Ci sono dischi che creano spazi, evocano mondi e accendono immaginari. Con Koinè, Pellegrino-Zodyaco firma un album che è una dichiarazione di libertà sonora: un punto d’incontro tra radici e visioni globali, tra Napoli e il mondo. Un progetto che trasforma la musica in una fuga consapevole, una mappa senza confini dove la tradizione si fonde con il futuro.

Produttore, DJ e songwriter, Pellegrino è una delle figure chiave della nuova scuola napoletana, capace di mescolare le radici partenopee con il funk, la jazz-fusion, la world music e la disco. Il suo percorso, iniziato con Zodyaco I nel 2018 e proseguito con Morphé (2020) e Quimere (2022), ha delineato un’estetica che si nutre di contaminazioni e visioni senza confini. Ora, con Koinè, il viaggio continua, mantenendo vivo il dialogo tra passato e presente, tra strumenti vintage e modernità, tra Napoli e il mondo.

Ho intervistato Pellegrino per scoprire il cuore di questo progetto, il suo significato e il tour che porterà Koinè sui palchi italiani.

Se non ci conoscessimo, sono Corrado Parlati e questo è MentiSommerse.it, un magazine ribelle, un rifugio virtuale dove ti racconto le storie più belle legate al mondo della musica.

PELLEGRINO – ZODYACO: L’INTERVISTA E IL NUOVO ALBUM “KOINÈ”

“Koinè” si ispira all’Elogio della fuga di Henri Laborit: in che modo questo concetto si traduce musicalmente nel disco? È stata una fuga da qualcosa o verso qualcosa di specifico?

Trovo bellissima questa frase del libro: “In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare”, perché mi trasmette un senso di serenità e leggerezza, forse proprio perché lascia aperta la porta alla fuga. C’è qualcosa di appagante nel sapere che esiste un’alternativa.

Credo che ognuno di noi abbia qualcosa da cui fuggire: questa fuga verso un’astrazione da ciò che ci consuma e non ci lascia esprimere, per me, è la musica, e Zodyaco ne è l’emanazione.

Il titolo dell’album, Koinè, richiama l’idea di un linguaggio comune. Come avete mescolato le radici napoletane con i suoni globali per creare un equilibrio tra tradizione e innovazione?

Credo che l’elemento fondamentale sia il bagaglio che nel tempo riempiamo con ciò che viviamo e assorbiamo, fino a farlo diventare parte di noi. Nel mio caso, questo abbraccia le radici musicali del mio territorio, che sono forti e costituiscono un immaginario di fondo, ma si aprono al mondo con contaminazioni jazz-fusion, disco, funk e world music.

Non c’è mai un fine musicale specifico: non si cerca di riprodurre un genere, ma una sensazione, un suono.

Ogni traccia sembra raccontare una storia precisa: da “Pecché”, che esplora la resa come atto liberatorio, a “Palepoli”, che parla di trasformazione. Come nasce il processo narrativo che collega i brani dell’album?

Un album è un mosaico di memorie e immagini che è complicato decifrare. Questo, in particolare, è un disco molto spontaneo, istintivo: volevo raccontare storie che sentivo mie, senza ricorrere a soluzioni stilistiche preconcette.

Alcuni brani nascono di getto e quasi si compongono da soli, altri sono più timidi e ci mettono un po’ a rivelarsi. Credo che il filo conduttore sia un linguaggio comune che li lega, un’istantanea di momenti che passano ma lasciano un segno.

Strumenti vintage, percussioni etniche e atmosfere mediterranee creano un sound unico. Quali sfide avete affrontato nel bilanciare l’uso di strumenti analogici con un’estetica musicale contemporanea?

La fascinazione per la strumentazione vintage deriva da quelle sonorità particolari che solo certi strumenti possono offrire, perché si ricollegano direttamente a un determinato momento storico, che è fonte di ispirazione per la mia musica.

Non sono feticci, ma strumenti di lavoro sui quali si passano ore a cercare un suono che trasmetta qualcosa di speciale. Lavoro quasi esclusivamente in analogico per poter restare fedele all’estetica del progetto: questo comporta inevitabilmente dei limiti, ma anche una personalità sonora difficilmente replicabile altrimenti.

In fondo, non esistono limiti, ma solo opportunità.

Brani come “La Malìa del Sur” evocano il fascino della koinè mediterranea. Qual è il valore simbolico che attribuite a questa fusione culturale, soprattutto in un’epoca in cui le barriere identitarie sembrano moltiplicarsi?

Ispirandomi al Mediterraneo come immaginario ponte tra i popoli, la commistione di suoni e culture assume un valore simbolico fondamentale.

Racconta di viaggi che, partendo da Napoli, visitano luoghi dell’immaginazione: non spazi definiti, ma mete sconosciute.

Il vostro lavoro si inserisce nella “nuova scuola” napoletana, che si muove tra passato e presente. Come percepite il ruolo di Napoli come epicentro culturale e musicale nel panorama internazionale?

Napoli è sempre stata un punto di riferimento musicale e culturale nel mondo e non ha mai smesso di esserlo, anche quando non godeva dell’attenzione mediatica degli ultimi anni.

Quando nel 2018, durante la mia lunga esperienza berlinese, ho dato vita al progetto Zodyaco, fondendo suoni, melodie e linguaggi della mia terra con contaminazioni dal mondo, sembrava un’idea ardita su cui pochi avrebbero scommesso.

Forse è proprio quel misto di nostalgia e fascinazione per le proprie radici che ci caratterizza ad aver dato vita a questa “nuova scuola” a cui fate riferimento.

Che tipo di live porterai in giro per il tour di Koinè?

Il live di Koinè sarà un viaggio nel mio sound con una forte impronta dance. Amo le formazioni numerose, e sul palco saremo in otto, pronti a far ballare e vibrare il pubblico con la nostra energia mediterranea.

Il tour partirà da Napoli il 21 marzo e non vediamo l’ora di condividere questa esperienza dal vivo.

Pellegrino-Zodyaco: le date del tour 2025

📍 21/03 – Napoli – Duel
📍 29/03 – Roma – Largo Venue
📍 03/04 – Milano – Biko
📍 04/04 – Torino – Magazzini sul Po
📍 05/04 – Verona – The Factory
📍 25/04 – Catania – Mercati Generali
📍 09/05 – Bologna – Locomotiv
📍 10/05 – Firenze – ExFila

Koinè è un album che nasce dall’idea di unire, mescolare, contaminare. Un disco che parla di radici ma guarda al futuro, che racconta storie attraverso il suono, che invita a lasciarsi trasportare dalla musica.

Con Pellegrino-Zodyaco, la musica napoletana si apre a nuove prospettive, senza perdere la propria identità. E i concerti che porteranno in giro questo proetto nel 2025 saranno l’occasione perfetta per vivere tutto questo dal vivo.

E se sei appassionato di musica napoletana, non perdere la nostra intervista esclusiva a Eugenio Bennato e i nostri approfondimenti su DADA’ e Roberto Colella de “La Maschera”.

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