Daniele Folcarelli, in arte Folcast, è un cantautore romano classe ’92. Cresce in una famiglia di musicisti divorando qualsiasi tipo di musica e inizia a suonare da autodidatta pianoforte, basso e batteria.
Tra qualche giorno, parteciperà al Festival di Sanremo tra le nuove proposte con “Scopriti”. Per conoscerlo meglio, noi di MentiSommerse.it abbiamo scambiato due chiacchiere con lui.
Chi è Daniele Folcarelli e come si è avvicinato al mondo della musica? C’è un momento nella tua vita in cui hai capito che avresti voluto vivere di musica?
Sono un ragazzo di Roma sud cresciuto in periferia. In adolescenza dovevo spesso trovare qualcosa da fare, perché da me non c’era granché. La mia famiglia, gli amici, la chitarra e il canto mi hanno salvato dalla noia.
Non so se c’è un momento preciso. Forse quando ho iniziato a suonare le canzoni di Jeff Buckley mi sono reso conto che mi sarebbe piaciuto vivere di musica.
“Scopriti” è il brano con cui parteciperai tra le nuove proposte di Sanremo 2021. Qual è stata la principale fonte d’ispirazione per la genesi di questo brano?
Il pianoforte che mi ha dato modo di esprimere la sensazione di cui parlo nella canzone. Senza il piano, quel giorno, non so se avrei scritto “Scopriti”.
La canzone è stata prodotta da Tommaso Colliva, uno dei produttori italiani più famosi al mondo. Com’è nata la vostra collaborazione?
Poco prima che ci fosse la chiusura totale, data del primo lockdown, riesco a prendere un treno per Milano e ad andare, con la mia chitarra, nel suo studio (Laboratori Testone).
Grazie a Davide D’Aquino che ci mette in contatto, gli faccio ascoltare le mie canzoni e Tommaso si dimostra subito molto interessato e coinvolto.
A distanza di ormai un anno sono grato a quel viaggio fatto rischiando un po’ perché mi ha permesso di conoscere una persona speciale.
Nella tua musica, riesci a unire l’animo cantautorale con sonorità più vicine alla black music. Qual è il filo che unisce questi due mondi?
I miei ascolti. Da bambino ascoltavo tutto quello che la mia famiglia metteva sul giradischi o in macchina, passando da Jimi Hendrix a Lucio Dalla.
Poi in autonomia più avanti scoprivo John Mayer e Pino Daniele. Fino ad arrivare ai giorni nostri dove la musica è una costante, per citarne solo qualcuno: Anderson .Paak, Tom Misch, Ghemon, Daniele Silvestri.
Sempre restando in tema di influenze musicali, quali sono i cinque dischi che hanno avuto una maggiore importanza, da un punto di vista personale e professionale, per Folcast e perché?
Grace di Jeff Buckley perché è un album immenso che ha accompagnato la scomparsa di mia nonna e che negli anni mi ha confermato la teoria secondo cui la musica bella non muore mai.
Nero a metà di Pino Daniele perché mi ha fatto capire cosa vuol dire fare musica col cuore e suonare divinamente.
Continuum di John Mayer perché mi ha fatto pensare che il blues può essere attuale.
Orchidee di Ghemon perché il suo flow mi ha folgorato tanto da farmi sperimentare nel fare cose diverse sulla mia musica.
Caustic Love di Paolo Nutini perché a livello vocale, lui è un artista che per me è un punto di riferimento.
Sanremo è una manifestazione radicata come forse nessun’altra nella storia del nostro paese. C’è un momento, da spettatore di questa kermesse, che ricordi con particolare affetto e che vuoi raccontarci? Cosa ha rappresentato, fino ad ora, Sanremo per Folcast?
Ho iniziato a seguire Sanremo con interesse qualche anno fa. Ricordo abbastanza bene la vittoria nel 2001 di Elisa con la sua bellissima Luce, forse anche perché quello stesso anno, qualche mese dopo, la Roma avrebbe vinto il campionato.
A Folcast e Silvia Santoriello va un ringraziamento da parte della redazione di MentiSommerse.
Intervista a cura di Corrado Parlati
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