“Dignità autonome di prostituzione” è un qualcosa di più di uno spettacolo teatrale: è un evento in cui vengono scardinate tutte le convenzioni classiche e si resta sospesi tra sogno e realtà. Una dimensione capace di far riflettere sul mondo del teatro e sul suo ruolo civile, oggi più che mai di fondamentale importanza.

Per parlare dell’edizione di quest’anno, tenutasi a Castel Sant’Elmo di Napoli fino allo scorso 16 luglio, ho avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con Luciano Melchionna, regista e ideatore dello spettacolo.

Quella del 2023 è stata l’edizione dei record per “Dignità autonome di prostituzione”, con oltre 24mila spettatori e ogni singola replica che ha fatto registrare il tutto esaurito. Com’è evoluto questo spettacolo nel corso degli anni?

Dignità autonome di prostituzione 2023

Foto di Anna Abet

DAdP è cresciuto con me, è il luogo dove posso dire tutto ciò che voglio e che sento, è il mio mondo sentimentale e creativo. Chi mi conosce, ormai, e segue da anni i miei lavori, dice che non si tratta di uno spettacolo ma di un’esperienza multipla che passa attraverso la proiezione di una buona porzione della mia testa. In DAdP ci sono tutti i temi che mi stanno più a cuore.

La mia poetica, frazionata negli altri spettacoli che metto in scena, qui trova una forma molteplice ma unica attraverso ciò che ritengo importante raccontare a modo mio, per far riflettere, in un percorso di emozioni violente e potenti.

Ovviamente, nel tempo ho aggiunto anime sempre più talentose, umanamente e artisticamente, e questo è il valore aggiunto: nel mio lavoro vige una regola fondamentale – un po’ fuori moda, forse – ed è la meritocrazia. Chiunque entri a far parte del mio ‘luna park delle emozioni’ non può sottrarsi ad una audizione di qualche giorno in cui si lavori insieme sulla parola e su tutti i possibili rimandi emotivi che questa evoca.

La mia ‘famiglia artistica’, dunque, sempre più numerosa, accoglie il mio pubblico e lo coccola in tutti i modi, rieducandolo umilmente alla commozione e al sorriso. Sì, DAdP è proprio l’isola che non c’è se non nel mio cuore, e lo scambio meraviglioso con gli spettatori è la vera ragione e il senso più profondo del mio lavoro.

L’edizione di quest’anno di “Dignità autonome di prostituzione” vede come uno dei temi centrali l’amore e l’amare qualcosa e/o qualcuno. Qual è la visione dell’amore di Luciano Melchionna oggi?

“I’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e da quel mo’
ch’e’ ditta dentro vo significando.”

Questo verso meraviglioso di Dante me lo insegnò mia madre quand’ero piccolo e non mi ha mai abbandonato, come un mantra. Da giovane, però, questo amore viveva di slanci e gesti forti, apparentemente aggressivi, infuocati.

Dopo aver compiuto i 50 anni, ho deciso di restituire a quella stessa urgenza, implacabile e necessaria, la forma più consona e meno esplosiva affinché potesse far bene al mondo e a me stesso. Oggi l’amore, per me, non ha pudori, non ha freni, non ha limiti e non si cura di chi lo giudica banale o lo relega, stupidamente o per paura, nel mondo della debolezza.

Oggi so che l’unico modo per resistere ai “dardi dell’oltraggiosa fortuna” che minano la nostra vita è proprio il tenersi per mano.

Nel mio ultimo film, faccio dire ad un nipote (Lorenzo Balducci) dalla nonna (Stefania Sandrelli) che “bisogna condividere la gioia, alleviare la sofferenza… perché ce n’è per tutti, prima o poi.”

Evviva l’amore, dunque, nella sua accezione più ampia e alta, comprensiva della gentilezza, dell’ascolto, del rispetto e della difesa dei diritti civili, lottando con le nostre uniche vere armi, quelle del corpo, della mente e del cuore.

“Lia”, portato in scena da Daniele Russo, è uno dei personaggi fondamentali dello spettacolo. Nel corso del suo monologo, si provano le emozioni più forti e contrastanti tra di loro. Com’è nato questo personaggio e qual è il messaggio che porta con sé?

Il personaggio “Lia” è tratto da una mia ‘tragicommedia’ del 2000, “Pausa”, un’attesa beckettiana nella sala di un ospedale dove si riunisce una famiglia strampalata mentre il capofamiglia (inteso come padre, marito e autore) è in coma.

Lia è un travestito nel senso più fluido della parola, non si trova, non si riconosce in nulla e non sa stare nei codici già assegnati dalla società: lui è un muratore che fatica a guadagnare a sufficienza, e si trascina così in una doppia vita notturna per aiutare la moglie e il figlio a vivere più dignitosamente ma anche per sentirsi libero e più ‘a fuoco’ nei panni, per provocazione, di chi seppur discriminato e ghettizzato – ancora oggi, ahimè – ha il coraggio di dire e fare ciò che vuole, distribuendo amore e speranza in una società che cade a pezzi dietro l’intonaco perfetto delle sue ‘costruzioni’.

Citando il monologo de “La tarata”, ognuno di noi nasce più volte. Da un punto di vista artistico, com’è nato Luciano Melchionna e quanto è cambiato il suo approccio al mondo del teatro nel corso dei sedici anni di “Dignità autonome di prostituzione?

Luciano Melchionna dignità autonome di prostituzione

Foto di Anna Abet

Nella prima e quarta di copertina del mio secondo volume di ‘mono-luoghi’ dal titolo “Mi sfugge di volare” (uscito da un paio di mesi con la Chipiuneartedizioni) ho fatto stampare una mia autobiografia poetica che ho anche donato al pubblico di questa edizione di DAdP a Castel Sant’elmo, con la mia voce fuori campo, ad inizio spettacolo.

Il richiamo del teatro è stato fortissimo fin da piccolo, a scuola, dove ho avuto la fortuna di partecipare ad un corso pomeridiano ed esibirmi in saggi di fine anno che ricordo ancora con grande gioia e bollicine di adrenalina sotto pelle.

Entrando poi, ancora adolescente, in un piccolo teatro di Roma ho sentito che quello sarebbe stato il ‘sacro’ per me: un’illuminazione che ha cambiato la mia vita, mi ha permesso di esprimermi e di urlare al mondo il mio desiderio di Bellezza, prima come attore e poi, rinascendo più volte, appunto, come regista e autore.

C’è un personaggio che, più di ogni altro, è legato alla genesi del bordello dell’arte?

Prima ancora di iniziare questa avventura ‘dignitosa’ – nata sedici anni fa – io portavo in giro, in spazi alternativi, piccole performance teatrali in piccole stanze che chi veniva per altri eventi scopriva per caso.

Dentro, alcune attrici raccontavano la storia di Nella, una nonna meravigliosa che, alla sua morte, lascia un’eredità inaspettata ai nipoti: la scoperta del suo mestiere di prostituta in gioventù. Il percorso della giovane parente che decide di fare i conti con quella verità così spiazzante, paralizzata inizialmente da mille pregiudizi, porterà alla consapevolezza della libertà di scelta, fondata sull’onestà e sui valori più alti che sono quelli che ha insegnato la nonna alla nipote e che faranno della giovane una donna indipendente, fiera e libera di essere e vivere come vuole, senza per questo ferire o limitare nessuno, anzi, prendendosi cura dell’umanità così come ha imparato dall’anziana parente che l’ha cresciuta.

In “Gas” ritroviamo la vita di quattro ragazzi di provincia che attraverso la violenza liberano tutta la tensione dovuta al quotidiano impatto con la società. Una storia che, diciott’anni dopo, sembra ancora straordinariamente attuale. Quali sono le sue riflessioni attuali riguardo il tema centrale di “Gas”?

Purtroppo è davvero ancora di grande attualità questa tematica e lo trovo davvero assurdo, visto che, nel 2005 quando uscì il mio film, la critica più diffusa fu che le problematiche di cui parlavo erano ormai superate: facile liquidare così il problema, no? È proprio vero che, per alcuni di noi, è sempre più facile seppellire sotto la cenere i tizzoni roventi di quella realtà che ci mette davanti allo specchio e ci costringe a fare i conti con la nostra vita.

Per quanto si parli sempre di più di questo argomento, più che mai oggi c’è ancora troppa dis-umanità a tal riguardo e lo svuotamento culturale dei canali di informazione non aiuta la gente ad aprire la mente e a non aver paura di essere messa in discussione nelle sue piccole, arbitrarie, certezze di comodo.

La cultura è l’unica arma e noi artisti nel nostro piccolo dobbiamo fare tutto il possibile per riattivare quello strumento meraviglioso che può salvare il mondo: l’empatia, la chiave di volta dell’Amore, appunto. Al sacrificio, irrazionale, eclatante e distruttivo, del protagonista di Gas, si contrappone un piccolo gesto, semplice e immenso, ovvero la corsa al mare di un’anziana donna – ‘diversa’ per questo mondo, non per lui – che torna a respirare, a prendere in mano la sua vita: il suo nome è Speranza.

A Luciano Melchionna va un sentito ringraziamento.

Foto di Anna Abet

Intervista di Corrado Parlati

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