Il 1971 stava per concludersi. Il 3 ottobre i Pink Floyd fecero conoscere al mondo Live at Pompeii, l’11 venne pubblicata Imagine di John Lennon e di lì a poco la sonda russa Mars 3 avrebbe inviato sulla Terra alcune foto di Marte. E l’8 novembre faceva la sua comparsa nei negozi musicali un disco senza nome, cosa che di fatto non rappresentò un impedimento dato che, secondo alcune stime, avrebbe poi venduto circa 35 milioni di copie nel mondo. Un contadino piegato dal peso di una fascina di legname nel mezzo di un muro, l’eremita, i tarocchi e i simboli runici dei quattro componenti del gruppo. Era quello che tutti avrebbero conosciuto semplicemente come Led Zeppelin IV.

Nella prima settimana di dicembre, il disco raggiunse il primo posto nella classifica degli album di Record Mirror, restando in cima per due settimane. Arrivò al secondo posto negli Stati Uniti, mentre il singolo Black Dog (con Misty Mountain Hop come B-side) raggiunse l’undicesima posizione in Australia. Fu allora che la band decise di andare in tour nel paese dei canguri. Sarebbe stata la prima ed ultima volta, perché successe veramente di tutto in quei giorni.

NO AI “CAPELLONI”

Le date previste erano sei, più una tappa “introduttiva” a Singapore il 14 febbraio. Ma ai Led Zeppelin non fu concesso di entrare nella Repubblica asiatica in quanto i loro capelli lunghi sapevano troppo di “occidentale” (o almeno questa fu la motivazione ufficiale fornita dal Governo dell’epoca). Dunque, niente Singapore e appuntamento direttamente il 16 alla Western Australia di Perth. Qui accadde che i fan senza biglietto cercarono di entrare con la forza (cosa usuale negli anni ’70 anche in Italia), di conseguenza quelli all’interno “pressavano” il palco. Più di cento poliziotti faticarono a contenere la folla, ma il concerto si tenne ugualmente. Con buona pace delle camice indossate dal gruppo quella sera, letteralmente fatte a pezzi durante il successivo “assalto” dei fan scatenati alla fine dello show.

Il giorno dopo, 17 febbraio, la squadra anti-droga fece irruzione nell’hotel di Adelaide dove il gruppo alloggiava. Avevano avuto una “soffiata” e misero a soqquadro le stanze alla ricerca di qualcosa di compromettente: non trovarono niente, ma Jimmy Page ha sempre pensato che qualcuno volesse metterlo nei guai. Non erano certo i nemici che gli mancavano.

L’INCONTRO MANCATO

Il 18 febbraio i quattro avrebbero dovuto suonare al Memorial Drive Park, ma un acquazzone terribile ne causò il rinvio al giorno dopo (ascolta l’audio dell’intero concerto). Fu così che Page e Plant accettarono il consiglio di un amico, e quella sera andarono ad ascoltare una giovane band di Sidney, i Fraternity, che avrebbero suonato al Largs Pier Hotel. Durante la serata, Jimmy si avvicinò al cantante, e gli propose di sedersi al loro tavolo. Lui rifiutò, e quando un roadie gli rivelò l’identità della persona che si era permesso di snobbare, lui corse subito fuori a cercarli. Ma se n’erano andati. Quel giovane cantante si chiamava Bon Scott, e fortunatamente il destino gli avrebbe concesso una seconda occasione per entrare nel mondo della musica che conta. (Leggi qui la storia)

TROPPA, TROPPA PIOGGIA

Il 20 febbraio sarebbe stata la volta del Kooyong Stadium a Melbourne, solo che un altro pesante acquazzone si abbattè sulla città durante il concerto. «Sapete una cosa, qui stiamo correndo un bel pericolo – disse Robert Plant al pubblico – perciò basta così. Quando smetterà di diluviare, torneremo». Così fecero, suonarono qualche altro pezzo, poi salutarono la folla: «Grazie di cuore, ora dobbiamo andare. E anche voi dovete, altrimenti salteremo tutti in aria. Acqua ed elettricità non vanno per niente d’accordo».

Durante quei circa dieci minuti di pausa, lo staff cercò di coprire l’attrezzatura con dei teloni, solo che il vento soffiava a oltre 40 miglia orarie, ed era praticamente impossibile evitare che tutto si bagnasse. «Sapevamo tutti che se fossimo rimasti lì sopra troppo a lungo, avremmo preso la scossa», avrebbe confessato successivamente il cantante. Altri due concerti a Sidney ed a Brisbane, la settimana successiva, non conobbero altri contrattempi. Ma ormai non ce n’era più bisogno: i Led Zeppelin non sarebbero più tornati in Australia.

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