“Girogirotondo. Codex latitudinis” è il nuovo libro di Edoardo Bennato, uscito per Baldini&Castoldi.
Il cantautore napoletano racconta le esperienze più significative della sua carriera: dall’età di 12 anni in giro per il mondo a suonare, tra Allende, la swinging London, Fidel Castro.
“Ho visto le cose con i miei occhi, senza filtri di parte”, racconta il rocker partenopeo, sottolineando quanto sia importante viaggiare per capire realmente come vada il mondo.
“Girogirotondo. Codex latitudinis”, però, è ben più di un libro celebrativo: è lo spunto per riflettere su uguaglianza e ingiustizie sociali, rispetto per l’ambiente, solidarietà e fine delle guerre. Temi che rappresentano colonne portanti del songbook di Edoardo Bennato, che ha gentilmente concesso un’intervista ai nostri microfoni.
“Girogirotondo – codex latitudinis” è il titolo del nuovo libro di Edoardo Bennato. Com’è nata l’idea di scrivere un libro e, soprattutto, qual è il codice latitudinale al quale fa riferimento?
A 12 anni, con i mie fratelli Eugenio e Giorgio, andammo in Sud America in nave a suonare, anche a Caracas in Venezuela. Poi, negli anni a seguire, andai a suonare in Cile, al Festival Internazionale di Vigna del Mar, per 3 anni di seguito, dove ebbi l’opportunità di conoscere Allende.
Ancora feci viaggi a Londra, tra la fine degli anni ’60 e gli inizi dei ’70, dove sviluppai l’idea di costruire un tamburello a pedale guardando i ragazzi che suonavano per strada. Nel 1984 andai a suonare a Cuba, portato dal mio amico e grande giornalista Gianni Mina’, che mi fece conoscere Fidel Castro.
E di seguito, in tutta Europa, negli Stati Uniti, in Canada, in Cina… insomma ho avuto l’opportunità, viaggiando, di poter vedere le cose, di vivere in prima persona esperienze, non mediate, filtrate attraverso la narrazione dei giornali o delle televisioni che, talvolta, raccontano gli accadimenti in base a visioni politiche, o magari addirittura distorte, seguendo interessi di parte.
Da ciò ho sviluppato la mia teoria del “codex latitudinis” che parte da un concetto di base: su questo pianeta non ci sono diverse “razze”, ma un’unica razza, quella umana, che si è solo apparentemente diversificata, attraverso i millenni, in base allo spostamento latitudinale dall’Africa… per dirla in breve, siamo tutti Africani!
Può esserci, secondo Lei, una correlazione tra ingiustizia sociale e luogo di nascita?
Purtroppo sì, e ciò vale ad ogni latitudine: nascere a Lagos in Nigeria, a Manila nelle Filippine, nei paesi dell’America Latina, nelle città degli Stati Uniti se sei un immigrato o di colore non te la passi certo bene.
Ma anche in Italia, mi riferisco ad alcune aree precise delle nostre città dove, a causa della casualità del luogo dove si nasce, si può essere sia vittime di feroci quanto spietate disuguaglianze, quanto schiacciati dalle differenze culturali.
Però, in alcuni casi , qualcuno potrebbe trovare nel disagio, lo stimolo necessario e sufficiente per tentare di cambiare lo stato delle cose. In una mia canzone,”È lei”, sostengo : “…È lei che proprio in questo istante sta nascendo, nell’angolo più povero del mondo… e che forse questo mondo cambierà”.
Da “I buoni e i cattivi” a “Giro girotondo”, passando per Pinocchio e Mangiafuoco, Peter Pan e Capitan Uncino, il confronto tra i buoni e i cattivi è spesso stato al centro delle sue storie. Chi sono, oggi, i buoni e i cattivi per Edoardo Bennato?
Ho sempre ironizzato sulla standardizzazione del concetto dei “buoni e i cattivi”. Nella canzonetta “Arrivano i buoni” dico: “Arrivano i buoni ed hanno le idee chiare sui cattivi da eliminare… così adesso i buoni faranno una guerra contro i cattivi ma hanno assicurato, che è l’ultima guerra che si farà”. Quindi, attenzione, che i buoni di oggi potrebbero essere i cattivi di domani… e viceversa!
“Raffaele predicava in tempi non sospetti che il rock è un sentimento che appartiene a tutti”. Cos’è, per Edoardo Bennato, il rock?
Il rock non è solo un genere musicale, ma è anche uno stile di vita, ovvero rock è cercare, laddove è possibile, di scardinare i luoghi comuni, le false morali, il finto perbenismo, le convenzioni.
Insomma, almeno per me, questo significa rock ed è l’unica bandiera che posso sventolare.
Nel suo ultimo album è presente “Io vorrei che per te”. Secondo Lei, a quattro anni dall’uscita di quella canzone, un’isola che non c’è, per le generazioni future, può diventare realtà?
Per definizione, il concetto dell’Isola che non c’è, rappresenta l’utopia, quindi si corre il rischio di crogiolarsi nella ricerca, perdendo di vista gli obiettivi concreti. Mi spiego. Quest’isola, al punto in cui si trova l’umanità in questo periodo storico, bisogna necessariamente, assolutamente trovarla! Non ci è rimasto molto tempo.
Dobbiamo invertire la rotta, cambiare mentalità nell’approccio al clima, ad esempio, al continuo, sistematico sfruttamento dei suoli e delle aree, risolvere il divario che esiste tra il Nord e il Sud del Mondo che provoca esodi “biblici”.
Dunque bisogna cambiare. La natura si riprende ciò che è suo, usando mezzi inaspettati, come nel caso della pandemia che stiamo vivendo. Abbiamo pensato di essere i padroni del pianeta, e invece…
Nel tour dello scorso anno, “Stop America” è stata la canzone che dava il via alla seconda parte dello spettacolo. Una canzone estremamente attuale, come tantissime altre sue canzoni. Cosa pensa di quanto sta accadendo in America nel periodo recente?
Ovviamente ciò che accade negli Stati Uniti mi preoccupa molto. C’era stato uno spiraglio che faceva ben sperare qualche anno fa. Poi è avvenuta un’ involuzione – per quanto bisogna ricordare, che si tratta comunque di una democrazia, io ho il massimo rispetto per il valore del voto che esprime il popolo.
In linea di massima, però, credo che il modello democratico non si possa, per così dire, esportare con le bombe… e neanche con le repressioni interne. Ma questo, purtroppo, non è un fenomeno che riguarda solo lo Zio Sam.
In conclusione, quali sono stati i suoi principali punti di riferimento in letteratura?
Ne ho avuti tanti. Direi Calvino, Erasmo da Rotterdam, Collodi, J.M.Barrie, ma anche Miguel de Cervantes. “Don Chisciotte della Mancia” sarebbe un ottimo spunto per farci un musical.
Intervista a cura di Corrado Parlati.
A Edoardo Bennato e Giulia Civiletti va un sentito ringraziamento da parte della redazione di MentiSommerse.it
A questo indirizzo potete trovare la scheda ufficiale del libro.