L’edizione del Festival di Sanremo che si è conclusa sabato sera resterà negli annali, essendo stata forse la più imprevedibile, polemica, a tratti estenuante, densa, conformista e anticonformista allo stesso tempo, degli ultimi 20 anni. Dalla classifica sempre diversa, alle squalifiche dei cantanti, certe cose non si vedevano dai tempi delle torte in faccia a Baudo. Non siamo qui per recensire il festival, anche perché se dovessimo seguire la durata delle puntate, dovremmo aprire un blog a parte per farlo. In questo articolo ci concentreremo sui videoclip che gli artisti in gara hanno sfornato, giudicandoli e classficiandoli severamente, come piace a noi, che segretamente sognamo di battibeccare con Mario Luzzatto Fegiz in prima fila al Dopo Festival, su questioni di primaria importanza per la musica italiana come il twerk della Lamborghini o la salute mentale di Morgan. Ora, cominciamo con la classifica, seguendo le formule che la tradizione ci impone, e immaginando di leggere il tutto con la voce di Amadeus.
AL DECIMO POSTO, No Grazie, canta Junior Cally. Il controverso rapper ha aizzato tutti per i suoi testi apparentemente violenti, che in realtà erano semplicemente carichi di congiuntivi e quindi destinati ad una ristretta elite. Anche No Grazie è un testo originale che ovviamente ha pagato il dazio destinato ai rapper che calcano l’Ariston, visti sempre come presenza oscura e indecifrabile dalle mummie che affollano la platea. Il video è un low budget girabile in un paio d’ore, idea che non va oltre il “carina”. Molto brutto il fatto che il cantante resti praticamente al buio tutto il tempo a causa di una fotografia da sala d’attesa senza finestre in una giornata di pioggia.
AL NONO POSTO, Il confronto, canta Marco Masini. Premetto che la cazone non mi fa esaltare, anche se Masini fa parte della mia infanzia in modo prepotente (avevo 6 anni quando uscì Vaffanculo, che ve lo dico a fare…). Il videoclip è fatto bene, un bianco e nero che maschera eventuali imperfezioni di fotografia, prassi comune quando non hai i soldi per le luci buone. E infatti si gioca con controluce e buio, sapienti slow-motion, e un bambino che suona un piano che prende fuoco. Così, perché ci piace.
ALL’OTTAVO POSTO, Gigante, canta Piero Pelù. Torsi nudi, ascelle pelose, fumo e rallenty. Sembra disgustoso, invece il videoclip di Gigante è solo genuino. Piero dedica al nipote un testo che può tranquillamente abbracciare molti bambini, ragazzi, uomini e donne, alle prese con una vita spesso fumosa, incoraggiati a tirarsene fuori con le proprie forze.
AL SETTIMO POSTO, Tikibombom, canta Levante. Claudia è quel classico tipo di ragazza che te ne innamori ma non capisci perché, e quindi non la amerai mai del tutto perché quel sentimento ti sembrerà sempre incompleto. Questo è il fascino di un’artista che traspone nei suoi testi una complessità che counque vende molte copie, il terzo anello nella catena evolutiva catanese partita da Battiato e mantenuta in vita da Carmen Consoli. Peccato che il video di Tikibombom risulti un filino banale, nonostante riprenda la poetica del testo, dedicato ai discriminati, alle ultime ruote del carro, che però si prendono la loro rivincita. Lo fanno davanti ad una macchina parcheggiata che non si capisce se sia un product placement venuto malissimo o se semplicemente il regista non aveva trovato parcheggio. Peccato.
AL SESTO POSTO, Andromeda, canta Mahmo.. ehm.. Elodie. La virata sexy dell’ex amica di Maria è ormai completa. I tempi dei pezzi di Kekko dei Modà sono ormai un lontano ricordo, e già dalla thumb del videoclip si può avere un’idea di quanto artisticamente Elodie punti su una figura più sicura e accattivante. Lo è anche il pezzo, produzione di alto livello targata Dardust, che meritava un video all’altezza. E seppur sia banale nella sua forma, tecnicamente è un video fotografato molto molto bene, con luci che esaltano ciò che devono esaltare, ma non distraggono da un pezzo che rimane in testa già dopo mezzo primo ascolto.
AL QUINTO POSTO, Sincero, cantano Morgan e… dov’è finito?! Il titolo della cazone prende palesemente spunto dalla tempra morale del Castoldi, che con il suo colpo di teatro ha avuto, se non altro, il merito di ravvivare una serata molto lunga e noiosa. Il pezzo è la classica canzone che cantata dal vivo rende meno di zero, ma ascoltata nella versione da studio ha ben più di un suo perché. Le sonorità anni ’80, ad esempio, si perdevano del tutto con l’orchestra, così come il beat da indie di una volta. Il povero Bugo ha scritto un testo che non smentisce il suo stile, e il videoclip è genuinamente strambo come lui. Bello l’accenno di sorriso nella parte dello special, in cui lui e Morgan cantano faccia a faccia. Buona la fotografia secca, ottimo mix tra luci, ombre e colori.
AL QUARTO POSTO, Eden, canta Rancore. Anche in questo caso il pezzo è di alto livello autorale e musicale (anche qui marchio Dardust). Il video sperimenta quanto basta per non cadere nella trappola del vorrei-ma-non-posso, nonostante le grafiche 3D rasentino il livello Winx. La canzone e il video si rendono giustizia a vicenda, senza farsi prendere troppo sul serio ma rimanendo credibili.
AL TERZO POSTO, Ringo Starr, cantano i Pinguini Tattici Nucleari. Se mi citi Ritorno al Futuro vinci facile. Se lo fai pure bene, ti meriti la mia stima. I Pinguini sono stati la sorpresa di questo Sanremo (per chi non aveva idea di chi fossero), e hanno mantenuto alto il nome dell’indie, almeno fino a quando non firmeranno per l’etichetta di Paradiso passando anche loro al lato oscuro. Intanto si sono sparati le loro esibizioni genuine, riprodotte simpaticamente in un videoclip dalle tinte anni 80, molto energico e coerente con il loro stile sopra le righe ma non molto.
AL SECONDO POSTO, Fai rumore, Diodato. A proposito di coerenza, Diodato sforna un videoclip concettuale, semplice e fotograficamente accattivante nella sua semplicità, appunto. Una canzone molto delicata ma potente richiedeva un video che non stonasse con questi aspetti, che accmopagnasse senza distrarre, e direi che ci siamo. Ottima fotografia per un video costato sicuramente poco, semplice, efficace, all’altezza della canzone vincitrice di Sanremo 2020.
VINCE, con Viceversa, Francesco Gabbani! Per me potete pure semplicemente guardare il video e la chiudiamo qua. Se invece vi interessa il giudizio, allora vi dico che Gabbani è un gran personaggione. Il cugino da cazzeggio che tutti vorremmo. Le sue performance hanno sempre lasciato il segno sul palco dell’Ariston (e ci è andato solo 3 volte!). Quest’anno niente scimmia, ma i suoi movimenti sbracciati e i suoi sorrisi a 66 denti hanno accompagnato una canzone molto variegata, ben costruita musicalmente, con un testo che si appiccica facile. Tanto che nel videoclip, il buon Francesco si lascia andare a quello che si potrebbe definire un playback muto, cantando con gli occhi, con le facce, con i gesti. Il tutto con risultati contrastanti, che all’inizio strappano forse più di un sorriso, ma che verso la fine ti avvicinano al tormento di un artista che comunque è arrivato al successo dopo averne passate tante.
E tutti gli altri? Non prevenuti. Riki è uscito con un videoclip formato tessera costato circa 2 euro, Giordana Angi ha girato un video tutto a rallenty più noioso della sua canzone (e ce ne vuole…), Enrico Nigiotti (vedi Giordana Angi), Michele Zarrillo non fa videoclip perché vive ancora nel 1991, Rita Pavone avrebbe potuto spaccare come ha fatto sul palco e invece l’hanno messa su un divano come una Dua Lipa qualunque, Paolo Jannacci se l’è fatto fare da un cugino che colleziona reflex brutte per passione, Alberto Urso (vedi Enrico Nigiotti), Anastasio non coglie l’occasione per fare un video all’altezza della canzone nonostante dimostri un minimo di doti recitative, Le Vibrazioni (vedi Alberto Urso), Raphael “elton” Gualazzi è sempre meglio sul palco che nei videoclip, Elettra Lamborghini faceva tenerezza in live e la fa anche nel suo video, Tosca non ha fatto un videoclip ma la delicatezza della sua canzone resta pura immaginazione e va bene così.
Il grande assente è Achille Lauro, che non ha (ancora?) fatto uscire il videoclip di Me ne frego. Forse, però, è giusto così. In fondo tutto questo festival di Sanremo è stato il suo videoclip. L’appuntamento e per l’anno prossimo, perché alla fine Sanremo è sempre Sanremo.