Con un suono che mescola Glam Rock, Grunge ed elementi di hyperpop, Decrow si propone come una delle voci più interessanti della scena alternative italiana.

Il suo ultimo album, “Polmonite”, esplora il dolore come motore creativo, trasformando cicatrici fisiche e emotive in tracce intense che spingono l’ascoltatore a riflettere sulle proprie vulnerabilità. Giulio Zorzella, in arte Decrow, non teme di mostrarsi per quello che è: un artista che mette a nudo la propria anima, ispirandosi alla figura dark e malinconica di Eric Draven de Il Corvo.

In occasione dell’uscita del nuovo disco, ho avuto il piacere di intervistarlo per esplorare le radici di questa nuova opera e le sue influenze artistiche.

Se non ci conoscessimo, sono Corrado Parlati e questo è MentiSommerse.it, un rifugio virtuale dove ti racconto le storie più belle legate al mondo della musica.

Intervista a Decrow

Ogni storia è giusto che venga raccontata dall’inizio: ricordi com’è andata la prima volta in cui sei salito su un palco?

La prima volta che sono salito su un palco ero alle scuole medie. Avevo una cover band all’epoca, niente di speciale, ma ci divertivamo. Poi è passato tanto tempo prima che ricominciassi a suonare con una band dietro di me. Quando frequentavo il liceo mi ero avvicinato al rap, come tanti miei coetanei di periferia. Era la cosa più facile: scaricavi una base, ci scrivevi sopra e poi la registravi o la cantavi su un palco. Non serviva neanche una band. Ma dentro di me sentivo che quelli non erano “concerti”, non mi bastava quell’energia, ne volevo di più. Così ho ripreso a chiudermi in sala prove, preparando uno show che mi soddisfacesse al 100%.

“Polmonite” è un disco dal quale emerge un enorme senso di dolore, che appare quasi necessario per stare bene. Mi viene da pensare soprattutto a Voglia di te, in cui canti “Non può piovere sempre e poi, anche se fosse, bagniamoci un po’”. Vuoi presentare ai nostri lettori il tuo nuovo lavoro?

L’idea di Polmonite nasce in un periodo un po’ difficile della mia vita. Ho sempre avuto alti e bassi, come tutti, ma il problema è che io vedo tutto o nero o bianco, non conosco il grigio. Quando i miei periodi sono “neri”, sono veramente neri come la pece.

Durante questo periodo ho fatto dei controlli ai polmoni, fortunatamente andati bene, ma mi ha fatto strano scoprire che nei miei polmoni ci sono ancora cicatrici dovute a una polmonite avuta alla nascita. Mia madre, quando mi ha partorito, aveva la febbre alta e la polmonite, e l’ha trasmessa a me. Potevo non farcela, ma siamo sopravvissuti entrambi!

Sono stato in incubatrice per un bel po’, ma ero già forte. Credo che questo mi abbia forgiato e che senza questa esperienza non sarei la persona che sono oggi.

Ecco perché il disco si chiama così, come la malattia che mi ha creato.

Ogni brano è una radiografia di un problema che deve essere superato, che sia di natura lavorativa, salutare o affettiva. Ce n’è uno che senti particolarmente vicino a te?

Non ce n’è uno in particolare, credo che ognuno di noi incontri ostacoli e trovi il modo di superarli a modo suo.

Ma sono convinto che ogni volta che ci rialziamo diventiamo più forti, come i Super Saiyan di Dragon Ball!

“Bronchi” è una dichiarazione d’amore estremamente sui generis, con un’atmosfera quasi medievale. Com’è nata questa canzone e qual è il messaggio che porta con sé?

Bronchi è una canzone d’amore dedicata a una persona che mi ha cambiato la vita. Prima di conoscere la mia ragazza, pensavo che la vita dovesse essere vissuta sempre a mille e che rallentare significasse fermarsi.

Davo importanza a cose che, poi, ho capito non essere essenziali. Ho imparato che è fondamentale godersi le piccole sorprese quotidiane. Ho voluto dedicare tutto il mio romanticismo a questa persona.

Nella tua musica, confluiscono tantissime influenze letterarie, a partire dal tuo nome d’arte, ispirato al protagonista del fumetto di James O’Barr Il Corvo e al personaggio interpretato da Brandon Lee. Quali sono i cinque libri e i cinque film che ti hanno maggiormente influenzato e perché?

Tra i libri che mi hanno influenzato di più ci sono sicuramente I fiori del male di Baudelaire, che ho letto al liceo. Non pensavo si potesse vedere il mondo in quel modo. Poi Novecento di Baricco, meraviglioso. Il Gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach mi ha ricordato tantissimo il motivo per cui faccio musica: volare per il puro piacere di farlo. Anche Romanzo Criminale mi ha segnato molto da ragazzo, e infine Harry Potter: ogni bambino dovrebbe avere il piacere di riempirsi la testa di fantasia.

Per quanto riguarda i film, in primis Il Corvo. Quando ho scelto di chiamarmi Decrow ero nel periodo più brutto della mia vita, e la musica era l’unica cosa che mi dava energia. Altri film fondamentali sono Arancia Meccanica, Amore Tossico e Trainspotting: mi piacciono i registi che ti fanno provare emozioni negative per riempirti poi di messaggi positivi. Un altro film importante è Un cane andaluso di Buñuel e Dalì: è uno dei capolavori del cinema surrealista. Grazie alle immagini di questo film, ho scritto molti dei miei versi. Infine, Nemico Pubblico di Michael Mann con Johnny Depp, in cui ho scoperto la canzone Bye Bye Blackbird, che ora è l’intro dei miei concerti.

Progetti futuri di Decrow?

Suonare, suonare, suonare! È appena uscito Polmonite e ora voglio portarlo ovunque.

Ad Alice Cherubini va un sentito ringraziamento.

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