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I Ministri raccontano i loro ‘Giuramenti’ [INTERVISTA]

Dopo quattro anni dall’uscita di Fidatevi, il trio milanese I Ministri è ritornato, tra un lockdown e l’altro, più carico che mai con il nuovo album in studio Giuramenti.

Davide Autelitano, Federico Dragogna, Michele Esposito, ci parlano, attraverso i loro brani, di fedeltà, di speranza, di futuro e di rinascita, attraverso i loro ‘giuramenti’.

Per analizzare le canzoni contenute nel loro ultimo lavoro e parlare del tour che li sta vedendo protagonisti in giro per l’Italia, abbiamo scambiato due chiacchiere con Federico Dragogna.

FEDERICO DRAGOGNA RACCONTA “GIURAMENTI”

Giuramenti, settimo e ultimo lavoro in studio, pubblicato lo scorso 6 maggio in versione fisica e digitale. Cosa sono questi “giuramenti” e come nasce anche l’artwork dell’album?

 

L’artwork nasce dal video di Scatolette, il secondo singolo pubblicato: cercavamo un logo per la nostra azienda immaginaria di consegne, e volevamo ispirarci al famoso leone dell’Agip. Il nostro grafico Folp ha disegnato perció questo grande rapace che abbiamo poi attaccato sul furgone con cui abbiamo consegnato canzoni in giro per il Nord Italia. Arrivati a dover decidere l’artwork, sempre il nostro fidato Folp ci ha fatto vedere quella che poi sarebbe stata la copertina, cioè lo stesso rapace senza più contorni netti e studi di comunicazione alle spalle, ma quasi senza corpo, come percorso da scie di colore. Appena l’abbiamo visto, abbiamo capito che sarebbe stato in copertina. I Giuramenti del titolo, invece, sono quelli che facemmo, silenziosamente, quindici anni fa, in gran parte responsabili di averci fatto arrivare a questo punto così come siamo – nel bene e nel male.

 

Un album sicuramente più intimo e personale rispetto ai precedenti, carico e d’impatto a modo suo, non banale. Qual è stato il punto di partenza per la stesura dell’album e soprattutto, i riferimenti che hanno influito sia dal punto di vista musicale, sia dei testi. 

 

I riferimenti servivano più che altro all’inizio, dieci o quindici anni fa, per capire attraverso il lavoro degli altri quale fosse la nostra firma, la nostra voce. Una volta che la trovi il punto è più che altro rispettarla, seguirla, ascoltarla – qualsiasi cosa ti dica, ovunque ti porti. C’è un’altra voce, che è quella del mercato, delle tendenze, dello spirito dei tempi, che ronza ugualmente nella testa: decidere quanto ascoltarla (poco, nel nostro caso) è una scelta di ognuno di noi. 

 

Amore, empatia, rabbia, incertezza, amore per la musica sono tutti temi che si ritrovano nell’album, così come si ritrova spesso nei testi la parola “futuro” (vedi Documentari, Numeri, Esploratori): casualità o frutto di una riflessione sul futuro della musica e della band dopo questo periodo buio? 

Il futuro è fatto di parole, non abbiamo altro modo per trattarlo o per avvicinarci ad esso. E l’uomo, tranne rare eccezioni, ha sempre amato dipingerlo con le parole più nere che avesse a portata, che fosse l’anno mille o il presente. Dato che tutto sommato tra l’anno mille e oggi di cose belle ne sono successe, viene da pensare che sia qualcosa di strutturale all’uomo – che inevitabilmente invecchia e inevitabilmente non potrà vedere cosa succederà alla fine del (suo) tutto. Questo periodo, appunto, non è da meno: quello che è cambiato, e che ci sta cambiando, è più che altro l’invasività degli strumenti che ci ricordano costantemente quanto il futuro sia nero e mortifero. Se prima era un profeta su una collina o un quotidiano in un’edicola, oggi è un assedio mediatico che parte dalle nostre tasche – bloccandoci in un’ansia perenne.

 

Contraddetti dai nostri stessi giuramenti, correre cercando gli ostacoli”: è quello che cantate in Comete, brano di chiusura dell’album, in cui ritornano appunto i “giuramenti”. Come mai la scelta di chiudere con il brano, forse, più profondo e intimo tra i nove e cosa volete trasmettere?

 

Mentre stai lavorando alle canzoni di un album, individui abbastanza presto chi lo concluderà, quale canzone farà da epilogo: Comete è stata da subito un’ottima candidata e perció abbiamo voluto costruire un finale degno dell’album – con un tema/assolo che rendesse anche tributo a La Cura di Battiato. Tra le molte parole del testo, una ci ha risuonato dentro quando dovevamo scegliere il titolo dell’album stesso: Giuramenti, appunto, nonostante nel testo di Comete sembra siano stati già traditi. 

IL NUOVO TOUR E LE CANZONI IN OMBRA DE I MINISTRI

Dopo un tour nei club prima della pubblicazione di Giuramenti, siete ritornati l’otto luglio a Bergamo più carichi di prima per l’inizio del tour estivo. Cosa vi portate da questa esperienza, com’è ritornare live con dei brani nuovi, dopo tanti mesi senza concerti?

 

Quando saliamo su un palco, siamo sempre carichi. In un certo senso sentiamo di “doverlo” essere, è per l’appunto il nostro giuramento. Siamo stati felici di fare il tour in primavera, quando stava finendo lo stato di emergenza (comunque prontamente sostituito da altre emergenze) e i club stavano riaprendo dopo due anni di stop – era importante per noi poter star loro vicino, dopo tanto tempo passato a lavorare assieme. Ora l’estate è un po’ uno strano ingorgo, dove i due anni di stop si stanno concentrando in tre soli mesi, con anche il ritorno dei grandi e grandissimi festival, degli artisti stranieri e in contemporanea dell’inflazione. Semplicemente, quando saremo chiamati a salire su un palco, daremo appunto tutto. 

 

 

Avete intenzione di proseguire anche con un tour invernale? Quali sono i brani immancabili nella vostra setlist? 

 

Per ora, non abbiamo ancora programmi sul futuro a medio/lungo termine. Rispetto alla setlist, dopo sette dischi, a volte è un problema riuscire a mettere giù una scaletta che unisca passato e presente. A Bergamo, per esempio, abbiamo ritirato fuori Bevo, che per anni fu un nostro classico immancabile e che poi uscì dalle scalette – fino ad oggi. Forse è per questo che Springsteen fa i concerti di tre ore. 

 

I 9 brani di Giuramenti, insieme all’EP Cronaca Nera e Musica Leggera (incluso nella versione fisica dell’album) non sono gli unici brani prodotti nell’ultimo anno. Avete lanciato una newsletter con le “canzoni ombra”; come mai l’idea di riservare dei brani più “nascosti” a chi vi segue e di non includerli nell’album?

 

È prassi comune chiamare noialtri che facciamo musica “artisti”, e lo troviamo più che un riconoscimento, una missione, una via da seguire. E se questo è vero, non è possibile che quello che facciamo sia di volta in volta regolato solo ed esclusivamente dalla rete che distribuisce i nostri contenuti. Nell’era dello streaming, fare musica vuol dire semplicemente far uscire un singolo ogni tot settimane, possibilmente il venerdì, pubblicare una copertina grande come un francobollo, fare un post e un paio di stories, ed è già finita lì. Questo vuol dire essere artisti oggi? È un po’ triste e molto noioso. Le Canzoni Ombra sono un primo tentativo di ritrovare una libertà e un’indipendenza, oltre che rinforzare un rapporto con chi ci segue – lasciando per una volta i contenuti fuori dalla Rete come lo conosciamo. Certo non è un modello sostenibile sul lungo periodo, ma l’arte (qualsiasi cosa sia) deve davvero preoccuparsi di questo?

Ad Alice Cherubini e Federico Dragogna va un sentito ringraziamento.

Intervista a cura di Chiara Di Bernardo

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