Bugo è da poco tornato sulle scene con Bugatti Cristian, album contenente anche “E invece sì”, canzone con cui ha partecipato a Sanremo 2021.

In una lunga chiacchierata, Bugo ha presentato il suo nuovo album e raccontato le storie che hanno portato alla genesi dei suoi brani più famosi, come “C’è crisi”, “Me la godo” e “Casalingo”.

LA NOSTRA INTERVISTA A BUGO

A Sanremo sei salito sul palco con “E invece sì”. Vuoi raccontarci il processo che ha portato alla genesi del brano?

Questa canzone è nata anni fa. Nel 2018 ho buttato giù i primi versi, poi l’ho lasciata lì e l’ho completata nel 2020, quando Amadeus mi ha invitato e ho pensato che questa fosse la più adatta da presentare.

A lui è piaciuta molto e sono contento di quello che può rappresentare con quell’ “E invece sì”, che è un invito a non demordere, a perseverare nei propri progetti.

Mi manca è uno dei brani più intimi della tua produzione artistica. John Bowlby scrisse che “l’attaccamento intimo ad altri esseri umani è il perno dell’esistenza di una persona”. Cos’è l’intimità per Bugo?

L’attaccamento nei confronti degli altri è una caratteristica innata, che ho da essere umano. Sono sempre stato uno molto spontaneo, alla mano, ma che ama anche star da solo. Se mi metti su un’isola io riesco a vivere.

È molto difficile spiegare le canzoni, perché sono dei misteri, non sono dei saggi letterari, dove si può spiegare precisamente perché quella parola è lì o no. Volevo prendere delle immagini della mia infanzia perché, essendo io l’autore, è tutto filtrato dalla mia sensibilità.

Il tutto mi è venuto anche in modo naturale, avendo quarantasette anni.

“Mi manca” è una canzone che non avrei mai scritto a vent’anni, perché parlare di nostalgia a quell’età mi sembra un po’ prematuro. Mi colpisce che piaccia molto anche ai ventenni, perché è una canzone che parla di più di persone adulte. Evidentemente ha qualcosa che tocca certe corde emotive.

La nostalgia suscita sempre una grande energia, poi è una canzone uscita in pieno lockdown e credo sia arrivata.

“ È che non ci hanno detto che abbiamo anche un diritto di rovinare tutto”. Se ti guardi indietro e pensi sia ai momenti esaltanti sia a quelli tristi della tua vita, cosa trovi nella tua memoria?

Non ho nessun rimpianto. Tutte le scelte della mia vita le ho fatte in modo serio, ponderato, soprattutto per quello che riguarda il mio lavoro.

Se guardo al mio passato, vedo una persona che vuole continuamente vivere come quella canzone.

Quel “Vivi come nessuno mai” finale potrebbe essere il motto della mia vita, un invito a voler vivere la propria vita in modo unico, che non è come voleva vivere Vasco, che è uno dei miei eroi, che diceva “voglio una vita spericolata”. Io non voglio una vita spericolata, quella l’ho avuta, ma una vita come voglio io.

Se guardo al mio passato, vedo una persona integra, che fino a questo momento ha fatto scelte ponderate, di grande onestà e credo questo arrivi.

“O che cosa” l’ho messa alla fine dell’album e rappresenta per me l’apice del disco. “Cristian Bugatti” inizia con “E invece sì”, che contiene un’esplosione di fiati, poi alla fine c’è il momento riflessivo.

Lo scarafaggio che citi in “Casalingo” è una citazione a Kafka?

È stata una citazione indiretta, me ne sono accorto perché me l’hanno fatta notare gli altri. Era un periodo in cui leggevo molto Kafka e vivevo da solo in un appartamento di un ragazzo che avevo conosciuto, dove c’erano parecchi suoi libri. Poi tra l’altro quel libro è meraviglioso, in quel periodo è stato un autore per me molto importante

“Che ci vuole a ricominciare, tornare in campo da titolare”. Tu, in campo e da titolare, ci sei tornato dopo il blocco arrivato dopo l’uscita di “Nuovi rimedi della miopia”. In un articolo scritto per Panorama, in cui presenti “Nessuna scala da salire”, hai raccontato di non aver toccato la chitarra per due anni. Come si supera un momento del genere?

Bugo e invece sìNon pensandoci. Nella mia carriera ho bisogno dei momenti di pausa come di quelli di lavoro, sono un artista a corrente alternata (ride, ndr). In quel periodo ero in India e mi dedicavo alle arti visive, che mi occupavano molto tempo.

Quando ho ripreso in mano la chitarra, il primo pezzo che ho scritto è stato “me la godo”.

Nella mia carriera è successo spesso di avere blocchi creativi, anche recentemente. Non bisogna avere l’ansia da prestazione: siamo dei creativi, non degli sportivi. Non bisogna avere paura della noia o del tempo perso, che in realtà non è tempo perso, ma un periodo in cui sto decomprimendo, per tornare più sicuro. Per me non far niente è anche molto importante.

In quel periodo, vivevi a New Delhi, dove sei stato per 4 anni. L’India è un paese che ha una cultura millenaria ininterrotta, come forse nessun altro paese al mondo. C’è una storia o un aspetto particolare di quella cultura che ti ha impressionato e di cui vuoi parlarci?

Gli indiani non conoscono il nostro essere snob. Io ho abitato per vent’anni a Milano, una città in parte snob, loro hanno quell’ingenuità che mi affascina e mi ha portato ancora più con i piedi per terra. Sono un popolo che quando partirà potrà dire la sua nel panorama mondiale.

“C’è crisi dappertutto, oppure semplicemente fa niente”. È un brano che può avere anche una chiave di lettura nichilista? E, soprattutto, tredici anni dopo, può esserci una via d’uscita da questa crisi o siamo condannati?

Non è nichilista. Questo brano sarà sempre fortunato perché l’uomo non sa vivere in pace, quindi ci sarà sempre più o meno una crisi. Io non parlo di una crisi economica.

Non vuole assolutamente essere nichilista, perché quella canzone dice “c’è crisi, fa niente”. Forse avrei dovuto chiamarla “Fa niente”, perché il senso di quella canzone è “nonostante tutti i problemi, fa niente, li puoi superare”. Non mi ritengo nichilista, assolutamente, anzi credo nelle persone e nell’evoluzione dell’uomo, non sono per niente un disfattista.

La follia e l’alienazione sono due temi ricorrenti della tua musica e, da adolescente, hai anche preso parte a un progetto scolastico dedicato alla malattia mentale. C’è un aspetto particolare, un insegnamento o un ricordo che ti porti dietro di quei momenti?

Hai citato una cosa bella, mi fa molto piacere che tu l’abbia trovata da qualche parte. Alle medie la maestra ci invitò ad andare a casa di questi bambini, io fui colpito da questo ragazzino. Ricordo perfettamente dove abitava e anche il suo volto, aveva tanti problemi, anche fisici. Mi ha insegnato ancora di più il valore degli altri.

Io gioco nella nazionale cantanti e una delle cose più belle è fare del bene a chi ne ha bisogno. Quando gioco e vedo un ragazzino che è felice e urla il mio nome e vuole la foto, ma cosa vuoi di più? Forse viene anche da quell’esperienza, di sentirsi comunque fortunati, perché c’è sempre chi sta peggio di te. Lo porterò sempre con me, quel ragazzino.

In una tua vecchia intervista, hai definito l’Aldilà come la pagella scolastica della nostra vita. Qual è, oggi, la visione di Bugo?

L’Aldilà non è per forza quello cristiano o musulmano o di qualsiasi altra religione. Voglio vivere la mia vita pensando che quando morirò potrò dire “che figata!”, nel senso che ho dato il massimo a me stesso, a mio figlio, ai miei amici, a voi giornalisti.

Poi anch’io ogni tanto sbaglio e perdo il senno, siamo esseri umani, ma voglio cercare di vivere la mia vita in modo retto ed è assolutamente valida quella frase.

In “Sincero” canti “Volevo fare il cantante delle canzoni inglesi”. C’è un momento in particolare in cui Bugo ha capito che avrebbe voluto fare il musicista?

Quando per la prima volta ho preso uno strumento in mano, a diciannove anni, con alcuni miei amici, ho capito che qualcosa di nuovo era entrato in me.

Era il mondo del rock ‘n’ roll, che comprende anche lo stare insieme, le birre, il dire cazzate, fare l’assolo, il suono distorto, non andare a scuola. È tutto un mood che può non piacere ai genitori, poi non è che devi essere stupido per fare rock ‘n’ roll.

Il “cantante delle canzoni inglesi” stava bene come immagine, sono stato sempre più inglese come gusti, pur amando i Nirvana e Bob Dylan. È stato uno dei miei grandi sogni e l’ho coltivato con grande forza.

A Bugo e Manuela Longhi va un sentito ringraziamento da parte della redazione di MentiSommerse.it

Intervista a cura di Corrado Parlati

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