Napoli è una città complessa, contraddittoria, stratificata.
È una città capace di azzerare le distanze, di amalgamare le vite dei suoi cittadini che si muovono per le strade come attori su un enorme palcoscenico, di presentare quattro classi sociali senza alcun punto di contatto all’interno dello stesso palazzo.
È una città, Napoli, che nonostante tutto riesce a mantenere una sua enorme umanità e vitalità.
Lo sapeva bene anche Pier Paolo Pasolini che, in una delle Lettere Luterane indirizzata a tale Gennariniello, scriveva:
“Io sto scrivendo nei primi mesi del 1975: e, in questo periodo, benché sia ormai un po’ di tempo che non vengo a Napoli, i napoletani rappresentano per me una categoria di persone che mi sono appunto, in concreto, e, per di più, ideologicamente, simpatici. Essi infatti in questi anni – e, per la precisione, in questo decennio non sono molto cambiati. Sono rimasti gli stessi napoletani di tutta la storia.
E questo per me è molto importante, anche se so che posso essere sospettato, per questo, delle cose più terribili, fino ad apparire un traditore, un reietto, un poco di buono. Ma cosa vuoi farci, preferisco la povertà dei napoletani al benessere della repubblica italiana, preferisco l’ignoranza dei napoletani alle scuole della repubblica italiana, preferisco le scenette, sia pure un po’ naturalistiche, cui si può ancora assistere nei bassi napoletani, alle scenette della televisione della repubblica italiana. Coi napoletani mi sento in estrema confidenza, perché siamo costretti a capirci a vicenda.
Coi napoletani non ho ritegno fisico, perché essi, innocentemente, non ce l’hanno con me. Coi napoletani posso presumere di poter insegnare qualcosa perché essi sanno che la loro attenzione è un favore che essi mi fanno. Lo scambio di sapere è dunque assolutamente naturale”
Ed è proprio sul concetto di stratificazione e di vitalità che si basa “Strativari”, uno spettacolo che vede protagonisti Cristina Donadio, nel ruolo di voce narrante, Solis String Quartet e Maurizio Capone e BungtBangt.
In questo continuo capovolgimento di ruoli, dove il sacro parte dal ventre vulcanico della terra madre, con bambini che giocano partite infinite tra case fracassate e le mura umide, Cristina Donadio funge da trait d’union tra due mondi apparentemente distanti.
Gli strati vari – che formano gli otto quadri artistico-sociali dello spettacolo – si compongono di una pluralità di anime migranti, corpi, suoni e linguaggi senza eguali.
La presenza sul palco dei Solis String Quartet di nero vestiti con i loro archi e le percussioni suonate con strumenti riciclati dal gruppo guidato da Capone, infatti, genera un’energia che, partendo dal contrasto, è in perfetta sintonia con gli Strati Vari dello spettacolo.
La stagione teatrale del Lendi si chiude quindi con uno spettacolo insolito, particolare, che in realtà è stato uno dei primi a essere inserito nel calendario, come ha raccontato a inizio serata il direttore artistico Francesco Scarano.
Al termine delle tre repliche, lo sguardo è già volto all’annata ventura, che si preannuncia da non perdere.