Willie Peyote è in gara alla settantunesima edizione del Festival di Sanremo con “Mai dire mai (La Locura)”.

Il brano, che si apre con una citazione del “Monologo della Locura” presente nella terza stagione di Boris, affronta con lucidità e ironia il periodo drammatico che stiamo vivendo.

In attesa di vederlo sul palco, noi di MentiSommerse.it abbiamo scambiato due chiacchiere con lui.

WILLIE PEYOTE PRESENTA “MAI DIRE MAI (LA LOCURA)”

A Sanremo porterai “Mai dire mai (La Locura)”, sicuramente il più politico e attuale tra i brani in gara. Vuoi raccontarci il processo che ha portato alla genesi di questo brano? Com’è nata l’idea di aprire la canzone con una citazione tratta da Boris?

In realtà si è scelta da sola perché, nel momento in cui ho rivisto Boris, durante il lockdown, arrivato al monologo della Locura, quella frase lì – “Questa è l’Italia del futuro, un paese di musichette mentre fuori c’è la morte”, ndr – mi ha molto colpito perché, paradossalmente, mi sembrava ancora più attuale rispetto a quando è stata scritta, perché purtroppo oggi la morte fuori la vediamo e la sentiamo nominare da ormai un anno a questa parte.

Mi ha molto colpito, mi ha fatto riflettere e ho pensato che fosse adatta al pezzo che stavo cominciando a immaginare, poi ho cominciato a scrivere verso la fine dell’estate. Non ho scritto “Mai dire mai (La Locura)” pensando a Sanremo nel senso di venirci, l’ho scritto ispirandomi all’edizione dell’anno scorso, ed è per questo che ci sono riferimenti a Morgan e ad altre cose. Poi quando mi è stato chiesto se avessi un brano per Sanremo, l’ho proposto ai discografici e mi hanno detto di sì. Poi devi chiedere ad Amadeus perché ha fatto questa scelta completamente folle (ride, ndr).

“Mai dire mai (La Locura)” uscirà anche in vinile e avrà come B-Side “La depressione è un periodo dell’anno”. Quali sono le principali riflessioni che ti ha lasciato questo periodo e quanto ha inciso la pandemia sulla tua creatività?

La pandemia ha inciso molto sulla mia creatività, nel senso che gli unici pezzi che ho scritto sono stati proprio questi due che, in qualche modo, sono due facce della stessa medaglia.

“La depressione è un periodo dell’anno” affronta di più le ripercussioni negative che ho subito e ho visto subire, mentre “Mai dire mai (La locura)” è un po’ più scanzonato, anche musicalmente è molto più allegro.

Quello che mi ha lasciato la pandemia, che mi ha messo artisticamente in difficoltà perché scrivo sempre guardando fuori e, quando fuori non succede niente faccio fatica a scrivere, è la sensazione che, come purtroppo temevo all’inizio, la retorica dell’“Andrà tutto bene, ne usciremo migliori”, di cui ci siamo riempiti la bocca nei primi momenti, in realtà ha lasciato spazio a proprio un peggioramento anche un po’ verticale del nostro rapporto gli uni con gli altri. Mi spaventa un po’ che ci diamo sempre meno tempo per capire le cose prima di commentarle e questa superficialità nell’approccio alle cose è quello che di cui cerco di parlare nel brano.

Cerco di farlo però senza essere pesante e cupo, perché a Sanremo non ce n’era bisogno e poi perché non vorrei passasse il messaggio che mi metta in qualche modo sul piedistallo. Nel brano c’è una frase che fa “Ho visto di meglio, ho fatto di peggio”. Quello è il senso del brano, cioè ogni tanto magari vedo qualcosa che non mi piace, ma state tranquilli che sono consapevole di aver fatto di peggio io per primo, quello è il senso della frase.

“Cerchiamo tutti un modo per fare a meno degli altri”. In un mondo in cui le relazioni sono sempre più virtuali e labili, quanto è importante il confronto per costruire un ponte con l’altro e lo stare bene con sé stessi?

È fondamentale imparare ad amare sé stessi, a stare bene con sé stessi, è l’unico modo in cui si può imparare a stare bene con gli altri. Nella misura in cui, se tu hai bisogno degli altri per compensare le alcune sue mancanze in realtà li stai sfruttando, non è amore, che si può declinare in tanti modi.

Ovviamente è un percorso che io non ho ancora completato, come credo molti altri, e il mio obiettivo è quello di migliorare me stesso, per arrivare al punto di stare bene con me, perché credo che questo mi possa portare a stare meglio anche con gli altri.

Per la serata cover, hai scelto “Giudizi universali” di Samuele Bersani, che sarà sul palco con te. Qual è la principale riflessione che ti ha lasciato questo brano e come si lega il mondo di Willie Peyote a quello di Samuele Bersani?

Il motivo è semplice: è una delle mie canzoni preferite, è una delle più belle canzoni italiane degli ultimi anni. È un pezzo talmente bello che puoi ascoltarlo e cantarlo cento volte di fila e alla centesima comunque sarà bello come la prima.

Oltre a farmi un regalo, volevo anche cercare di dimostrare il legame che c’è tra quello che faccio io e da dove parte. Io sono cresciuto ascoltando il rap e mischiando gli ascolti con i grandi autori italiani, non necessariamente solo quelli degli anni settanta, ma anche quelli della seconda generazione come Samuele Bersani, Daniele Silvestri, Max Gazzè.

Volevo che passasse il messaggio che non potrei prescindere da quegli ascolti nella musica che faccio.

Sanremo è una manifestazione radicata come forse nessun’altra nella storia del nostro paese. C’è un momento, da spettatore di questa kermesse, che ricordi con particolare affetto e che vuoi raccontarci? Cosa ha rappresentato, fino ad ora, Sanremo per Willie Peyote?

Era il ’92, io guardavo Sanremo per la prima volta e avevo sette anni perché c’erano gli Statuto, con il pezzo “Abbiamo vinto il Festival di Sanremo”, e tra i membri della band il bassista era il testimone di nozze dei miei, lo conoscevo fin da piccolo. La prima volta che vedo Sanremo, quindi, la vedo come se fosse una cosa di famiglia.

Sono cresciuto guardando Sanremo, poi sono cresciuto effettivamente, e l’ho guardo come tutti per fare i commenti e le battute sui vari social.

È un momento di grande aggregazione, nel quale tutti vogliono dire la propria, è molto bello ed è il motivo per il quale l’ho presa come uno scherzo, nel senso che se devo andare a buttarmi nella bocca del lupo più grosso che c’è, allora la prendo come uno scherzo, perché se dovessi prendere sul serio quello che mi sentirò dire, probabilmente non so se sopravviverei (ride, ndr).

A Willie Peyote e Jessica Gaibotti va un sentito ringraziamento da parte della redazione di MentiSommerse.

Intervista a cura di Corrado Parlati

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