Quello di Tony Currenti è un nome che, purtroppo, è spesso sfuggito dai riflettori. Nato a Fiumefreddo di Sicilia, Tony è emigrato in Australia nel 1967 e, con la sua batteria, ha contribuito in modo significativo alla nascita del sound degli AC/DC.
Nonostante sia stato spesso trascurato nei crediti ufficiali, Tony racconta di essere stato il batterista dietro molte delle tracce iconiche di “High Voltage”. Per poter leggere correttamente il suo nome, pensate, è stato necessario il lavoro di Jesse Fink, scrittore che ha ripercorso la storia del leggendario gruppo australiano nel libro “The Youngs. The brothers who built AC/DC”.
In questa intervista, Tony ci racconta dei suoi incontri con Bon Scott, delle notti passate in studio di registrazione e delle sue esperienze con George Young, delle sfide personali che ha dovuto affrontare, come la sua mancata possibilità di unirsi stabilmente agli AC/DC per problemi di visto e obblighi militari.
Attraverso le sue parole, scopriamo il lato umano di un musicista che ha vissuto momenti cruciali nella storia del rock, pur fermandosi esattamente un secondo prima dell’esplosione del gruppo.
Se non ci conoscessimo, sono Corrado Parlati e questo è MentiSommerse.it. Un rifugio virtuale, dove ti racconto alcune delle storie più belle legate al mondo della musica.
INTERVISTA A TONY CURRENTI – IL BATTERISTA ITALIANO DI HIGH VOLTAGE
Ogni storia è giusto che venga raccontata dall’inizio: hai trascorso la tua infanzia in Italia, prima di emigrare in Australia. Che ricordi hai del tuo viaggio verso l’Australia e che impatto ha avuto anche sulla tua decisione di iniziare a suonare questo cambiamento?
Mio padre mi aveva comprato una fisarmonica all’età di cinque anni, ma mi piaceva batterla con i cucchiai di cucina. Fin da quando ho ricordi, picchiavo sulle sedie di cucina di mia mamma e ne rompevo una al mese. Avevo questa intenzione di suonare la batteria, ma a mio padre non piaceva.
Ho comprato un drum kit a sedici anni, appena arrivato in Australia, e ho iniziato a suonare con il gruppo della Chiesa locale, una volta al mese, di sabato. Ho iniziato con loro, dopo un mese mi hanno offerto di andare in un’altra band e dopo un mese e mezzo ero in TV. Sono quindi arrivati gli Inheritance e sono stato con loro quasi sei anni.
Nel 1974, dopo aver suonato con i Jackie Christian&Flight, ti sei unito come session man agli AC/DC. Ricordi il tuo primo incontro con i fratelli Young?
Loro incominciavano, erano appena arrivati sulla scena. George, il fratello maggiore, mi ha chiesto di restare per un’oretta in studio, in attesa che arrivassero i fratelli, dopo la mezzanotte, per incidere alcune canzoni che sarebbero state parte di High Voltage. Il primo a entrare in sala fu Bon Scott, che già conoscevo da anni. È stata una cosa bella, mi ha fatto tanto piacere. Ho incontrato gli Young e abbiamo iniziato a registrare per quattro notti, un totale di otto pezzi, di cui sette sarebbero finite su High voltage.
Nel libro “The Youngs. The brothers who built AC/DC” racconti di aver registrato la batteria in quasi tutte le canzoni di “High voltage”. Soffermiamoci proprio sulla title track: ricordi com’è nata?
È stata l’ultima canzone che abbiamo registrato. George voleva includerla nel disco, il direttore voleva tenerla fuori come singolo. Dopo cinquant’anni ancora la suonano, è una cosa spettacolare.
Hai raccontato che, nel 1985, hai portato una copia di High Voltage in Sicilia. Che ricordi hai di quel momento
Nel 1985 nessuno ancora conosceva gli AC/DC, era un po’ presto. Per me era un ricordo da far vedere ai miei parenti in Sicilia, ero orgoglioso di aver suonato con un grande gruppo ma nessuno lo conosceva (ride, ndr).
In conclusione, cosa ti ha spinto a decidere di cambiare totalmente vita e aprire una pizzeria?
Avevo in mente fin da piccolo di dover tenere la famiglia per conto mio e, dopo aver perso l’opportunità con gli AC/DC, dovevo ricominciare e non me la sentivo, quindi ho aperto una pizzeria. Mi è andata bene, tutt’oggi la gestisce mio figlio, io non lavoro più. Mi è servita per ottenere quello che avevo sempre in mente: avere una famiglia, stare bene, continuare la mia vita personale.
Mio padre era molto “stretto”, non voleva che uscissi di casa, per me suonare è stato un motivo di libertà. Perciò, con le scuse che dovevo fare pratica, suonare, era la mia via d’uscita per avere libertà e sviluppare la mia personalità. Loro sono tornati in Italia dopo due anni, io sono rimasto in Australia.
IL DOCUMENTARIO THE FORGOTTEN SYDNEY OF AC/DC
Un mini-documentario di Tom Compagnoni esplora i luoghi dimenticati e la storia che ha plasmato gli AC/DC, intervistando alcuni membri originali della band: Mark Evans, Noel Taylor, Rob Bailey e Tony Currenti.
Gli anni di formazione della band a Sydney sono raccontati attraverso i ricordi dei primissimi componenti, che parlano delle prove e degli eventi sociali a casa della famiglia Young a Burwood, del primo video girato a Cronulla e della registrazione del primo album agli Albert Studios nel cuore di Sydney.