“Opera Viva” è un lavoro scritto, diretto e interpretato dagli ex allievi della Teatro Bellini Factory. Il testo mette al centro il tema della casa intesa come incipit architettonico del racconto esistenziale di ogni individuo. Un luogo, fisico e dell’anima, dal quale tutto parte e al quale, inevitabilmente, tutto torna.
Per presentare lo spettacolo, in programma al Piccolo Bellini dal 26 gennaio al 4 febbraio, ho scambiato due chiacchiere con la regista Maria Chiara Montella.
Se non ci conoscessimo, sono Corrado Parlati e tramite queste pagine provo a raccontarti tutto il bello che c’è nella mia città: Napoli. Benvenuto a bordo!
“Opera Viva” è scritto, diretto e interpretato dagli ex allievi della Bellini Factory ed è nato in un periodo estremamente particolare come quello della pandemia. Quali sono state le principali fonti d’ispirazione per realizzare questo spettacolo?
A questa domanda probabilmente potrebbe rispondere con più precisione la mia collega, l’autrice del testo, Elvira Buonocore. Io posso dirle che il contesto in cui il progetto vide la luce, un anno e mezzo fa, è quello del diploma in Bellini Teatro Factory.
Una grande occasione che ci hanno concesso Gabriele Russo, Costanza Boccardi e Marina Dammacco: avremmo potuto diplomarci con il classico “saggio di fine triennio” e invece ci è stata data la possibilità rispettivamente di scrivere, scegliere tra i nostri colleghi attori gli interpreti più adatti e, infine, mettere in scena lo spettacolo.
Opera Viva parla di qualcosa di universale. La memoria, il passato che ci perseguita fin quando ci rifiutiamo di farci i conti. E questo, vale microscopicamente, per noi come individui nel mondo, e macroscopicamente, in quanto comunità sociale.
Ciò che noi calpestiamo, ciò che noi distruggiamo per il nostro egoistico bisogno, prima o poi ci chiederà il conto.
Come il pianeta e le sue risorse, che stiamo spremendo oltre ogni limite per il nostro insensato bisogno di progresso sistemico. Un progresso in cui singole individualità si espandono a scapito della collettività.
Al centro dell’opera c’è il tema della casa. Nella sinossi dello spettacolo, si legge “Le case sono piantagioni furibonde, incipit architettonici di un racconto esistenziale che non potendo mai finire, si sfilaccia in una dolorosa intermittenza”. Qual è per Maria Chiara Montella il vero significato della parola “casa”?
Casa è fondamenta. Quel luogo in cui il seme di chi sono viene piantato. Casa è il serbatoio del mio lessico umano. Testimone inanimato della mia educazione sentimentale.
Casa è ciò da cui sono fuggita per una promessa di libertà effimera. E infine casa, è ciò a cui torno ineluttabilmente, scoprendo che mi è rimasta addosso, che mi rimarrà per sempre addosso.
Se dovesse scegliere tre istantanee legate alla fase di realizzazione di “Opera viva” da raccontare ai nostri lettori, quali sceglierebbe e perché?
Una è la prima lettura a tavolino con gli attori. Perché è stato il punto di partenza, il principio, l’inizio.
La seconda è il debutto dell’anno scorso. Perché lo spettacolo può nascere davvero solo nel primo incontro con il pubblico. Noi proviamo a costruire, quello che ci immaginiamo possa essere. Ma è solo nel momento dell’incontro col pubblico che il cuore dello spettacolo può iniziare a pulsare.
L’ultima istantanea è di ieri sera. Fine prove dopo dodici ore. Dico agli attori che possono andare. Io salgo in palco a sistemare i pezzi della scenografia che necessitavano di manutenzione. Ad uno ad uno, gli attori mi hanno raggiunta in palco e insieme, abbiamo lavorato alla scenografia. Ecco, per me è questo il teatro. È questo il patto collettivo. La scelta di essere. Di essere insieme. In tutte le sue forme.
Da poco, ha completato il triennio alla Bellini Teatro Factory. Che esperienza è stata, per Lei, far parte di una scuola che mette al centro di tutto il teatro inteso anche come “patto collettivo”?
Per me la “Bellini Teatro Factory” è stato un passaggio di vita imprescindibile. Il punto di forza del progetto formativo della Factory, è la convivenza tra attori, drammaturghi e registi.
In questi tre anni, abbiamo potuto apprendere e lavorare, come una grande compagnia teatrale, con la fortuna inestimabile poi, di poter imparare l’artigianato teatrale, in un teatro come il Bellini.
Con i miei compagni, ormai colleghi, abbiamo condiviso un vero e proprio viaggio di vita, fatto dal lavoro in sala e la vita nel teatro, le lezioni, gli spettacoli che abbiamo potuto vedere insieme, ai progetti che sono nati. Da questo percorso ormai concluso, è nata infatti La Compagnia di Charlie Tan, collettivo fondato da me e tre miei compagni di classe.
Con i miei compagni, che in questi tre anni sono diventati quasi fratelli, ho imparato una delle lezioni per me più importanti sul teatro e sulla vita: da soli non siamo niente. Per essere, per poter veramente essere e non solo apparire, bisogna saper stare. Saper stare insieme.
Sulla base delle esperienze da Lei accumulate nel corso degli anni, quali sono i principali insegnamenti che condividerebbe con un ragazzo che si sta avvicinando al mondo del teatro e coltiva il sogno di metterlo al centro della propria vita?
Citerò un passaggio di “È stata la mano di Dio”. Marchino e Fabietto sono a vedere gli allenamenti del Napoli. Guardano Maradona che si allena battendo punizioni su punizioni. Incessantemente.
Marchino guarda Fabietto e gli dice: “Lo vedi? La sai quella là come si chiama? Si chiama perseveranza io non ce l’avrò mai. E tu dovrai avercela per forza Fabiè.”
In conclusione, diamo una sfogliata all’album dei ricordi: quali sono le prime memorie di Maria Chiara Montella legate al mondo del teatro?
Pochi assi di legno che scricchiolano. Sconosciuti che ci camminano sopra. La vergogna, la paura del giudizio. Guardo a terra perché ho paura. Ho paura di loro, ho paura del mondo. Poi alzo lo sguardo, c’è una persona che mi sorride. La paura si ammutolisce, inizio finalmente a giocare.