Il 7 ottobre 2024, Luciano Ligabue ha portato il suo tour “In teatro – Dedicato a noi” in uno dei palcoscenici più prestigiosi d’Italia, il Teatro San Carlo di Napoli.
Un evento unico, che ha visto il rocker emiliano esibirsi in uno scenario classico, in cui la potenza delle sue canzoni ha incontrato l’eleganza storica di uno dei teatri più antichi del mondo.
A pochi passi dal San Carlo, nel cuore di Piazza del Plebiscito, avevo assistito al mio primo concerto di Ligabue: due ore in pieno rock ‘n’ roll che resero ancora più rovente il 20 luglio 2012 partenopeo.
Anche in quel caso, Napoli accolse Luciano in uno dei suoi giri più particolari: in quell’occasione, infatti, la scaletta prevedeva diverse perle nascoste, come “Walter il mago”, “Angelo della nebbia” e altri brani molto raramente eseguiti dal vivo, in uno show che puntava tutto sulla potenza del rock made in Emilia Romagna.
Com’è andata questa volta? Scopriamolo insieme. Se non ci conoscessimo, sono Corrado Parlati e questo è MentiSommerse.it. Un rifugio virtuale, dove ti racconto le storie più belle legate al mondo della musica.
LIGABUE AL TEATRO SAN CARLO: IL RACCONTO DEL CONCERTO
«Gli occhi sono abbagliati, l’anima rapita. […] Non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea.», scrisse Stendhal dopo aver fatto visita al Teatro San Carlo nel 1817.
Entrare al San Carlo vuol dire mettere piede nel salotto buono per eccellenza della città. Ogni napoletano lo sa: fu fondato nel 1737 ed è il più antico teatro d’opera del mondo ad essere tuttora attivo, nonché primo teatro italiano ad istituire una scuola per la danza. Insomma: fa parte della nostra storia.
Una volta superati i controlli e fatta l’immancabile tappa al merchandising, mi dirigo verso il mio posto. Non so assolutamente nulla sulla posizione: sono riuscito ad acquistare il ticket tramite il fanclub non appena sono state aperte le prevendite ed erano selezionabili solo tramite “miglior posto”.
La maschera di sala mi indica gentilmente il posto, apro la porta del palchetto laterale: il San Carlo mi si mostra davanti in tutta la sua meraviglia, con la grande tela del soffitto che celebra il mondo delle arti.
Mi rendo conto di essere a un braccio di distanza dal palco e di avere, quindi, la possibilità di assistere al concerto di Luciano da una posizione incredibilmente privilegiata.
Alle ventuno in punto, come da tradizione, si abbassano le luci e la band sale sul palco. Ad accompagnare Ligabue in questa tournée una band di quattro elementi: Luciano Luisi alle tastiere, Davide Pezzin al basso, Federico Poggipollini alla chitarra e, alla batteria, per la prima volta in tour, suo figlio Lenny.
L’apertura è affidata a “Leggero”, in versione voce e chitarra, e al sacrosanto diritto di sentirsi tale di cui la canzone si fa, in qualche modo, portavoce. È la canzone manifesto dell’intero spettacolo: in questo giro di concerti a farla da protagonista è la musica, senza elementi aggiuntivi non necessari.
Ogni canzone gode di un vestito nuovo, cucito appositamente da Ligabue con la band per la dimensione teatrale e per esaltare la bellezza della scrittura, la profondità dei testi, l’importanza di ogni singola parola. Perchè, in fin dei conti, Ligabue è questo: un cantautore che, servendosi del linguaggio del rock, ha reso immediata la sua scrittura didascalica anche nelle fasi più complesse.
Si alternano così i grandi successi in versione rivisitata – su tutte, particolarmente riuscite sono state “Vivo, morto o X” con atmosfere da blues club sul delta del Mississippi, “Piccola stella senza cielo” e “Non è tempo per noi – e le canzoni nascoste del suo repertorio, come “Almeno credo”, “Tutte le strade portano a te” e “Buonanotte all’Italia”, accompagnate dai racconti che Ligabue ha tratto dalla sua autobiografia, pubblicata lo scorso anno..
Da sottolineare anche l’enorme emozione che accompagna Luciano nell’esecuzione di “Dedicato a noi”, con il ricordo dell’amico di sempre Luciano Ghezzi, nella sua foto con il basso a tracolla. Una di quelle immagini che non tradiscono mai.
Il finale trasforma il San Carlo in una enorme balera, mi piace pensarla simile a quella gestita da papà Giuanin in cui transitarono artisti come Lucio Dalla: “Balliamo sul mondo”, “Tra palco e realtà”, “Certe notti” e “Urlando contro il cielo” rappresentano il trionfo del rock d’autore in una delle cornici operistiche più importanti d’Italia.
Prima dei saluti, c’è spazio per un ultimo brano: si tratta di “Taca banda”, con cui un giovanissimo Lenny, appena dodicenne, esordì alla batteria su intuizione di Corrado Rustici (produttore di “Arrivederci, mostro!”, nonché uno dei musicisti più importanti nati a Napoli, fratello di Danilo che fu colonna degli Osanna di Lino Vairetti).
È la conclusione perfetta: Ligabue dimostra che, nonostante l’assenza durata 13 anni, quella dei teatri resta probabilmente la dimensione che rende maggiore giustizia alla qualità del suo songbook e del suo modo di scrivere unico, al tempo stesso complesso e diretto.