Matteo Mobrici, dopo aver firmato alcune delle pagine più importanti della scena indipendente con i Canova, ha iniziato un percorso artistico da solista.

È da qualche settimana disponibile online il brano “Povero cuore”, una canzone in cui è stato raggiunto da un amico speciale come Dario Brunori.

Per presentare il nuovo singolo e parlare delle sue principali influenze artistiche, ho scambiato due chiacchiere con lui.

DAGLI ESORDI A POVERO CUORE: L’INTERVISTA A MOBRICI

“Povero cuore” – che potete ascoltare su Spotify cliccando qui – è un brano che suona come un dialogo tra due amici messo in musica. Com’è nata questa canzone?  

Ho scritto ‘Povero cuore’ il 3 gennaio scorso, appena dopo un capodanno un po’ travagliato.

Sono tornato a casa dopo qualche giorno fuori Milano, mi sono seduto al piano, e poi, eccola lì, magicamente. Mi sono subito reso conto che avesse bisogno di uno sguardo esterno, di un punto di vista diverso, ma all’interno della stessa canzone.

È qui che ho pensato a Dario. Pensavo fosse la persona giusta per affrontare un tema del genere, e così l’ho chiamato poco dopo.

Vuoi raccontarci com’è andato il tuo primo incontro con Dario Brunori?

Il mio primo incontro con lui risale al 2011. Ero nelle prime file di un suo concerto e alla fine abbiamo scambiato qualche parola con in mano una birra, come farebbe un fan qualsiasi.

Poi, qualche anno dopo, nel primo tour dei Canova, abbiamo aperto un po’ di concerti suoi e lì c’è stata l’occasione per conoscersi effettivamente, tanto che venne ospite alla prima data all’Alcatraz di Milano e suonammo insieme.

Non fu neanche annunciato, così da essere una sorpresa per tutti.

“Non è sempre facile restare in piedi in mezzo al temporale, a volte piove più dentro di te che per le strade” canti in “SCENDE” in feat. con Gazzelle. Ti è mai capitato di attraversare, artisticamente parlando, un momento del genere? E se sì, come l’hai superato?

Artisticamente, per fortuna, non ho mai avuto quel vuoto che può prenderti alla testa e che ti lascia smarrito senza più sapere che fare.

Ho sempre scritto canzoni abbastanza continuamente e poi ormai mi conosco e conosco bene le tempeste da affrontare. Di solito vivo la vita e accumulo, possono passare pure 2 mesi senza scrivere niente, e poi arriva il momento dello sfogo dove in due settimane ne scrivo 8.

Va a cicli ed è meglio non sforzarsi se si vuol tenere bene a mente che l’obiettivo è solo quello di scrivere naturalmente e narrare il vero.

In una recente intervista hai dichiarato che dal vivo porterai sia i tuoi brani da solista sia alcuni pezzi tratti dal repertorio dei Canova. Mettiamoci nei panni di un ragazzo che si avvicina per la prima volta al tuo canzoniere: quali sono i cinque brani da cui gli consiglieresti di partire e perché?

Sì, porterò dal vivo le canzoni che ho scritto e pubblicato in questi anni. Quindi ci sarà certamente spazio per quelle pubblicate con i Canova.

Considerando che il mio album non è ancora uscito, consiglierei: Povero cuore, 20 100, SantaMaria, Per Te e Never. Non c’è un motivo vero per cui scelgo queste, il bello è che è tutto soggettivo.

Per me è difficile scegliere perché le ho scritte e le conosco fin da quando erano solo 4 accordi scordati. Diciamo che queste ai concerti ci saranno sicuro.

In conclusione, facciamo un salto indietro nel tempo: ricordi come ti sei avvicinato al mondo della musica? C’è stato un momento, nella tua infanzia o adolescenza, in cui hai capito che avresti voluto fare il musicista?

Ci sono stati un po’ di momenti diversi. Mi ricordo che per il compleanno dei 7 anni i miei mi regalarono una cassetta di un best of di Battisti. Conteneva la prima parte delle canzoni con Mogol, diciamo da ‘Un’avventura’ a ‘Pensieri e parole’. Un po’ strano per un bambino di 7 anni, a pensarci, ma non me ne liberai più e divennero per me un modello. Lo sono ancora adesso.

Un’altra volta è quando vidi per la prima volta i Beatles in televisione, credo fosse all’interno di Blob, stavano suonando ‘She loves you’ e rimasi totalmente ipnotizzato. Poi, da quel giorno, non avendo una lira, andai nella biblioteca comunale a prendere in prestito 5 o 6 dischi alla volta, e così mi creai un gusto mio, libero. Con i Beatles iniziai dalla fine, da Let it be.

E poi, altro momento, da più grandicello, in piena adolescenza, quando uscí ‘Amen’ dei Baustelle. Mi libero dal suonare la batteria e iniziai a cantare e scrivere canzoni con una chitarraccia. Canzoni molto brutte e sfigate ma fondamentali per quello che faccio adesso e che farò in futuro.

All’inizio era quasi un gioco per provare a conquistare qualche ragazza con il trucco delle canzoni, poi iniziarono le canzoni stesse a guidarmi nel bene o nel male, ad accompagnarmi passo passo fino ad adesso e spero per chissà ancora quando.

A Matteo Mobrici e Alice Cherubini va un sentito ringraziamento.

Corrado Parlati

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