“Procurami uomini e sarai ricompensato“, gli disse la matrona. Ogni mini comitiva, mezzo dollaro, non inteso come cinquanta cent. Ma come una banconota strappata a metà. L’altra, l’avrebbe avuta all’arrivo del nuovo gruppo. Il piccolo James Joseph aveva già raccolto cotone nei campi di Augusta, in Georgia, e lustrato le scarpe dei soldati di passaggio per la città. Aveva 9 anni, ed il valore del denaro non era più un mistero, per lui. Non certo quando riusciva a procurare i clienti necessari a completare il dollaro, e nemmeno quando, pochi anni dopo, sarebbe finito in riformatorio per rapina a mano armata.
L’ASCESA SOCIALE
James Joseph Brown Jr. era nato in una baracca di Barnwell, in Carolina del Sud, nel 1933. Cosa significasse essere nero, negli Stati Uniti della metà del ‘900, fu chiaro sin da subito. Le leggi Jim Crow erano in pieno vigore, il destino di chi aveva la pelle scura era già scritto. Ma il denaro rappresentava l’unica e più sicura possibilità di ascesa sociale: il piccolo James ne avrebbe accumulato tanto, negli anni a venire.
Secondo una recente ricerca del Pew Reserch Center, la quota di quanti considerano il Covid-19 una maggiore minaccia alla salute si attesta al 46% tra gli afroamericani e al 39% tra gli ispanici. Per i bianchi, la percentuale si attesta sul 21%. Insomma, chi ha un lavoro precario, dunque soprattutto afroamericani e ispanici, sa che può perdere l’assicurazione sanitaria, con tutto quanto ne consegue. Oggi, 2020, gli Stati Uniti sono un bollente calderone, con tanta cenere che cova e spesso s’incendia, come accaduto di recente. E nel 1968 le cose erano inevitabilmente peggiori.
SAY IT LOUD
Il colpo di pistola che raggiunse la terrazza del Lorraine Hotel di Memphis, la sera del 4 aprile 1968, uccideva un uomo e i diritti di tutti gli afroamericani. Un calibro 30-06 conficcato nella testa del movimento per i diritti civili, ma anche una bomba a mano lanciata per le strade delle città americane. In particolare Boston, dove Martin Luther King aveva studiato Legge e si era sposato. Il 5 aprile 1968, al Boston Garden, era in programma il concerto del (non più junior) giovane James Joseph Brown.
«And now we demands a chance, To do things for ourselves, We’re tired of beating our head against the wall and workin’ for someone else». Say it loud, I’m Black and I’m proud (ascolta qui) usciva proprio quell’anno: un grido di battaglia al ritmo sincopato del funk, che scuoteva le fondamenta razziste dell’America. Inno non ufficiale del Black Power, che nonostante l’approvazione del Civil Rights Act del 1964, aveva ancora molte lotte da intraprendere. La segregazione razziale nelle scuole venne ufficialmente abolita, così come quella in sede elettorale. Ma la lotta al razzismo strisciante (e non) era tutt’altro che conclusa.
LA NOTTE DI BOSTON
Boston era una bomba pronta a scoppiare, l’America bianca si barricava in casa facendo scorte alimentari. Un anonimo membro afro-americano del consiglio comunale della città, tale Tom Atkins, ebbe un’idea che venne immediatamente comunicata al sindaco dell’epoca, Kevin H. White. Più gente davanti alla tv, meno gente in strada. Trasmettere in diretta televisiva il concerto di James Brown, paladino degli afroamericani, per placare gli animi di un popolo privato soltanto poche ore prima della sua guida spirituale. E rimborsare chi ha già acquistato il biglietto, se lo desidera, con tanto di polizia schierata al Boston Garden.
Ed alla fine le cose andarono esattamente così. Perché quella sera James Brown salvò Boston, e probabilmente tutti gli Stati Uniti (almeno la parte “bianca”), da lunghi giorni di disordini e tensioni. “James Brown non ha fermato la rivolta a Boston. Ha evitato che accadesse”, avrebbe detto il personal manager Charles Bobbit. Il concerto venne trasmesso in diretta sulla stazione televisiva pubblica di Boston WGBH (vedi qui l’inizio). L’atmosfera era naturalmente carica di tensione, e in un momento del concerto un gruppo di fans salì sul palco costringendo la polizia ad intervenire. Fu lo stesso James a placare gli animi. “Scendi e facciamo questo spettacolo insieme, Siamo neri. Non farci sembrare tutti cattivi” (vedi qui) La folla si calmò, il concerto continuò senza disordini, a Boston non scoppiò alcuna guerriglia.
IL RISCHIO E LA “RICOMPENSA”
Certo, il rischio fu elevato per lo stesso James. E per alcuni ogni rischio ha un prezzo, anche se ci si impegna per una giusta causa. Lui era tra questi. Secondo i racconti di molti musicisti che hanno suonato con lui, il dito puntato di James Brown durante un concerto stava a significare la violazione del groove. E il cachet per la serata si riduceva di 5 dollari. Puntato una volta, 5 dollari. Puntato due volte, 10 dollari. Tre volte, 15. E così via. Qualcuno afferma di avere suonato gratis, e James era uno che i conti li sapeva fare.
La richiesta dell’artista alla città di Boston per l’esibizione in diretta Tv fu quantificata in 60mila dollari dell’epoca. Oggi, equivalgono più o meno a 500mila dollari. Nel documentario “The night James Brown saved Boston“, il manager ricorda: “Di quei 60mila dollari ne abbiamo ricevuti soltanto 10mila. Gli altri 50mila nessuno sa dire dove siano finiti”. Eppure il sindaco, nello stesso film, sostiene di averli cacciati tutti, fino all’ultimo dollaro, e che erano stati soldi ben spesi. Il valore del denaro non era mai stato un mistero, per James Joseph Brown.