Ci sono opere sospese in una dimensione ideale, tra la tradizione, la leggerezza e il tempo che passa. 

Gennareniello, atto unico scritto da Eduardo De Filippo nel 1932 e riportato in scena da Lino Musella al Teatro San Ferdinando, è una di queste. 

In questa riedizione, ambientata nel 1984, si assiste a una sorta di dialogo temporale tra due Napoli: quella di Eduardo, con una straordinaria fedeltà verso il testo originale, e quella della rinascita eduardiana e napoletana, che coincide con l’anno della sua morte, simbolicamente inaugurata dall’arrivo di Maradona e dal viaggio del musicante di Pino Daniele.

Nella sua Ultima Lezione data 1983, infatti, Eduardo poneva la nascita come punto di arrivo e la morte come punto di partenza per l’inizio di nuovi cicli che inglobano quelli passati e lo spettacolo portato in scena da Lino Musella rispecchia fedelmente questa visione. 

Ad accompagnare sul palco il regista un cast di altissimo livello, composto da Tonino Taiuti, Gea Martire, Lino Musella, Roberto De Francesco, Ivana Maione, Dalal Suleiman, Alessandro Balletta, Daniele Vicorito.

Gennareniello: una gemma nascosta della drammaturgia di De Filippo

Musella, regista e interprete, dimostra un tocco straordinario nella rilettura di una pietra preziosa del teatro napoletano, spesso rimasta all’ombra di altre sorelle maggiori, senza intaccarne la fragilità. 

Il suo Tommasino, evocativo e malinconico, riesce a richiamare con naturalezza la storica interpretazione di Luca De Filippo, trovando però un linguaggio personale e contemporaneo e guardando, in alcune scene, anche al Nennillo di Natale in Casa Cupiello, commedia a cui Gennareniello è indissolubilmente legata. Gea Martire, nel ruolo della madre, firma una delle scene finali più intense dello spettacolo, mentre Tonino Taiuti offre una variazione affascinante e profondamente umana sul protagonista.

La scenografia di Paola Castrignanò è un piccolo capolavoro: un terrazzo che diventa palcoscenico di vita quotidiana, fatto di dislivelli, precarietà e memoria. L’uso dei tubi innocenti e delle pedane segmentate è un richiamo al terremoto del 1980 e al peso di una storia che i personaggi portano sulle spalle, senza mai abbandonare la leggerezza delle loro esistenze. Allo stesso modo, i costumi di Ortensia de Francesco raccontano l’epoca post eduardiana con attenzione.

Eduardo, Pino e i Lazzari Felici di Napoli

Ma è la colonna sonora, con l’inserimento di Lazzari Felici, a segnare uno dei momenti innovativi più alti della messinscena. Il brano diventa metafora del passaggio del tempo, un inno a quella Napoli che, nonostante il trascorrere degli anni, resta radicata nei cuori e nella cultura collettiva. Quella dei Lazzari Felici col Volto Santo in petto e la guerra nelle mani.

“E intanto passa stu Noveciento
Passammo nuje s’acconcia ‘o tiempo
Si arape ‘o stipo saje addo’ staje
E nun te scuorda’ maje
E intanto passa stu Noveciento
Cammisa ‘a fora ‘ncuorpo t’o ssient
E riest all’erta tutt’a nuttata
Pensanno addo’ si’ stato”

Musella cattura lo spirito di Gennareniello senza farne un reliquiario. Il risultato è un atto unico che, pur ancorato al suo passato, parla direttamente alla contemporaneità, soprattutto a un pubblico giovane, che in questa Napoli sospesa tra miseria e nobiltà, tra illusioni e speranze, potrebbe ritrovare molto di sé.

In un’ora di spettacolo, Gennareniello (a questo link tutti i dettagli sulle prossime rappresentazioni) ci ricorda quanto sia commovente la semplicità della vita che passa, con i suoi sussurri poetici e la sua bellezza disperata. Una lezione che, ancora una volta, Eduardo ci consegna, questa volta attraverso le mani sicure di Lino Musella e della sua straordinaria compagnia.

Corrado Parlati

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