11 agosto 1973. Siamo sulla Sedgwick Avenue, al 1520, e sta per iniziare una festa. L’obiettivo? Quello di raccogliere i soldi necessari a comprare alla piccola Cindy Campbell i vestiti per l’imminente inizio della scuola.
Al centro di casa Campbell si posiziona Clive, suo fratello maggiore, con una serie di dischi a cui ha tolto l’etichetta e di cui gli invitati ascolteranno soltanto la parte ritmica di batteria e basso. Il messaggio e le voci corrono alla velocità del Bronx che, sullo sfondo, bruciava. La casa si riempie, Mr. Campbell raccoglie i soldi all’ingresso, facendo entrare gratis le donne.
Così va in scena il primo party hip-hop.
Per celebrare i cinquant’anni dalla nascita di una cultura che, nel corso del tempo, ha permeato ogni genere musicale, ho scambiato due chiacchiere con Jonathan Abrams, penna pluripremiata del New York Times, autore di “The Come Up: An Oral History of the Rise of Hip-Hop”.
Laureato all’Università del Southern California, Abrams ha lavorato come scrittore per Bleacher Report, Grantland e Los Angeles Times.
Quali erano le condizioni socio-culturali del Bronx nel periodo in cui è nato l’Hip Hop?
“Per dare inizio all’hip-hop, ci sono stati diversi elementi cruciali che si sono mescolati.
Tutto ha inizio nel Bronx nei primi anni ’70, quando molte cose convergono: è il periodo in cui il Bronx sta bruciando. Ci sono incendi ovunque. C’è decadenza ovunque. I programmi scolastici per i ragazzi vengono tagliati.
Nel frattempo, la disco è molto popolare e i ragazzi più grandi con disponibilità economica viaggiano verso il centro città per prendere parte a questi eventi.
Quello che rimane sono un gruppo di ragazzi praticamente senza nulla da fare, che finiscono per inventare e innovare una forma d’arte e un genere che hanno toccato ogni aspetto della cultura.”
Le origini del gangsta rap sono spesso associate a Los Angeles, ma la parola “gangsta”, così come probabilmente “nigga”, sono state usate per la prima volta a Philadelphia. Esiste, secondo te, un filo che lega queste due realtà?
“Quello che conosciamo come gangster rap inizia quando l’hip-hop abbandona le sue origini incentrate sulle feste. Nel 1985, Schoolly D è a Filadelfia ed è influenzato da ‘The Message,’ una delle prime canzoni di hip-hop con una coscienza sociale che documenta la difficile situazione delle zone urbane: “It’s like a jungle sometimes, it makes me wonder how I keep from going under.” (‘È come una giungla a volte, mi fa meravigliare di come faccio a non soccombere.’) Non si tratta più di ‘I said-a hip, hop, the hippie, the hippie/ To the hip hip hop-a you don’t stop the rock.’ Inizia a assumere un significato più profondo.
Schoolly D decide di documentare la vita così come si presenta davanti ai suoi occhi e nel 1985 pubblica ‘PSK: What Does it Mean?’ PSK sta per Park Side Killers, una street gang di cui era affiliato. Questa canzone è una delle prime canzoni hardcore rap e include contenuti espliciti come graphic sex, violenza con armi da fuoco, riferimenti alla droga e uno dei primi a utilizzare la parola ‘nigga’ nell’hip-hop.
Da lì, è possibile tracciare un collegamento diretto da Schoolly D al gangster rap sulla West Coast. Ice-T chiama effettivamente Schoolly D, comunicandogli che lo aveva ispirato con la sua canzone ‘6 ‘N The Morning’, che fa riferimento all’orario in cui la LAPD è solita sfondare le porte. Entrambe le canzoni ispirano ‘Boyz-n-the-Hood,’ e il sottogenere esplode con N.W.A da lì.
Tuttavia, è importante notare che all’epoca gli artisti lo chiamavano reality rap o hustler rap e sia Ice-T che Schoolly D, in interviste, hanno parlato del fatto che non stavano idealizzando questo tipo di stile di vita. Stavano semplicemente documentando ciò che vedevano e sperimentavano”
Se dovessi segnalare ai nostri lettori cinque dischi imperdibili per celebrare i cinquant’anni dell’hip hop, quali sceglieresti e perché?
“Nas – Illmatic.
NWA – Straight Outta Compton –
Ready to Die di The Notorious BIG –
It Takes A Nation of Million to Hold Us Back dei Public Enemy –
The Chronic di Dr. Dre.
Tutti questi album hanno contribuito a spingere avanti l’hip-hop, che si tratti della produzione di The Chronic, del messaggio rivoluzionario di Millions o della capacità poetica di Nas e BIG.”
Intervista di Corrado Parlati
A Jonathan Abrams va un sentito ringraziamento da parte della redazione di MentiSommerse.it