“Se questa fosse l’ultima canzone che scrivo, la sto scrivendo a te. Se questa notte giorno non diventasse, allora devi saperlo: io ho vissuto per te”. È così che torna sulle scene Gianni Fiorellino, che proprio oggi ha pubblicato un nuovo brano, suonato completamente da solo, scritto in questi giorni di emergenza.
In questa chiacchierata abbiamo toccato diversi argomenti:
- L’esordio di Gianni Fiorellino
- Il nuovo brano “Nisciuna notte nun po’ maie fernì”
- “Malatia” e l’incontro con Franco Ricciardi
- La sua esperienza a Sanremo
Insomma, non vi resta che leggere. Ecco l’intervista completa:
Come si è avvicinato Gianni Fiorellino al mondo della musica? C’è stato un momento, nella tua vita, in cui hai capito che avresti voluto fare il cantante?
Mi sono avvicinato alla musica grazie a quello che già faceva mio padre, cioè la musica. Suonava la chitarra. Ero molto piccolo, già a sei o sette anni mi facevo prendere dall’energia musicale, prima giocando e poi iniziando a capire che quegli strumenti che avevo in casa producevano un’emozione.
Così, prima il pianoforte, poi gli studi, e verso gli undici dodici anni mi sono trovato a fare piano bar: io suonavo le tastiere, mio padre la chitarra e mio zio cantava. Un giorno, non mi ricordo perché, mio zio non c’era. Mio padre cantava e io, con un microfono vicino alla tastiera, facevo cori e controcanti.
Da quel momento mi sono appassionato, fino ai 14 anni in cui ho pubblicato il mio primo disco.
Oggi è uscito “Nisciuna notte nun po’ maie fernì”. Vuoi presentare il tuo nuovo brano ai nostri lettori?
È un brano forse tra i più belli che abbia cantato e scritto insieme a D’Agostino. È un pezzo che rappresenta il mio amore per la mia famiglia, in particolare per mia moglie, però rappresentato in questo momento.
Credo di essere riuscito a far trasparire la sofferenza di un momento così brutto, quasi trasformandolo in benessere sentimentale, fino a trovare la chiusa finale: darei la vita per lei, e l’ho capito ancor di più in questo momento, perché come tutti i padri di famiglia mi sono trovato a combattere con la speranza e pensare a domani cosa sarà.
È una canzone che mi resterà attaccata per sempre.
Che esperienza è stata, per te, registrare un brano interamente da solo?
Io sono abituato a fare le cose da solo, perché curo arrangiamenti, composizioni, registro chitarra, basso e pianoforte, che è il mio strumento, ma la batteria, che questo brano richiedeva, l’avevo sempre vista come un hobby. Non l’avevo mai registrata.
Quindi mi sono dovuto mettere con calma, l’ho fatto e sono contento del risultato, anche se appena ci libereranno non ripeterò l’esperienza, perché la lascio a chi lo sa fare bene. Mi sono divertito anche se un po’ stancato.
Uno dei tuoi successi più recenti è “Malatia”, che hai inciso con Franco Ricciardi. Com’è nata questa canzone?
Avevo l’idea di fare un pezzo in coppia con Franco. Mi piaceva l’idea di unire queste due voci: una molto limpida, chiara, e l’altra più particolare e scura come quella di Franco. A lui è piaciuto molto il pezzo, ci siamo uniti, abbiamo deciso di farlo ed è nato anche un bel successo.
Nel 2017 hai preso parte a Zappatore, un progetto di Nino D’angelo in ricordo di Mario Merola. Cosa ha rappresentato per te una figura come quella di Mario, nel corso della tua carriera?
Sicuramente, come per tutti i buoni napoletani, è stata una figura importante, anche se io, più che meroliano, sono più carosoniano, perché essendo un pianista più volte mi sono ispirato a Renato per esercitarmi e suonare anche cose che non erano mie. Però Mario Merola è sicuramente uno dei rappresentanti della melodia, nei pezzi miei ho sicuramente delle “merlate”, quindi viva Mario.
Nel 2002 hai preso parte al Festival di Sanremo con “Ricomincerei”. C’è un ricordo in particolare della tua prima esperienza al Teatro Ariston che vuoi raccontare ai nostri lettori?
Ero piccolo, avevo forse 19 anni, ed è tutta una bella esperienza, a qualsiasi età. Con il senno di poi, mi sarebbe piaciuto fare Sanremo oggi, perché un pezzo del genere l’avrei portato tranquillamente, avrei incantato di più gli ascolti e interessato di più.
Però a diciannove anni devi ascoltare di più ciò che ti consigliano gli altri, qual è la direzione che vogliono darti i discografici. Anche se io ero molto preparato su questo lavoro, l’esperienza era limitata e decidevano gli altri per me. Però è sicuramente un’esperienza bellissima, che mi ha aiutato a scrivere in modo indelebile due volte la parola Sanremo nella mia carriera.
A Gianni Fiorellino e Francesca Scognamiglio va un sentito ringraziamento da parte della redazione di MentiSommerse.it
Intervista di Corrado Parlati