Kobane Calling on stage, per la regia di Nicola Zavagli, non lo chiamerei uno spettacolo teatrale. Manco un reading. Non una piece. Non un recital. È piuttosto, quello che mi sono trovata davanti lo scorso mercoledì 4 marzo, un esperimento. E cos’altro potrebbe essere la trasposizione live di un fumetto che racconta la resistenza del popolo curdo e l’imponderabilità di uno stato basato sulla parità di genere, la redistribuzione delle ricchezze, l’ecologia? Kobane Calling è l’esperimento di un esperimento. E riesce benissimo.
A tratti gioioso e scanzonato, a tratti commovente, ti costringe a prestare molta attenzione a quello che succede sopra e sotto il palco: cos’è questa sensazione di strisciante angoscia su per la mia schiena?, mi chiedo ad un certo punto e faccio fatica a non rispondere, saltando sulla poltrona: sono i talebani!, come fa Lorenzo Parrotto nei panni di Zerocalcare, il fumettista eroe di Rebibbia che è diventato negli anni un vero e proprio caso editoriale.
Michele Rech, in arte Zerocalcare, ha creato una vera e propria mitologia del quotidiano con quelli che chiama i suoi “disegnetti”, rappresentazione non solo di sé stesso e dei suoi cari, ma di tutto un universo di sensazioni e situazioni personificate – nella storia rimane l’amico armadillo, il mammut/Rebibbia e la voce della polemica, mio preferito a mani basse: George Pig, fratello della più famosa Peppa. Attraverso questa cosmogonia di imbranati, piccole codardie e cuori grandi, Zerocalcare racconta storie solo all’apparenza disimpegnate e scanzonate: con la furbizia di un social media manager di prim’ordine, è invece capace di catturare l’attenzione tanto da potersi permettere persino quelli che qua e là semina come “pipponi” istruttivi.
Capita che vai a teatro, allora, perché vuoi farti due risate e ti ritrovi ad imparare che tra Siria, Turchia, Iran e Iraq c’è un altro paese, che lotta, Rojava: per essere riconosciuto, per essere compreso, per il diritto dei suoi abitanti non solo di viverci, ma di vivere in generale. Scopri che esistono i curdi, e che forse pure tu esisti ancora grazie a loro, scudo umano contro l’avanzata dei talebani verso occidente.
Scopri che esiste Kobane, una città che è diventata un simbolo di resistenza, ora che della città, effettivamente, rimane poco. E Zerocalcare va lì, con la sua truppa di spaventati, “sgarrupati” e coatti fedelissimi, a portare un po’ di aiuti umanitari e, perché no, a rubare un po’ di umanità. Un po’ di storie. Le vite sono fatte per essere raccontate, e un modo per raccontare quelle che vale la pena conoscere si trova sempre.
Per la resistenza di Kobane, il modo è stato un trentenne disegnatore con una mamma chioccia (letteralmente, la mamma di Zerocalcare è la Lady Cocca di Rabin Hood, nel fumetto – on stage, Carlotta Mangione entra perfettamente nel personaggio, regalando momenti di altissima comicità). E forse solo un trentenne tanto innamorato di Rebibbia, delle proprie radici, può capire il dramma di vedersi portar via tutto, di vedere quelle radici strappate, sradicate, avvelenate, come racconta un ragazzo scappato da Kobane che guarda alla propria casa, dove ora vivono i talebani, nell’intensissima interpretazione di Alessandro Marmorini: “Dove sono i bombardamenti americani? Lo do io il permesso di distruggere la mia casa! Preferirei vivere in una tenda, sulle macerie della mia casa, che doverla vedere da qui, in mano ai talebani”.
Kobane Calling è un ritratto di meravigliosa umanità e di insperata dolcezza, una dolcezza ingenua e, veramente, sconfinata. È stato un fumetto capace di raccontare le storie di un popolo che si piega ma non si spezza, che rivendica una nuova idea di democrazia, di rispetto per la terra, di parità di genere, di vita. È diventato, grazie ad un cast di attori eccezionali, uno spettacolo capace di smuovere la lacrima e la coscienza. Un esperimento riuscito su un esperimento che si spera possa riuscire.
Un esperimento e un viaggio, quello che compie Zerocalcare con i suoi amici, pieno di ostilità e di pericoli ma affrontato col cuor leggero di chi si crede vigliacco in partenza, e invece non sa che quella leggerezza è una forma di coraggio. Probabilmente, la più umana.