magma che ribolle nel cuore più profondo del Vesuvio e la volontà di dare una svolta alla propria vita tipica della provincia.

La band – Enza, Adriana, Annamaria ed Eloise – costruisce un muro sonoro solido e senza fronzoli, dimostrando che il rock è ancora un linguaggio capace di farsi manifesto di identità e rottura.

Un’identità nata da una scintilla quasi casuale, che affonda le radici nella provincia e nelle camerette, tra contest locali e batterie regalate per la cresima. La loro musica è un manifesto: brani come Freak, Gasping for Breath e Bloody Rain sono dichiarazioni d’intenti.

Le abbiamo intervistate per raccontare la loro storia, fatta di disillusione, autoaffermazione, suoni che liberano e parole che lasciano il segno.

Ogni storia è giusto che venga raccontata dall’inizio: la vostra prima esibizione avviene nell’ambito di un contest organizzato dall’Azione Cattolica di Grumo Nevano, in cui vi siete alternate alla batteria. Volete raccontarci com’è andata quella sera e com’è andata poi la vostra primissima esibizione come gruppo?

Sì, suonammo per questo “contest” organizzato ad hoc per noi e un’altra band, in cui c’erano altri amici d’infanzia e Antonio, il fratello di Anna. L’alternarsi alla batteria era infatti partito dalla possibilità di avere una batteria vera e propria, che era stata regalata ad Antonio in quei giorni per la “cresima”.

È incredibile quanto nella provincia i fatti di chiesa possano cambiare la vita delle persone! Ci fa un po’ ridere perché comunque, in giro per il paesino, venivamo appellate come “freak” per il nostro vestiario particolare, quindi abbiamo creato una vera e propria collisione estetica (le brave ragazze inquietanti).

Il nostro gruppo di amici era poi enorme e per anni interi dell’adolescenza ci è sembrato di vivere in un telefilm. Insomma, a quel contest di sole due band venne anche Elo, da poco entrata nella mega-comitiva, e come noi condivideva la passione per il punk, per il cosiddetto “emo” che faceva da sottocultura in quegli anni, e per il rock in generale.

Ci vide suonare ed era molto entusiasta, quindi le abbiamo chiesto schiettamente di munirsi di una batteria e di imparare a suonarla. E così è stato, con grandi risultati: amore a prima vista, Seventeen Fahrenheit al completo.

Freak è il vostro manifesto, il primo grido nato in cameretta e diventato dichiarazione d’intenti, come si evince anche dalla costruzione del brano che parte in acustico ed esplode in tutta la sua potenza: cosa significa oggi per voi essere “freak”? E come questa parola ha plasmato la vostra identità artistica?

Per noi il “freak” è una persona strana agli occhi del mondo comune, sceglie le proprie passioni al di sopra dei doveri e della vita consona, è amante della verità su sé stesso e, quando anche questa fa paura o i mezzi materiali non la consentono, la propone e la espone, creando un proprio universo di valori.

Molti brani, poi non lo sapevamo, portano con sé questa parola nel titolo o nel testo: vuol dire che artisticamente si tratta di una sensazione comune che implica condivisione, il che rompe con il presunto isolamento voluto per la persona “mostro”, sincera con sé stessa, che se ne sbatte degli onori della società e fa della sua arte uno stile di vita.

In Gasping for Breath si percepisce un’esplosione liberatoria, un taglio netto col bisogno di approvazione. Quanto è stato difficile – o necessario – imparare a respirare fuori dagli schemi?

Per quanto sia stato difficile è stato appunto prima di tutto necessario: a certe vocazioni non si può non rispondere. Abbiamo avuto diversi impedimenti, in un percorso frastagliato spesso da noi stesse e dalla paura di accettarsi.

A un certo punto un amore più forte delle condizioni imposte ha vinto e ci ha portate a ciò che volevamo davvero.

Gasp è un pezzo dei nostri quindici anni: ne sono successe comunque di cose e la sensazione di liberazione ad oggi è ancora più grande.

Bloody Rain ci porta dentro una disillusione dolente, tra corpi che non ci appartengono e sogni che si liquefano, mentre Everything Left Is Lost racconta di una lotta sommessa, quasi sussurrata. C’è un’urgenza molto viscerale in questi due brani: come si è intrecciata la vostra esperienza personale con la scrittura?

Il testo Everything è stato rimaneggiato adesso, integrando nuove sezioni con quanto scritto anni addietro. Il senso è non farsi sfuggire ciò che è davvero importante. A volte, però, proprio la frenesia di tenere strette certe cose porta a perderle. L’abbandono di ciò che si ama può coincidere quindi sia con una passività ignava sia con un eccesso di attività: in entrambi i casi si perde il focus e tutto sfugge.

Bloody Rain ha un immaginario che già dal titolo evoca una perdita macabra e sanguinolenta, è il testo forse più cupo che abbiamo e ci piace che contrasti con un sound molto melodico, trascinante e lieve. La verità è che rispecchia una grande oscurità, il bisogno di dare le proprie energie a una vita diversa, smarcandosi da situazioni vampiriche, aleggianti come nuvole eppure pesanti, che risucchiano tutto un impegno quotidiano sprecato e restituiscono solo perdite, lasciando esangue la persona che ha sperato e costruito.

Apple Apple Banana & Coffee è una parentesi giocosa ma non per questo leggera: dietro l’ironia c’è un invito a ballare sulle proprie scelte. Un po’ come dicevano gli Who: “Il rock non eliminerà i tuoi problemi. Ma ti permetterà di ballarci sopra”….

Apple Apple è un testo onirico, visionario e immaginifico, dove il significante supera il significato. Quindi, come per un film di Lynch, non possiamo rispondere a questa domanda, ma speriamo che ognuno veda cose belle e diverse in questa danza dell’inconscio.

Boovie è una parola inventata, un nuovo linguaggio per ridefinirsi. È più difficile lasciarsi alle spalle chi siamo stati o immaginare chi possiamo diventare?

Le due azioni sono congiunte e proporzionali, nel senso che quando si è pronte a non avere rimpianti allora anche tutto ciò che viene di nuovo si plasma con maggiore vigore e decisione.

Il disco è un viaggio denso di visioni, una mappa emotiva in cui perdersi e ritrovare sé stessi. Come si affronta un processo del genere, sulla base della vostra esperienza? E oggi, guardando indietro al percorso che vi ha portate fin qui, quale immagine vi viene in mente se doveste descrivere il vostro viaggio con una sola parola?

Quando scriviamo un testo siamo sempre stupite da come per qualche principio psicologico ignoto non parliamo d’altro che della voglia di rompere gli schemi. Evidentemente è qualcosa che ha forgiato in modo impellente le nostre vite e una certa “rabbia” ci sembra la cornice giusta per inquadrare l’attacco a un sistema malato e indebolente, che da un punto di vista apparentemente lontano influenza ogni scelta della vita quotidiana.

Noi non abbiamo mai scritto testi d’amore, per esempio, e la cosa non è voluta: sembreremo asettiche, ma sicuramente tutto quello che diciamo nei nostri testi risponde all’esigenza di capirsi e di gestire le proprie emozioni. È come se ci occupassimo di un piano del reale che viene “prima” di ogni condizione particolare.

L’amore è poi la cosa più importante di tutte: quello per noi stesse, per la nostra musica, per la conoscenza di sé.

Quando parliamo di noi siamo molto romantiche e forse “amore” potrebbe essere la parola giusta, ma scegliamo “cazzimma”, una parola napoletana che ci definisce molto e nondimeno ha a che fare con un profondo stato d’animo.

Cazzimma, sì. Ma anche lucidità. Amore per l’arte. E soprattutto, il desiderio incrollabile di restare autentiche. Il loro album è frutto di un progetto elaborato da tempo, che attendeva soltanto di trovare la giusta via d’uscita verso il mondo, il produttore giusto e lo studio di registrazione giusto in cui sbocciare definitivamente.

Le Seventeen Fahrenheit hanno creato un universo in pieno rock ‘n’ roll all’ombra del Vesuvio e ci ricordano che, a volte, la musica non salva, ma ci aiuta a sopravvivere a tutto il resto.

SEVENTEEN FAHRENHEIT: LE PRIME DATE DAL VIVO

Energia, anima rock e suono deciso: sono le Seventeen Fahrenheit. Dopo otto anni di strade diverse incontrano il produttore discografico Jex Sagristano che ha prodotto il primo album “Freak”, in uscita l’11 Aprile e stampato su vinile e cd in edizione limitata e numerata.

Gli appuntamenti live:
11.04 Release Party @ Spazio Muse – Succivo (CE)
17.04 Showcase Disclan – Salerno 
19.04 Detune – Milano
09.05 Dissonanze (listening Party) h16  
09.05 Alibi –  Milano 
29.05 Kill Joy – Roma

Ad Adriana, Eloise, Enza e Annamaria e a Roberta Leone va un sentito ringraziamento.

Foto di Ambrosia Fortuna

About The Author