Un viaggio musicale tra passato e presente, radici e contaminazioni. Musica del mondo è il nuovo album di Eugenio Bennato, un inno alla diversità e alla resistenza culturale, che intreccia sonorità folk, world ed etniche.
Dalla struggente Mongiana, che racconta il declino di un polo siderurgico dimenticato, a Torre Melissa, che celebra l’umanità di chi ha salvato vite di migranti, fino a Welcome to Napoli, omaggio alla città partenopea, sempre aperta all’incontro. Ma anche Grande minoranza, che canta l’orgoglio di chi sceglie strade alternative, e W chi non conta niente, un inno ai dimenticati del mondo.
Bennato intreccia storie e battiti, dando voce a chi non ce l’ha. Un album che vibra al ritmo della tammorra e del mondo. Ne abbiamo parlato direttamente con lui, in una conversazione che attraversa musica, resistenza culturale e incontri straordinari.
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EUGENIO BENNATO PRESENTA MUSICA DAL MONDO – L’INTERVISTA ESCLUSIVA
“Musica del mondo” nasce da un incontro speciale con una band indiana durante il suo viaggio a New Delhi. C’è un momento in particolare di questo viaggio in India che racchiude l’incontro tra la cultura musicale indiana e quella mediterranea? Come ha influenzato la sua visione artistica questa connessione?
La mattina del 2 giugno ci incontriamo con i musicisti della Ira Mohammed Group in un salone dell’ambasciata italiana a New Delhi, per organizzare un loro intervento musicale per il concerto previsto per la sera, festa della Repubblica. Una stretta di mano e via con la musica. Faccio loro ascoltare un mio brano e subito iniziano a intervenire coi loro strumenti. Dopo dieci minuti è come se suonassimo insieme da anni. Magia della world music, di un linguaggio che riesce ad avvicinare popoli distanti.
Brani come “W chi non conta niente” e “Torre Melissa” celebrano le vite e le storie degli ultimi della società, di chi affronta anche il mare alla ricerca di un mondo migliore. Qual è il suo sguardo sull’altro, in un’epoca così individualista?
Fin dall’inizio del mio cammino musicale, dalla scelta di eleggere a miei maestri gli sconosciuti cantori di una musica popolare nascosta nelle pieghe del Sud, mi sono istintivamente schierato dalla parte degli ultimi, dei diseredati, dei briganti, dei migranti. Tutto questo non per una smania intellettuale, ma perché mi è sempre parso di ritrovare nell’elegia degli ultimi la grande luce della bellezza, che è l’essenza dell’arte.
Con “Grande minoranza” canta la resistenza delle tradizioni popolari contro una società globale omologata, mentre “Tammorra Song” unisce la tradizione della tammurriata a un’esperienza internazionale vissuta a San Francisco. Come ha vissuto personalmente il ruolo della musica nella difesa e nella celebrazione della diversità culturale?
Penso che un’arte legata alle proprie radici esprima il diritto di cittadinanza nella world music, in quanto realizza un dialogo fra le diversità e si contrappone all’appiattimento della globalizzazione.
BRIGANTE SE MORE: IL CAPOLAVORO DI EUGENIO BENNATO
Tra i brani che parlano di Sud e della sua storia è impossibile non citare “Brigante se more”, di cui quest’anno ricorrono i quarantacinque anni dalla pubblicazione. Qual è la storia dietro la nascita di questo brano?
È la storia della felicità di una sera di primavera del 1979, quando io e Carlo D’Angiò, che tante ne abbiamo scritte insieme, decidemmo di accettare la proposta che ci veniva dal massimo regista di Raiuno, Anton Giulio Majano. Ci sollecitava la composizione della colonna sonora dello sceneggiato televisivo L’eredità della Priora, tratto da un romanzo di Carlo Alianello, che raccontava una storia di briganti ai tempi dell’insorgenza antirisorgimentale. La melodia e i versi sgorgarono immediati uno dopo l’altro, fino al finale “ommo se nasce brigante se more”, che fece di quella canzone un vero inno. Nei decenni è diventato uno dei già celebri canti del Sud antagonista.
NAPOLI, IL SUD E IL MEDITERRANEO
Nel 2018 è salito sui palchi delle grandi capitali arabo-africane come Tunisi, Rabat, Il Cairo, Algeri, Tangeri, Orano. Napoli, nel corso degli anni, ha guardato molto ai ritmi e ai suoni provenienti dalla Grande Madre. C’è un elemento musicale che ritiene fondamentale in questo dialogo culturale?
Il ritmo della nostra taranta, la sonorità delle voci a distesa del Sud Italia, mi rimanda all’eco di ritmi e voci simili provenienti dalle altre sponde del Mediterraneo, a testimonianza di una storia di secoli di viaggi, scambi e vibrazioni. Suonare al Cairo, a Tunisi o a Casablanca è per me respirare un’aria profondamente familiare.
L’INCONTRO CON PINO DANIELE
Nel 2012/13, in occasione di “Napule è – Tutta n’ata storia”, è salito sul palco con Pino Daniele per cantare “Lazzari felici”. Che ricordi ha di quel momento e quali sono le riflessioni che nascono alla rilettura, oggi, del testo di “Lazzari felici”?
È stato un rincontrare Pino dopo tanti anni. Ricordo che più di una volta Pino, quando era ancora sconosciuto, venne a sentire un mio concerto. Mi piace pensare che qualcosa lo abbia colpito del suono della mia chitarra battente. Mi piace sognarlo, perché ritengo Pino un grande della poesia e della musica di Napoli. Quando ci siamo incontrati l’ultima volta, io ho interpretato la sua Lazzari felici e lui mi ha regalato un grande solo di chitarra nella mia Ritmo di contrabbando.
Con Musica del mondo, Eugenio Bennato si conferma una delle voci più autentiche e profonde della musica italiana. Un artista che non smette di raccontare il Sud, le sue lotte e la sua bellezza, intrecciando storie e battiti, in un viaggio che attraversa terre e culture. Un disco che suona come un manifesto di libertà e resistenza, capace di far risuonare le radici nel cuore del mondo.