CABRIOLET PANORAMA” è la nuova fermata di un lungo viaggio negli anni ’80 dei THE KOLORS, che segna un vero e proprio ritorno alle origini e all’essenza più pura della band.

Per parlare del nuovo singolo e delle principali influenze della band, ho intervistato Stash.

LA VIDEO INTERVISTA A STASH DEI THE KOLORS

CABRIOLET PANORAMA E LA VOGLIA DI RIPARTENZA

Cabriolet Panorama è nata a fine dicembre, a cavallo tra Natale e Capodanno.

Ci mancavano tantissimo le temperature più alte, il senso di rinascita che si prova in primavera e in estate e di ripartenza, nel nostro caso. È stato un po’ un grido: se ci fai caso, il ritornello è un coro.

Nasce in un momento in cui vivevamo l’opposto di quelle sensazioni, con tutta la questione Covid ad avvilirci, per chi fa musica e soprattutto per chi vede nella musica tanto il live, che nel mio caso è la cosa principale.

Se dovessero togliermi il live, forse non sarebbe così forte la voglia di fare musica perché, essendo i Kolors nati come progetto live, non ci sarebbe la stessa spinta.

Cabriolet panorama raccoglie tutto questo concetto di ripartenza, voglia di concerti, spensieratezza.

IL RITORNO ALLE ORIGINI DEI THE KOLORS

Con il nostro grafico, che sta curando la parte visual delle nostre uscite discografiche, a volte sembro quasi pazzo, vado a cercare quel dettaglio che forse nessuno noterà. Inconsciamente, però, forse chi ha vissuto quell’epoca avverte questa coerenza.

Ad esempio, le piccole scritte che andavano a riempire la parte alta dell’artwork, servivano al cliente del negozio di dischi per capire subito di chi fosse quel disco. Quella cosa è uno degli elementi vintage che avevano un’utilità all’epoca, ma che forse oggi non ce l’ha così tanto, perché le copertine, di questi tempi, sono piccolissime su Spotify.

Il lavoro grafico deve quindi essere impostato per funzionare anche in altro modo, ma nel nostro caso ci va di citare anche delle grafiche di quel periodo, anche per un fatto di coerenza.

Il fatto che si avverta un cambio di rotta, è perché si hanno pochi parametri, dall’uscita di Out. Se si analizza la primissima fase dei Kolors, quando eravamo resident band al locale “Le scimmie” a Milano, c’erano proprio queste sonorità.

Non è un cambio di rotta, ma un ritorno alle origini, che è sempre un discorso di coerenza con le nostre vere priorità. Se fino a qualche anno fa, un po’ per deformazione professionale in questo contesto storico, un po’ per il contesto da cui venivamo, l’obiettivo è sempre stato fare i numeri, concertoni con migliaia di persone.

Poi, con “Pensare male”, che è stato una specie di test anche da parte di Jacopo Pesce, che credeva tantissimo in questa canzone, è stata la prima volta che un pezzo ha raggiunto il disco di platino non perché avesse quello come obiettivo, ma una conseguenza di una sincerità artistica.

Quando è uscita “Cabriolet Panorama” mi hanno scritto i personaggi che sono cresciuti con noi in quel periodo, e mi hanno detto tutti che ci vedevano i primissimi Kolors, che avevano un’impostazione molto Ed Banger Records – la casa discografica francese dei Justice e Sebastian.

In quel periodo non avevamo un soldo, ogni sera dovevamo vedere come fare per comprare gli amplificatori e i cavi che si rompevano ogni sera. Senza una lira in tasca, in una sera in cui non avevamo nemmeno in programma di uscire, ci siamo messi in un aereo e siamo andati a Londra, perché c’era la festa di compleanno della Ed Banger al Coronet Theatre il giorno dopo.

Dormiamo in aeroporto, senza hotel, andiamo lì e ci facciamo questa scorpacciata. C’era anche la prima esibizione di Breakbot, uno dei nostri preferiti. Per noi è un vero ritorno alle origini perché il basso Justice che ha Cabriolet Panorama è quello che avevamo in mente di fare dieci anni fa. Piano piano, siamo riusciti a portare con discreto successo nelle radio qualcosa che prima era impossibile da immaginare per noi.

Mi è stato detto da vari produttori che “Pensare male” è stata la reference per alcune produzioni che poi sono uscite dopo perché suonava perfettamente in radio. Mai mi sarei aspettato di fare primo in classifica per tre settimane in quel periodo, ed è ancora più bello quando non le vedi come obiettivi ma succedono come conseguenza.

PINO DANIELE, TULLIO DE PISCOPO E L’INFLUENZA DEL NEAPOLITAN POWER

Penso che sia una delle fortune di nascere in quel posto, perché anche chi non fa musica. Il ritmo che si ha in maniera innata in quella zona del mondo è paragonabile a quello delle tribù africane. Tullio De Piscopo è stato un maestro per noi fin dal primo momento in cui l’abbiamo visto in un video. Nel periodo che ti dicevo della Ed Banger, la nostra ninna nanna era il live di Zurigo di Pino Daniele e il senso del groove che avevano, prendendo a piene mani dalle band di riferimento di quel periodo come gli Earth, Wind and fire e lo traducevano in un suono napoletano, prendeva una forma che non ha niente da invidiare agli Earth Wind and Fire stessi.

Con Tullio abbiamo avuto l’onore di suonare più volte. La prima volta abbiamo suonato “Money” dei Pink Floyd a un programma di Paolo Bonolis. Immagina, un pezzo in 7/8 con Tullio De Piscopo che è una sicurezza. Da quel momento è nato un rapporto padre-figlio, da un punto di vista artistico.

Tutto quel gruppo di persone lì, Tullio in particolare perché l’abbiamo veramente conosciuto e ci è molto vicino, fanno parte di tutte le nostre vite. Pino Daniele non poteva uscire da un altro posto: vuoi per il discorso sociale, che è andato a finire nei testi, nella rabbia, nella voce, ma anche per un fatto naturale, di clima, di vibrazioni per cui quella terra è unica.

Tutto quel fuoco che sta lì sotto crea una sorta di magnetismo per cui tu puoi stare lontano anche per vent’anni da Napoli, ma quando torni senti la scarpetta di Cenerentola entra perfettamente. Senti che il tuo corpo e la tua anima matchano perfettamente con quelle vibrazioni lì, non vai in controfase, ma sei in perfetta sintonia.

A Jessica Gaibotti ed Elena Marras va un sentito ringraziamento da parte della redazione di MentiSommerse.it.

Intervista di Corrado Parlati

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