Lo scorso 31 marzo è uscito Gli anni di Cristo (Maciste Dischi / Virgin Records / Universal Music Italia), il nuovo album del cantautore Matteo Mobrici, scritto e composto nel corso dei suoi 33 anni. Undici brani, di cui una cover in collaborazione con Fulminacci e un featuring con Vasco Brondi (Le Luci della Centrale Elettrica).

Avevamo già avuto un’anticipazione dell’album con la pubblicazione dei singoli Piccola, Luci del Colosseo e Figli del futuro che sono bastati per far registrare ben due sold out nelle date di aprile di Roma e Milano.

In occasione dell’uscita del suo nuovo lavoro, abbiamo scambiato due chiacchiere con Matteo.

– “Gli anni di Cristo” è senza dubbio un album molto riflessivo, quasi autobiografico, un album pieno di interrogativi, dubbi che fanno riflettere. Tra i vari brani, qual è stato quello più difficile da buttar giù, da un punto di vista emotivo?

Probabilmente “Piccola”, perché mi ha aiutato a capire molti aspetti di me, dal mio passato al mio presente.

Dalla notte in cui l’ho scritta, ho cambiato un po’ il punto di vista sulla vita, è un po’ come se fossi guarito da qualcosa.

C’è un io pre-piccola e un io post-piccola.

– Si può considerare “Figli del futuro” il brano che più racchiude l’essenza dell’album? Com’è nata la canzone? E soprattutto…come lo vedi il tuo futuro?

Sicuramente rispecchia uno dei miei pensieri su quest’epoca. Trovo che sia tutto un po’ confuso, tutto in conflitto, dove il futuro non è lì ad aspettarci ma sembra quasi una minaccia. E cosa sono i figli del futuro se non il futuro stesso?

Ecco, questa considerazione mi ha accompagnato per mesi, e la penso ancora così.

Nel brano non do un giudizio ma mi andava di lanciare questo tema per poterci confrontare, discutere.

Il mio futuro non riesco molto a vederlo in questo momento. Proprio per quel che dicevo prima, ovvero che mi sembra tutto una resistenza piuttosto che uno slancio positivo verso giorni nuovi.
A 16 anni riuscivo esattamente a vedere il Matteo Mobrici che sono adesso, ma, ad oggi, non vedo a come e chi sarò tra qualche anno.

– “Kaiserkeller” ha un sound molto più duro, un po’ garage. Il riferimento allo storico locale di Amburgo è evidente; il brano può essere considerato come una sorta di nostalgia nel “non aver fatto in tempo” a vivere una certa epoca?

Per come ragiono, io amo il presente e non il passato o il futuro. Se mi dovessi chiedere in quale epoca sarei voluto vivere, risponderei di certo ‘tra mezz’ora’.

Il bello della musica del passato è che già stata realizzata e quindi puoi utilizzarla come ti piace più fare, come se fossi un pittore e stessi usando una determinata tecnica molto usata in passato.

– “Luci del Colosseo” è probabilmente il brano più romantico dell’album (in fondo, non è Roma la città dell’amore?). Il dolore di una storia a distanza che, per quanto ci si possa impegnare, è sempre difficile da concretizzare. Ci spieghi come nasce il brano e soprattutto quanto è importante la scelta del sound, con questo ritmo molto pop anni ’80?

Scrivo le canzoni già con un arrangiamento preciso in testa, quindi per me il sound è un ingrediente fondamentale per quel che sto esprimendo.

In questo caso, l’ottantone stava benissimo sul tema, sulle parole e sulla melodia, e quindi è nata già così. Trovo importante la musica come comunicazione, così come lo sono le parole o la melodia.

Me ne occupo già in fase di scrittura e, arrangiare i vari strumenti, è una delle cose che mi diverte più fare.

– Brunori e Gazzelle sono stati i protagonisti delle tue collaborazioni in “Anche le scimmie cadono dagli alberi”, mentre Fulminacci e Vasco Brondi lo sono stati per “Gli anni di Cristo”. Com’è stato lavorare con questi artisti, che rapporto avete e soprattutto, come pensi che ti abbiano arricchito musicalmente e personalmente?

Innanzitutto sono amici, poi sono persone che stimo e che mi hanno insegnato tutti cose diverse. Ma non tanto sul loro operato nel fare canzoni, che è assolutamente ottimo per me, ma sul modo di vivere la vita, su come pensano e affrontano il loro percorso.

Mi piace portare nei miei album questi tipi di rapporti che vanno aldilà di una pubblicazione discografica.

I miei dischi sono la mia vita in musica, e avere degli ospiti del genere, non è altro che essere coerente con quello che poi la gente ascolta.

– In particolar modo nella cover rap di Fibra “Stavo pensando a te”, hai trasformato un brano interamente rap in un brano pop. Il prodotto finale ha riscosso un enorme successo, quasi come se il brano fosse destinato a essere riprodotto in “questa dimensione”. Com’è stata riarrangiarla con Fulminacci e soprattutto, com’è nata l’idea?

Nasce veramente a caso. Rockit mi aveva chiesto di fare un video live insieme a Fulminacci, lasciando libera la scelta del brano. Avrebbe potuto essere un brano mio, o suo o di chiunque altro.
In quel periodo era appena uscito il disco di Fibra, e mi aveva molto colpito, come di solito accade molto raramente.
Allora l’ho proposta a Fulminacci, l’abbiamo buttata giù, provata 2 volte a casa mia e poi siamo andati a registrarla. Il tutto, come puoi capire, davvero in modo spontaneo e preso alla leggera.
Poi è piaciuta molto, e ho pensato di registrarne una versione da inserire in un album perché altrimenti sarebbe rimasta lì su YouTube per sempre.

– Ci racconti come nasce l’idea della copertina dell’album?

È un’idea di questi ragazzi molto bravi di Roma, che si chiamano ‘Supercinema’. Non è una foto ma un’immagine. È stata realizzata con intelligenza artificiale, e di mio ci sono solo la testa e le mani. Non è importante chiedersi cosa rappresenti perché ognuno ci vede quello che gli pare.

Quello che vedo io? Oggi, si fa un po’ di fatica a capire cosa sia vero o finto, dalle notizie all’immagine che abbiamo di noi stessi, e ci vedo esattamente questo. In molti pensano ancora sia uno scatto vero realizzato in uno studio con una palla bianca gigante, ma non è mai accaduto.

– Siamo giunti all’ultima domanda. Ripensi mai ad un ritorno dei Canova o credi che questa “dimensione” da solista ti permetta di esprimerti al meglio?

Non credo che potrà accadere di nuovo, ma non perché ora sia meglio o peggio di prima. Anche prima riuscivo a esprimermi al meglio quasi esattamente come adesso, ma più semplicemente è una questione di vita.
Adesso o in futuro sarebbe molto forzato riunirsi perché le vite stesse si sono separate e allontanate.
Credo che sia stata una grande band in un gran bel momento per la musica italiana, ma probabilmente doveva andare così e così è andata.

Intervista a cura di Chiara Di Bernardo

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