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The Winter’s Tale: Shakespeare e il valore del tempo

Tra i drammaturghi più famosi nella storia di tutti i tempi c’è sicuramente William Shakespeare. Ma non vi parleremo dei suoi capolavori più noti. Niente Romeo e Giulietta, Amleto o Macbeth. E nemmeno Sogno di una notte di mezza estate. Nessuna tragedia o commedia standard e iper-conosciuta: dimenticatele. O meglio, The Winter’s Tale vi farà ricredere su ogni schema precostituito che possiate avere in mente. Scritto nel 1611 e ora visibile fino al 15 giugno sul sito del Piccolo Teatro di Milano con la sua PiccoloTV nell’allestimento portato in scena a Milano nel 2016 dalla compagnia inglese Cheek by Jowl fondata dal regista Declan Donnellan e dallo scenografo Nick Ormerod, questo testo, classificato come romance (lo stesso genere della Tempesta, per intenderci tra amanti del bardo), soddisfa le esigenze del tragico e del comico, fondendole in unico spettacolo.

The Winter’s Tale tra Sicilia e Boemia

Nella prima parte tentati avvelenamenti, morti, sospetti e la corte di Sicilia che si sfalda insieme al suo sovrano, il re Leonte, il quale osserva una realtà alterata dalle sue stesse mani fino a diventare autore paranoico della propria rovina. E poi tutto cambia, quasi inaspettatamente, con un chitarrista truffatore che si rivolge direttamente al pubblico: Ne avete avuto abbastanza di questa roba noiosa, siete pronti per un po’ di divertimento?

Si apre così il secondo atto di The Winter’s Tale in un regno di Boemia dai contorni geografici fantasiosi a cui si arriva via mare: è un mondo di campagne pieno di festa, amori adolescenti e anche qualche leggings fluo. Il tutto a 16 anni di distanza dalle drammatiche vicende che avevano avuto luogo nella reggia di Leonte, con una bambina abbandonata, Perdita (i nomi non sono lasciati al caso), diventata ormai una giovane donna in grado di cambiare, senza saperlo, il destino dei due regni e dei due sovrani.

Una storia sola

Due stili diversi, due atmosfere diverse, quasi due spettacoli diversi. Quello che rimane  uguale nel corso di The Winter’s Tale è solo l’impianto della scena che ha il suo fulcro in una grande cassa di legno sul fondo del palco, una sorta di quinta sotto gli occhi degli spettatori che si smonta e rimonta all’occorrenza e rimane sempre presente tanto nel buio luttuoso del regno di Sicilia quanto nelle luci calde di Boemia. Gli eventi procedono a grande velocità, mentre i personaggi danno vita alle azioni, quasi accavallandosi gli uni sugli altri nel ritmo frenetico dell’angoscia o del divertimento. E in un attimo la corte del re Leonte sparisce e si trasforma in una festa della tosatura che è insieme anche concerto e addirittura show televisivo per triangoli amorosi.

Tuttavia l’unità della storia non viene mai meno e si ricompone sul finale, quando personaggi e spettatori arrivano a uguale conoscenza di quanto è accaduto e tutto acquista nello spettacolo senso nuovo. Il re non avrà un erede se ciò che è perduto non verrà ritrovato, recitava l’oracolo di Delfi consultato da Leonte nel primo atto: 16 anni dopo (poco più di due ore per il pubblico) il cerchio si chiude e anche il dolore che era che scoppiato nel cuore del regno di Sicilia trova giusta risonanza e termine nelle vicende conclusive. Con il Tempo tutto torna al suo posto. E non è solo una metafora.

Tempo al Tempo

A cavallo tra i due atti e nella scena finale è proprio il Tempo a presentarsi davanti agli occhi del pubblico. Il Tempo riunisce, risolve e perdona. Prende per mano. Ricuce legami che sembravano per sempre strappati. Non certo però nella forma originaria, perché alcuni cambiamenti sono irreversibili e quasi necessari: gli errori del passato non vengono negati ma i rimorsi riescono finalmente a trovare sollievo.

The Winter’s Tale nell’allestimento di Donnellan si rivela scena dopo scena un grande inno al tempo, capace però di non prenderlo troppo sul serio. Giocando con le coordinate cronologiche mantiene i riferimenti a oracoli e dèi presenti nel testo shakespeariano ma colloca personaggi e azione in un momento imprecisato dell’epoca contemporanea, con tanto di parodia (amara) delle peripezie cui vanno incontro i viaggiatori last-minute in aeroporto.

Spezza la continuità delle vicende con un intervallo di 16 anni ma finisce per annullare questa stessa distanza riportando il pubblico in una corte di Sicilia dove tutti vestono ancora di nero per lutti ormai lontani, mentre i capelli sono diventati un po’ più grigi e gli occhi un po’ più stanchi. E mette il Tempo di fronte al pubblico nelle vesti di una giovane ragazza, che se non stai a guardare attentamente quasi neanche ti accorgi che sia passata. Eppure ha fatto il suo corso. “Comunque vadano le cose lui passa”, cantava Jovanotti nel 1992 a proposito del tempo. Ma non per forza è un male.

Trovate altri approfondimenti di spettacoli visibili in streaming che vi faranno viaggiare da Omero a Goldoni sul nostro sito

Cecilia Burattin

The Winter’s Tale

di William Shakespeare
regia Declan Donnellan
scene Nick Ormerod
luci Judith Greenwood
musiche Paddy Cunneen
con Orlando James (Leontes), Edward Sayer (Polixenes), Natalie Radmall-Quirke (Hermione / Dorcas), Eleanor McLoughlin (Perdita), Joy Richardson (Paulina / Mopsa), Grace Andrews (Emilia / Time), Abubakar Salim (Camillo), Ryan Donaldson (Autolycus), Chris Gordon (Florizel), Peter Moreton (Old Shepherd / Antigonus), Sam McArdle (Young Shepherd), Joseph Black (Cleomenes), Guy Hughes (Dion / Live Music Coordinator), Tom Cawte (Mamillius)
produzione Cheek by Jowl
in coproduzione con Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa; the Barbican Theatre; Les Gémeaux/Sceaux/Scène Nationale; Grand Théâtre de Luxembourg; Chicago Shakespeare Theater; Centro Dramático Nacional, Madrid (INAEM)
in collaborazione con Shakespeare Lives | British Council | the GREAT Campaign

La registrazione è stata realizzata presso il Barbican Centre di Londra il 18 aprile 2017

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