Lila, Lenù, ma anche Olga, Leda e tante, tantissime altre donne. E poi ci sono luoghi, sensazioni visive e uditive, percezioni tattili: la scrittura di Elena Ferrante è un insieme di emozioni che attraverso i personaggi arrivano al lettore, trascinandolo in un mondo nuovo.
Oggi, noi di MentiSommerse.it abbiamo intervistato Giulia Zagrebelsky.
CHI È ELENA FERRANTE
Elena Ferrante, a livello letterario, esiste solo nei suoi libri. Quali sono state, secondo Lei, le sue principali influenze letterarie, stando a quanto emerso dallo studio dei suoi libri?
Credo però che una meccanica ricerca delle influenze letterarie sia un processo non particolarmente fecondo in questo caso. Può essere una caccia al tesoro divertente, ma la verità è che la tendenza a cercare a tutti i costi delle madri e dei padri, se così vogliamo chiamarli, rischia di ingabbiare un testo e di farcelo leggere alla luce di genitori presunti.
Un romanzo può servire a capire il presente, e il presente di Ferrante noi lo stiamo vivendo. Indubbiamente Ferrante ha letto molto, di tutto, classici e contemporanei, e questo bagaglio letterario è stato digerito, filtrato e convogliato nei suoi romanzi, in modo più o meno consapevole e controllato. Ma credo che i romanzi siano la stratificazione delle letture di una vita per l’autore che lo scrive, e anche per il lettore che lo legge.
TRA LUOGHI, SENSAZIONI E PERCEZIONI
I luoghi sono fondamentali in letteratura, perché sono lo sfondo su cui i personaggi prendono vita. Elena Ferrante, nella tetralogia “L’amica geniale”, così come in “L’amore molesto”, riesce a raccontare Napoli in un modo unico, ribaltando la narrazione di temi trattati da sempre, come l’amicizia, la famiglia, la sofferenza. Cosa rende Napoli una città così “irrisolvibile”? La città partenopea può essere considerata anche una madre per i personaggi?
Io penso che il tema principale di Ferrante, quello che lei indaga e declina in ogni sua opera, sia il rapporto con la propria origine. E in questo caso possiamo considerare Napoli stessa come matrice, luogo primigenio, ventre materno da cui bisogna allontanarsi per potersi emancipare, ma a cui si ritorna sempre per un richiamo ancestrale e istintivo.
Anche il rapporto dei personaggi con il dialetto si può leggere con quest’ottica, penso soprattutto a Olga e a Lenù: l’italiano è un obiettivo, ma il dialetto ti risucchia indietro per metterti di fronte alla tua vera natura.
“L’amica geniale” è una tetralogia in cui le parole, ancor prima di generare immagini, evocano suoni, percezioni tattili. Cosa rende unico il modo di raccontare di Elena Ferrante?
Quello che colpisce di Ferrante è la sua capacità di toccare la sensibilità di persone molto diverse per età, istruzione, provenienza, tanto che si parla da tempo di una “Ferrante fever”. Credo che i motivi di questo successo globale siano molteplici. La sua narrazione è molto naturale, ricorda un racconto orale per la fluidità e l’apparente assenza di capriole stilistiche. Qui sta uno dei suoi punti di forza.
E poi parla di storie e personaggi che per alcuni lettori possono essere lontani nel tempo e nello spazio, ma che in realtà raccontano di ognuno di noi. Chiunque, leggendo “L’amica geniale”, ci può trovare un sentimento, un gesto, una relazione, un conflitto che conosce da vicino. E questo accorcia le distanze generazionali, spaziali e sociali.
Per quanto riguarda la potenza della scrittura, è soprattutto “L’amore molesto” a mettere bene in scena questa sua capacità evocativa. Di nuovo torniamo alla violenza della città, dove gli odori delle scale dei palazzi, i suoni, le voci, le sensazioni tattili date dal contatto ravvicinato con i passeggeri di un tram o dalla pioggia sulla pelle, hanno un potere trasformativo sui personaggi femminili.
LE DONNE DI ELENA FERRANTE
Quello del rapporto tra le figlie e le madri è un tema costante nella produzione di Elena Ferrante: c’è un filo conduttore tra la madre di Lenù e quella de “La figlia oscura”?
È come se sentissero il peso di che cosa comporta l’essere donna – qui Ferrante è abilissima nel problematizzare i luoghi comuni sulla maternità e sul matrimonio – e cercassero dei modi per liberarsi da questo giogo, per provare a riscrivere un vocabolario femminile. Hanno una nuova consapevolezza: la libertà, il potere di decidere per sé. Che poi ci riescano fino in fondo è un altro discorso. E in ogni caso questa libertà ha un prezzo. Nessuna di loro è un personaggio risolto, soddisfatto. I tempi per questo forse non sono ancora maturi.
La madre di Lenù, invece, rappresenta quel mondo da cui la generazione delle figlie deve emanciparsi.
“Ecco dunque una delle più efficaci definizioni coniate negli ultimi anni per la città: l’«ustione-Napoli», ha scritto Mirella Armieri in questo articolo sul Corriere della Sera.
Passiamo a “I giorni dell’abbandono”: come evolve il personaggio di Olga? Quanto è vicina la sua anima a quella di Torino?
È una città che porta all’isolamento, è il luogo su cui Olga, che viene da Napoli, ha tentato di plasmarsi, ma che poi le ha mostrato il suo fallimento. Olga non è quello che si è esercitata a essere.
L’ultimo libro della Ferrante è “La vita bugiarda degli adulti”. C’è chi l’ha paragonato a “L’educazione sentimentale” (come si legge in questa recensione di Stefano Massini) e chi a “Madame Bovary” (qui, sul Corriere della sera). Quanto è presente, realmente, l’influenza di Gustave Flaubert in questo libro?
Ferrante le usa come trama entro cui i suoi personaggi si incastrano, e da cui cercano invano di fuggire. Ognuno di loro è imbrigliato e si dimena disperatamente per delineare un futuro che le smentisca. Alcuni ne sono consapevoli, altri meno, ma tutti lottano contro un destino che è inscritto nel sangue loro, dei loro genitori e della stagione culturale e sociale che stanno vivendo.
L’ereditarietà dei caratteri, in particolare, ci riporta al discorso sull’origine. Lenù dell’“Amica geniale”, ad esempio, teme di scorgere improvvisamente un proprio difetto nell’andatura (sua madre è claudicante). Anche “La vita bugiarda degli adulti” imposta un discorso complesso su questo punto, e i personaggi di Giovanna e della zia Vittoria ben rappresentano la questione dell’ereditarietà.
La domanda, alla fine, è: di che cosa siamo fatti? Che cosa ci portiamo dentro che non è nostro, ma di chi è vissuto prima di noi? Ed è possibile lasciarlo indietro e riempire quello spazio con qualcosa che ci appartiene in modo esclusivo in quanto individui unici, sganciati dal flusso continuo entro cui siamo collocati?
In conclusione, lei si è laureata con una tesi dedicata proprio alle donne della Ferrante. C’è un personaggio che sente particolarmente vicino a Lei per modo di essere o che l’ha colpita particolarmente?
Lila è, tra tutti, il personaggio che mi pare meno verosimile, ma è anche il più forte. Le altre protagoniste sono donne che potremmo conoscere o aver incontrato, o potremmo addirittura essere noi. Lila, invece, è così perfetta che è quasi un personaggio mitico, lontano dalla realtà pur essendo quello che di più ci si impasta dentro.
È difficile non innamorarsi di lei come ci si innamora di un ideale, di qualcosa di talmente puro che non può avere una piena corrispondenza nella realtà.
A Elena Ferrante, Jane Austen e Alice Munro abbiamo dedicato anche questo approfondimento con Roxana Robinson, collaboratrice del New Yorker.
A Giulia Zagrebelsky va un sentito ringraziamento da parte della redazione di MentiSommerse.it
Intervista a cura di Corrado Parlati