In occasione del centesimo anniversario della nascita di Laura Conti, pioniera -come lei avrebbe gradito essere definita- dell’ecologismo italiano, medica ortopedica e femminista (sebbene non dichiarata), la casa editrice Fandango ha deciso di puntare nuovamente i riflettori sulla sua figura, dimenticata, esclusa, inascoltata, messa a tacere come tante, troppe donne nel corso della Storia.
Insieme all’importante rilancio di Una lepre con la faccia di bambina -romanzo nato dall’esperienza di Laura Conti nell’ambito del disastro di Seveso nel 1976-, ha visto la propria pubblicazione anche Laura non c’è- Dialoghi possibili con Laura Conti, lavoro a quattro mani delle giornaliste e scrittrici Barbara Bonomi Romagnoli e Marina Turi.
Dopo Non voglio scendere! Femminismi a zonzo , Bonomi Romagnoli e Turi hanno deciso di riscrivere insieme per riportare in auge l’ideologia, la logica e la personalità di Laura Conti, costruendo un ben riuscito dialogo letterario dal quale emerge tutta la sua essenza intellettuale; essenza che, forse, è ancor più importante riscoprire in questo particolare momento storico, poiché -come tutte le Cassandra transitate su questo mondo nel corso degli anni- Laura Conti avrebbe dovuto essere ascoltata molto più tempo fa.
Attraverso l’analisi di svariati fenomeni, dall’odierna pandemia ai disastri di Chernobyl e Seveso, da Greta Thunberg all’ecologia sociale e al femminismo, le scrittrici ripercorrono le ricerche e i lavori di Laura Conti, ridandole voce, usando parole che, in effetti, avrebbe pronunciato per davvero.
Abbiamo avuto il piacere di approfondire, proprio con le autrici, il discorso su Laura non c’è- Dialoghi possibili con Laura Conti.
Come avete conosciuto la figura di Laura Conti?
Abbiamo storie un po’ diverse. Entrambe abbiamo letto Laura Conti, singolarmente: un pomeriggio, durante un trasloco, abbiamo scoperto questa lettura in comune, cosa strana per la nostra differenza di età -la più anziana di noi era una liceale, quando c’è stata la fuga di diossina a Seveso. Ci siamo ritrovate in molte cose che ha detto e scritto su tematiche sulle quali riflettevamo da un po’. La sua figura ci ha appassionato e abbiamo pensato che dovesse essere riscoperta. Nessuna di noi l’ha incontrata personalmente. Sono stati i suoi libri prima e le sue carte poi, consultate quando si è avviato il progetto del libro, ad avercela fatta davvero conoscere.
C’è un evento particolare che ha ispirato Laura non c’è?
L’idea è nata innanzitutto dal desiderio di scrivere un nuovo libro insieme, dopo “Non voglio scendere! Femminismi a zonzo” , e anche dall’aver ritrovato uno scritto di Laura Conti sulla fantascienza che ci ha ispirate. La pandemia ha accelerato il progetto, perché Laura Conti è stata profetica su molte delle cose che stanno accadendo adesso.
Il libro è scritto come dialogo, strumento letterario notoriamente pedagogico. A cosa è dovuta questa scelta, in netto contrasto con l’incessante monologare odierno?
Abbiamo immaginato Laura Conti nel presente, con i suoi cent’anni; volevamo che parlasse alle donne di oggi su questioni che sono simili a quelle affrontate da lei. I dialoghi hanno permesso di lavorare meglio a quattro mani e di intrecciare meglio le nostre scritture, cercando di mantenere una narrazione fruibile ai non esperti, non addetti ai lavori. Noi volevamo che a parlare fosse proprio Laura Conti: infatti, tutto quello che nel libro facciamo dire a lei sono parole sue, ricavate da quello che ha scritto e che noi abbiamo potuto leggere. E poi, non ci sembrava fosse interessante scrivere un nostro monologo.
L’ecologia insegna che, rimuovendo un singolo elemento da un ecosistema, si altera il suo equilibro. Laura Conti, come altre donne nel passato e ai giorni nostri, è stata rimossa dalla proposta editoriale degli ultimi anni e, quando ancora in vita, dai dibattiti pubblici. Qual è la conseguenza di un simile e subdolo gesto sulla società?
La conseguenza è che le giovani generazioni non hanno la possibilità di conoscere la storia delle donne di questo Paese. Ignorare la conoscenza di migliaia e migliaia di donne che hanno scritto, detto, pensato, fatto e preso parola in pubblico e nella politica non fa che alimentare forti stereotipi e modelli sessisti. Averla cancellata e rimossa ha fatto male anche allo stesso mondo ambientalista, incapace di parlare ai più e senza la forza di affermare un pensiero complessivo sul sistema vivente, di cui siamo parte in quanto umane. Non è un caso che siano state altre donne, in questi anni, a cercare di tenere viva la memoria di Laura Conti.
Nel libro sono frequenti i riferimenti all’ecologia sociale e all’eco-femminismo, in particolare nel capitolo 3. Perché il mondo ha ancora bisogno dell’eco-femminismo, nonostante i traguardi raggiunti?
I traguardi raggiunti, spesso, sono delle pennellate di greenwashing e non vanno alla radice dei problemi. Le femministe, come Laura -che non si diceva femminista ma spesso agiva come se lo fosse-, hanno colto più di altri movimenti progressisti il nesso che c’è fra gli essere viventi, le relazioni che rendono possibile lo stare bene al mondo; è dagli anni Settanta che hanno introdotto il concetto di limite, così caro all’ecologia.
Se si portasse Laura non c’è nelle scuole, cosa vi piacerebbe che le nuove generazioni cogliessero dalla lettura del vostro lavoro?
Intanto, ci auguriamo che lo leggano, perché sono proprio le nuove generazioni a ritrovarsi un futuro compromesso, a dover assumere un ruolo più decisivo, che devono agire ora per cambiare la direzione di marcia dell’umanità. Leggere Laura Conti, quello che ci ha insegnato e che abbiamo cercato di restituire con questo libro, può contribuire a ripensare le loro vite, come le nostre. Vorremmo anche che scoprissero che fare politica non è qualcosa di inutile e noioso, soprattutto quando la si fa insieme. La gioia di vivere, nonostante tutto, e di sentirsi collettività – tipica di Laura Conti- è il miglior messaggio che si possa consegnare alle nuove generazioni.