Quando la musica diventa memoria viva, il passato si intreccia con il presente per raccontare storie di arte, passione e radici culturali. Questo è il cuore di Blues for Pino, il progetto ideato da Osvaldo Di Dio che omaggia il genio di Pino Daniele con un album capace di rivisitare il blues partenopeo in chiave contemporanea, senza mai tradirne l’anima.
Con la partecipazione di musicisti storici della band di Pino e ospiti straordinari come Robben Ford, Peppe Barra e Raiz, l’album è un viaggio nel tempo e nello spazio, che collega Napoli al Mississippi, celebrando l’universalità del linguaggio musicale.
In questa intervista, Osvaldo Di Dio racconta come l’idea del disco sia nata dal desiderio di fondere il proprio percorso artistico con l’eredità di un maestro ineguagliabile. Dagli studi londinesi di Chris Kimsey alla leggendaria Gibson ES-175/CC di Pino, ogni dettaglio del progetto è intriso di rispetto e amore per una tradizione che continua a risuonare con forza.
Se non ci conoscessimo, sono Corrado Parlati e questo è MentiSommerse.it, un rifugio virtuale dove ti racconto le storie più belle legate al mondo della musica.
BLUES FOR PINO: INTERVISTA A OSVALDO DI DIO
“Blues for Pino” unisce idealmente il Sebeto che scorre nelle viscere di Napoli al Mississippi, celebrando Pino Daniele come uomo in blues. Qual è stata la scintilla che ha dato vita a questo progetto?
Da sempre Napoli è una delle città più blues del nostro paese e questo, oltre per l’estro del popolo napoletano, è dovuto al fatto che gli americani stanziarono proprio qui, precisamente ad Agnano, una delle più grandi basi NATO del continente europeo. Insieme ai militari arrivò la musica afroamericana che alcuni gruppi statunitensi iniziarono a suonare all’interno della base.
Grazie a questo, i musicisti napoletani entrarono in contatto con generi musicali come il blues, il soul, il rhythm’n’blues, nella loro forma più autentica e questo diede il via al cosiddetto Naples Power, che fu il frutto della fusione tra la musica di matrice afroamericana con la tradizione partenopea.
Pino Daniele ne è stato uno dei protagonisti principali e l’unione del blues con la musica tradizionale napoletana è il tratto che più mi accomuna a lui, da qui l’idea di realizzare un album con tutti i suoi brani di chiara matrice blues.
Lei è nato nel 1980, proprio nel periodo in cui usciva “Nero a metà”. Qual è il suo primo ricordo, da ascoltatore, legato a Pino Daniele?
Tanti ragazzi con la chitarra sul lungomare di Napoli che cercavano di suonare le sue canzoni, alcune delle quali molto complesse, tra loro, dopo qualche anno, mi sarei ritrovato anch’io.
Brani come “A me me piace ‘o blues” e “Ce sta chi ce pensa” hanno un nuovo volto. Quali sono state le principali fonti di ispirazione per la rielaborazione di queste canzoni?
“A me me piace ‘o blues” fu arrangiata su Nero a Metà da Gigi De Rienzo, che ha riarrangiato una nuova versione 45 anni dopo appositamente per questo disco.
“Ce sta chi ce penza” è invece una mia idea di arrangiamento che ho sviluppato pensando al drumming di Steve Jordan, batterista e produttore di Eric Clapton, Keith Richards e John Mayer.
La formazione di musicisti storici che hanno accompagnato Pino Daniele aggiunge autenticità al disco. Come ha lavorato con loro per reinterpretare brani iconici senza perdere la loro essenza originale?
Alcuni brani partivano da idee di arrangiamento mie e di De Rienzo, altri brani sono stati arrangiati in studio con tutta la band, come Yes I Know My Way.
Abbiamo registrato insieme live in studio, come piaceva fare a Pino e come ormai non si fa praticamente più.
Questo ha dato un sapore nuovo ai brani ma, grazie al contributo di chi ha suonato queste canzoni dal vivo con Pino Daniele per anni, ne ha preservato l’essenza.
Hai registrato parte dell’album negli Eastcote Studios di Londra con Chris Kimsey, produttore di band come Rolling Stones e Pink Floyd. Come ha accolto il blues mediterraneo di Pino Daniele e quanto ha inciso sul risultato finale?
Chris Kimsey è stato immediatamente colpito dall’idea del blues in napoletano, che non è un dialetto ma una vera e propria lingua, e nella musica il primo a rendere internazionale questo connubio con la musica afroamericana fu Renato Carosone, altro ispiratore di Pino. Il produttore degli Stones ha sposato con grande entusiasmo il progetto riconoscendone l’unicità.
“Blues for Pino” è impreziosito da collaborazioni straordinarie. Com’è nata la scelta di invitare Robben Ford, Peppe Barra e Raiz a far parte del progetto?
Volevo fare un disco di cui Pino sarebbe potuto essere fiero e, per prima cosa, occorreva un ospite internazionale. La scelta è caduta su Robben Ford, che al momento è considerato uno dei maggiori esponenti della chitarra blues al mondo.
Raiz è stato un caro amico di Pino, oltre che una delle voci più particolari e carismatiche del panorama napoletano.
Peppe Barra rappresenta la voce del popolo, la voce della tradizione, altro elemento fondamentale nella musica di Pino Daniele.
E poi c’è Mario Insenga che con la sua band Blue Stuff, insieme a Bennato nelle vesti di Joe Sarnataro, si è fatto portavoce del blues napoletano per anni.
Suonare la Gibson ES-175/CC di Pino è un’esperienza unica. Quanto ha inciso sul sound di “Blues for Pino” e sulla Sua connessione personale con lui?
E’ stato come toccare un pezzo di storia, è stata la chiave per affrontare un brano difficile e delicato come “I got the blues”. Mentre la suonavo sentivo Pino che guidava le mie dita, ho improvvisato un assolo che è stato buono alla prima take, mi piace pensare che l’abbiamo suonato insieme.