L’ira catartica dei Måneskin si è abbattuta sul panorama musicale internazionale. Nulla di distruttivo, anzi, si tratta di quell’energia positiva che ti porta a cambiare le cose o, almeno, a cercare di farlo.
“Teatro d’Ira – Vol. 1” potrebbe essere definito un grido generazionale al chiaro di Luna, che si è appena tinto completamente di platino.
Nel disco confluiscono le esperienze e le influenze accumulate dai Måneskin nel corso di questi anni, lungo lo Stivale, durante il tour all’estero e, soprattutto, nei giorni trascorsi a Londra.
Il risultato è un sound crudo, forte, frutto anche della registrazione, avvenuta interamente in presa diretta, che punta tutto sul power trio basso-batteria-chitarra ed evoca le ambientazioni dei live club della city, portando in sé il fumo diradato e l’odore delle pinte di birra servite al banco.
È quindi la natura dei Måneskin , partiti dalla strada, che penetra diretta nel disco e tramite esso arriva all’ascoltatore. Nessuna limitazione, nemmeno per quel che riguarda il linguaggio: ci sono brani che toccano anche estremi opposti, senza essere di nature diverse.
Se su “Vent’anni” e “Zitti e buoni” è stato ormai detto di tutto e di più, proviamo a conoscere la storia presente dietro le altre canzoni che compongono il nuovo album della band capitanata da Damiano David.
“For Your Love” e “I Wanna Be Your Slave” sono due brani che infiammeranno i palazzetti nel corso del prossimo tour. Soprattutto la seconda, un brano uptempo con il basso e la batteria a ricalcare la linea vocale di Damiano, ha un testo particolarmente colorito, che gioca molto sui contrasti – lo schiavo e il master, il bravo ragazzo e il gangster –, partendo dalla sessualità e dalle sue mille sfaccettature. Perché ognuno può mettere in luce le mille sfaccettature della propria personalità, senza necessariamente chiudersi in etichette.
C’è spazio anche per il rapporto tra l’artista e la musica, con la sua vetta di sacralità raggiunta con “In nome del Padre”, brano che farà impazzire la critica, sia in termini positivi sia negativi, “Lividi sui gomiti”, che prende vita lungo la strada che unisce rock e hip hop, e “Paura del buio”, un brano dalla struttura estremamente particolare, che parte con un arpeggio in stile carillon, che emerge nel ritornello e sfocia in una parte a cappella finale. Il rapporto conflittuale tra l’artista e la musica, fonte tanto di gioia quanto d’ansia e preoccupazioni, diventa un modo per affrontare ed esorcizzare le paure di ognuno.
“Coraline” è, invece, il brano più intimo di questo “Teatro d’Ira”. Una favola dark priva di lieto fine, che narra la storia dell’appassimento di una donna, in cui il cavaliere può recitare soltanto la parte dello spettatore impotente.
A questo punto, proviamo a trovare una risposta alla domanda che più volte abbiamo letto sui social: i Måneskin sono rock? Senza alcun dubbio, pur esprimendosi anche attraverso un linguaggio che strizza l’occhio al mondo del pop.
Hanno avuto il coraggio di mettersi in discussione dopo X-Factor, andando a trascorrere mesi in una patria del rock e della live music come l’Inghilterra, plasmando ancora meglio la loro identità dopo un disco forse non del tutto convincente.
Si sono imposti con un brano (e un intero progetto) in netta controtendenza con i suoni della loro generazione, che sembrava aver appoggiato al muro in maniera quasi definitiva le chitarre, preferendo plugin e autotune nella maggioranza dei casi.
La risposta, però, apre un nuovo loop per un’altra domanda: siamo così convinti che il rock sia ormai un genere passato e che non piaccia più, alla luce dei risultati straordinari ottenuti dai quattro ragazzi, sia in termini di televoto – con lo straordinario risultato a Sanremo e i 318(!) punti ottenuti all’Eurovision – sia in termini di streaming? Noi siamo sicuri di no, e i Måneskin possono essere il faro di questa nuova rivoluzione.