“Ed ecco a noi venir per nave
Un vecchio, bianco per antico pelo
Gridando: “Guai a voi anime prave!”

Ed ecco il loco
Ove convien che di fortezza t’armi

Considerate la vostra semenza
Fatti non foste a viver come bruti
Ma per seguir virtute e canoscenza

Caron dimonio, con occhi di bragia
Loro accennando, tutte le raccoglie.
Batte col remo qualunque s’adagia

Stavvi Minòs, orribilmente ringhia,
Essamina le colpe ne l’intrata
Giudica e manda secondo ch’avvinghia

Ingiusto fece me contra me giusto

Uomini fummo, e or siam fatti sterpi
Ben dovrebb’esser la tua man più pia
Se state fossimo anime di serpi”

Con la voce di Vincenzo di Bonaventura e gli scratch di Dj Fastcut si apre Infernum, il primo disco congiunto di Claver Gold e Murubutu. E chi se non loro poteva prendersi in carico l’eredità di Dante, traducendo in rap l’Inferno?

Marginali rispetto a una scena italiana sempre più spostata verso la trap e verso uno stile lirico e contenutistico impegnato a scimmiottare i suoni provenienti dagli USA, i due autori di Infernum sembrano qui raggiungere l’amalgama perfetto. Il rapper ascolano e il professore-cantastorie reggiano avevano già collaborato in alcuni brani, tra cui Le Sirene e La rana e lo scorpione, e mettono al servizio di questo disco il meglio di sé e di ciò che la loro unione musicale può dare.
Claver Gold, autore tra gli altri di Requiem e Lupo di Hokkaido, ha sempre prodotto testi improntati alla malinconia e alle riflessioni sulle proprie sofferenze; Murubutu invece vanta una produzione che trascende il rap e sfiora la narrativa, come traspare da titoli quali Il giovane Mariani e altri racconti o Tenebra è la notte ed altri racconti di buio e crepuscoli.
Non si poteva dunque immaginare una combinazione di stili migliori per condensare in 11 tracce i tormenti infernali descritti nelle terzine di uno dei pilastri della letteratura mondiale, Dante Alighieri.

Prime cantiche

Dopo l’ingresso all’Inferno, sancito da Selva oscura, il disco ripercorre alcune delle tappe fondamentali del viaggio compiuto da Dante e Virgilio.

Antinferno riassume i primissimi Canti: “A passi lenti tra gli ulivi e bivi decisivi/ tocca sfidare i morti per sentirci vivi […] Dietro di noi la porta in legno pare si sia chiusa/ cala la notte in un inferno di luce soffusa/ prima di Pluto, Caco, Furie, Minosse, Medusa”. L’ascoltatore ripercorre lo smarrimento di Dante che, nel mezzo del cammin di nostra vita, si smarrisce nella selva oscura e, per volere divino, affronta una fantasmagoria di anime defunte superata la quale troverà l’assoluzione dei propri peccati e sarà pronto a trasmettere all’umanità intera l’esperienza vissuta nel proprio percorso dal profondo degli Inferi al Paradiso Terrestre.
La prima schiera di anime è quella degli Ignavi, di cui però non viene detto molto nella Commedia; si guarda e passa oltre, arrivando al cospetto di Caronte, il traghettatore dell’Acheronte.

Il timoniero nell’impero delle anime perse/ Spinge fiero il vecchio legno nell’oscurità/ Fra i dannati mille corpi si spingevano sui bordi/ Tutti in riva all’Acheronte stretti a forza in mezzo ai solchi”.
I ruoli nelle strofe sono fondamentali: Murubutu descrive narrativamente il contesto, Claver Gold inquadra lo stato d’animo e la sofferenza che suscitarono in Dante pietà. quella compassione mista al sollievo per essere ancora un vivo tra i dannati: “Soli dove il mondo ci ha dimenticati/ sporchi, raffreddati, tesi e spaventati/ Nell’attesa di esser traghettati, presi e giudicati”.

L’ultima tappa prima di accedere allo scenario della dannazione porta al cospetto di Minosse: egli giudica i peccati delle anime dannate e, avvolgendosi con la coda mostruosa, sancisce la pena a cui esse sono destinate: “Qua anime in fila, quanti denti stretti fra le morse/ Qua tante spire quanti i cerchi scelti da Minosse”. Le anime qui attendono il verdetto cercando di immaginare cosa la legge del contrappasso destinerà loro.

Inferno

Il Canto V dell’Inferno racconta l’amore adultero di Paolo e Francesca; il primo singolo di Infernum riprende proprio questa vicenda, collocata non a caso come quinto brano del disco.
Murubutu racconta come Paolo e Francesca, leggendo la storia di Lancilotto e Ginevra, si trovarono legati in “un abbraccio che sfidava mille leggi e almeno cento dei”, che li porta ad essere condannati al tormento di una tempesta infernale che li sferzerà per l’eternità.
Claver Gold, fedele al suo stile, si immedesima in Paolo ribadendo l’amore peccaminoso per Francesca e portando alla luce un elemento fondamentale anche nella Commedia: i dannati sono dannati proprio perché rifiutano di pentirsi e rivendicano le proprie scelte; Giuliano Palma, cantante milanese a cui è stato affidato il ritornello, sottolinea giustamente come i due amanti muoiano l’uno dell’altro.

L’incontro successivo è con Pier delle Vigne, la cui rilettura contemporanea lo rappresenta come un ragazzo sopraffatto dalle insicurezze e dal bullismo di cui è vittima.
Tu che non parli ormai da tempo con gli altri bambini/ Tu ti sei chiuso dentro un guscio di paure e stanco/ Non hai la forza di lottare e tornare nel branco/ Non hai più voglia di sedere solo su quel banco/ Quando nessuno, sì, nessuno vuole starti accanto/ Sono scomparsi quei commenti sotto la tua foto/ Ma alcune frasi son rimaste […] Quindi mamma, scusa tanto, non sono felice/ il mio cuore prende il largo da ogni sguardo ostile/ Nella stanza, sul mio banco, all’alba giù in cortile/ Oggi non ci sono più, c’è un albero di vite”: come il personaggio dantesco, Pier è collocato nel secondo girone del settimo cerchio, dove sono puniti i violenti contro sé stessi. Il suo corpo, ridotto ad un arbusto di vite, non sarà recuperato nemmeno al tempo del Giudizio Infernale.
La pietà che Dante descrive per il personaggio si traduce nelle liriche di Claver Gold e Murubutu, che sembrano prendere decisamente le parti del dannato descrivendone la solitudine, la sofferenza e la perdita di senso della vita stessa.

Superati i diavoli delle Malebranche, si arriva di fronte ad uno dei personaggi più memorabili sia della Commedia che del disco. Nel XXVI Canto, Dante e Virgilio si imbattono in una fiamma con due punte; in una di queste brucia l’anima di Ulisse, colpevole di aver spinto la sua ciurma oltre i confini dogmatici imposti da Dio. Così come nell’opera di Dante, l’eroe di Itaca ricorda il proprio viaggio ai confini del mondo e il suo naufragio nello Stretto di Gibilterra, che pose fine ad una vita all’insegna della nostalgia, dell’incontro con creature mostruose quanto affascinanti e, infine, alla resa di fronte al limite estremo della conoscenza umana: “Io che vidi le eclissi, che vinsi Calipso/ Che vinsi e sconfissi, sì, Scilla e Cariddi/ Ora riposo sui fondali dell’Andalusia […] Cantami Musa dell’eroe di Grecia e le sue gesta/ che brucia lento tra le fiamme al canto della Bestia/ che sfidò il fato fino all’ultima triste tempesta”.

L’ultima anima condannata che presenta il duo rap è Taide. Nella Commedia questa figura appare nel Canto XVII, quindi prima di Ulisse, ed è condannata tra gli adulatori a causa di una frase riportata da Cicerone e tradotta erroneamente dal poeta fiorentino, che la dipinge attraverso un linguaggio assai colorito come una lasciva prostituta.
Tra citazioni quasi deandreiane (“Lei che fa l’amore, forse un po’ per piacere/ Un po’ per passione o un po’ per godere”) e una prospettiva più contemporanea sulla questione sociale della prostituzione, qui Murubutu e Claver Gold, come in Pier, prendono le parti della dannata ben più di quanto abbia fatto Dante nella propria opera, che anzi trova in questo episodio uno dei momenti linguisticamente più violenti.

E quindi uscimmo a riveder le stelle

Il viaggio nell’Ade è quasi concluso, ma resta ancora una tremenda figura da affrontare.
Conficcato nel ghiaccio delle profondità dell’Inferno risiede Lucifero: “Sì, in mezzo al buio, freddo e muto/Un imperatore decaduto/ Grande bestia con sei occhi, con tre bocche/ Maciullava nella notte Giuda, Cassio e Bruto”. Traditore di Dio e scagliato giù dal Cielo, il corpo di Lucifero fu aborrito dalla Terra stessa, che si ritrasse formando il cono infernale rappresentato nella costruzione astronomica dantesca. Nella Commedia, Dante perde i sensi, l’ascoltatore invece arriva all’ultima traccia di Infernum. L’Oltretomba è alle spalle; di fronte, le stelle e il Chiaro Mondo.
Gli scratch di Dj Fastcut, frammenti dal mondo dei dannati, richiamano il terribile percorso compiuto e portano termine un disco che non può che fare la storia e la letteratura del rap italiano.

“Ehi, Murubu’
Claver Gold

Il nostro viaggio all’inferno

Mi imbatto e combatto col celebre Cerbero
Inferno, Inferno (Oh, no!)
Per me già che stare al mondo mi sembra un Inferno
È Inferno
È Inferno

Cime e spiriti, sibili simili a spiriti
Inferno, Inferno

Risplenderò nel male
Vieni a svegliar Lucifero
È Inferno
È Inferno

Giù, giù, su
Tutti tremano, tutti temano tutto, tranne la morte
Giù, giù, su
Cane a tre teste, che sono tre facce d’uomo
Giù, giù, su
Dal mondo dei vivi calato nel vivo del mondo degli Inferi
Giù, giù, su
Porto il cielo all’Inferno”

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