La Berlino di metà anni ’70 era una foto in bianco e nero. Una enclave della ex Ddr nella quale la tensione della Guerra Fredda si respirava pesante all’ombra del Muro. Era la città dove le persone cercavano di alienarsi dalla frenesia del mondo, di perdersi nelle strade dei night club dalle luci soffuse o nelle eccentriche gallerie d’arte. Berlino non era sfrenata come Los Angeles: sapeva essere accogliente e buia, seducente e discreta. Una città che sapeva garantirti l’anonimato, soprattutto se avevi bisogno urgente di frenare la deriva autodistruttiva sulla quale ti stavi incamminando. Christopher Isherwood, scrittore inglese, visse al 155 di Hauptstrasse, nel quartiere di Schöneberg. Si trasferì in Germania perché attratto da usi e costumi della Repubblica di Weimar, e ne descrisse l’atmosfera in una serie di racconti, Addio a Berlino, che avrebbero fornito l’ispirazione per il celebre musical del ’72, Cabaret.
Il 155 di Hauptstrasse
In quella stessa casa, nel cuore del quartiere turco, vi si trasferirono quattro persone tra il 1976 ed il 1978. James Newell Osterberg Jr. (al secolo Iggy Pop), un ventottenne che cercava in tutti i modi di fronteggiare una drammatica parabola autodistruttiva. Tre dischi con gli Stooges, che avrebbero rappresentato l’alba del punk. Poi il consumo disumano di acidi, il fallimentare tentativo di ripulirsi presso l’istituto neuropsichiatrico della Ucla, il divorzio dalla Elektra. E, soprattutto, lo scarsissimo successo commerciale di Raw Power, il terzo album della band, definitivamente sciolta dopo una megarissa con un gruppo di motociclisti al Michigan Palace di Detroit, il 9 febbraio 1974. Con lui un caro amico, mosso da motivazioni analoghe: tanto successo, il tunnel della droga, il bisogno di svoltare dopo anni trascorsi nella città degli angeli ed una dieta fatta essenzialmente di cocaina, peperoni e latte.
Il Duca Bianco e l’Iguana
David Bowie aveva già capito che quella parabola l’avrebbe portato ad una fine precoce. In compagnia di Corinne Coco Schwab, sua storica assistente, ed Ester Friedman, fotografa e fidanzata di Iggy per sette anni, si tuffarono laddove nessuno avrebbe potuto riconoscerli. I due si erano conosciuti nel 1971, quando il Duca Bianco aveva convinto Iggy riappacificarsi con i fratelli Ashton e a riformare gli Stooges. Nel 75′ incaricò Corinne di proporre a Iggy Pop di accompagnarlo nell’Isolar Tour di Station to Station. Poi, la scelta di Berlino. Bowie era stato l’unico amico per Iggy nel periodo difficile dell’Ucla, trascorso tra notti insonni, parentesi depressive, droghe psichedeliche e totale immobilismo creativo. E Iggy sapeva di poter contare su pochi punti fermi. I romanzi di Dostoevskij, le opere di Erich Heckel, le foto della sua amatissima madre e, ovviamente, David.
Disintossicarsi e rinascere
“È una città ambigua, dove risulta difficile distinguere i morti dai vivi” avrebbe raccontato Bowie a Vogue. I malinconici ambienti berlinesi, distanti da quelli descritti da Isherwood nelle sue storie dedicate alla capitale tedesca, si rivelarono perfetti per loro. Disintossicarsi e rinascere: questo era il loro obiettivo. Le loro giornate trascorrevano tra la scrittura di poesie e canzoni, pittura, musica, night club e gallerie d’arte. Una delle loro preferite era Die Brücke, dove potevano ammirare i dipinti del movimento espressionista tedesco e subire il fascino di quella città che divideva due mondi. David la definì «il centro di tutto ciò che sta accadendo e che accadrà nei prossimi anni in Europa», una sorta di germoglio di ogni avanguardia culturale e sociale. Lui voleva sperimentare per scoprire nuove forme di scrittura, di fare musica. Avanti a tutti, prima di tutti, come sempre nella sua carriera artistica.
Il gentleman e l’uomo del Midwest
«David era molto professionale e non voleva che persone esterne alle registrazioni potessero accedere agli studi – avrebbe poi raccontato Ester Friedman – poi imparò a fidarsi di me e quindi potei assistere a molte registrazioni. David era straordinario come produttore e tirò fuori il meglio del lavoro con Iggy. Non imponeva uno schema di lavoro ma si adeguava alle caratteristiche della persona con la quale lavorava e lavorare con Iggy gli piaceva. Era davvero un grande fan di Iggy e degli Stooges nonostante lui e Jim fossero fondamentalmente agli opposti: un gentleman britannico e un americano nato nel Midwest».
«Penso che durante quel periodo sia avvenuto un importante scambio di idee tra me e Bowie. Quando incontrai David per la prima volta, mi esibivo con il nome di Iggy da quattro anni, ma sapevo che senza un cambiamento, non sarei arrivato da nessuna parte. Non è importante capire fino a che punto Bowie abbia preso da me, o io da lui. È grazie a David se sono riuscito ad andare avanti» ha raccontato recentemente Iggy.
Da quel periodo venne fuori la trilogia berlinese del Duca Bianco: Low, Heroes (ascolta qui il disco), Lodger. Mentre Iggy, sempre sotto l’attenta supervisione di Bowie, tirò fuori The Idiot (con evidente citazione letteraria), e Lust for Life (ascolta qui il disco) ovvero tra i loro dischi migliori di sempre. Dischi che hanno segnato generazioni e influenzato musicisti, scrittori, artisti di ogni genere. Le registrazioni venivano fatte negli studi chiamati Hansa By The Wall, le cui vetrate si affacciavano proprio sul Muro di Berlino, anche se molte parti furono registrate in studi di Monaco e Parigi.
«Volevo diventare come David»
Iggy è sempre stato molto sincero al riguardo. «Non avevo mai visto nessuno lavorare come David. Conosceva qualsiasi tipo di musica e andava ad ascoltare i gruppi della città in cui si esibiva. Io ero esausto solo a guardarlo, ma sapevo che un giorno avrei voluto fare come lui. Era per questo che la sua carriera andava così bene, mentre la mia andava così male». David caricò Iggy sulla sua auto, e gli mostrò la strada: non solo metaforicamente, ma anche realmente. Lunghi viaggi nella S-Bahn, ammirando i tetti severi di Berlino, o nell’auto del suo caro amico: fu esattamente così che venne fuori The Passenger. Oltre a tutto il resto.