Come ti chiami? Ci sono nomi semplici e diffusi come Jack, oppure aristocratici e magniloquenti come Algernon, e poi ci sono nomi che dicono qualcosa di chi sei, delle tue qualità, dei tuoi valori, nomi come Ernest, che a sentirlo fa subito pensare a earnest, e quindi a una persona seria e coscienziosa. E chi non vorrebbe sposare una persona seria e coscienziosa? La commedia in tre atti scritta da Oscar Wilde nel 1895 e messa in scena per la prima volta a Londra nel febbraio dello stesso anno, con il titolo The Importance of Being Earnest, sul quale le traduzioni si sono a lungo messe alla prova con risultati mai del tutto convincenti come L’Importanza di Essere Franco, Onesto, Probo, Giusto (e per questa tentare di ovviare a questa difficoltà il Teatro Elfo Puccini ha scelto di barrare Ernesto) si gioca proprio su questa associazione tra nome e attributo. Associazione tanto più interessante e pericolosa quanto più si strutturano, a partire da essa, relazioni e colpi di scena.

UNA TRAMA INTRICATA

Due coppie e due vite che si sdoppiano e si sovrappongono costituiscono il nucleo centrale della commedia: Jack Worthing è l’assennato tutore di Cecily Cardew in campagna ma, con la scusa di dover risolvere i problemi causati dal tanto scapestrato quanto fittizio fratello Ernest, si reca con questo nome a Londra quando vuole. Nelle sue visite conosce Gwendolen Fairfax cugina dell’amico Algernon “Algy” Moncrieff, il quale, venuto a sapere del trucco di Jack, si allontana dalla città con la scusa di far visita al tanto cagionevole quanto fittizio amico Mr Bunbury e si presenta poi da Cecily proprio come Ernest Worthing.

Sia per Jack che per Algy l’amore e il fidanzamento con Gwendolen e con Cecily sono fondati sul desiderio delle due ragazze, ancora prima di conoscerli, di sposare un uomo chiamato Ernest, in virtù dell’onestà e della sincerità che il nome stesso proclama. Ma quando le due donne si incontrano e temono di essere promesse spose dello stesso uomo, Jack e Algy sono costretti a confessare la propria identità, dichiarandosi però entrambi pronti a compiere un atto che per le amate risulta essere di estremo coraggio: farsi battezzare per amore col nome di Ernest dal vecchio reverendo Chasuble.

Ma sarebbe troppo facile se il battesimo fosse sufficiente per il matrimonio: manca ancora il consenso di Lady Augusta Bracknell, zia di Algy e madre di Gwendolen. E se la dote di Cecily convince Zia Augusta ad accordarle il matrimonio con Algy, quello che vuole da Jack sono dei parenti da poter conoscere, ma che egli non le può presentare perché, orfano, ha solo il borsone in cui da piccolo era stato abbandonato nel guardaroba di Victoria Station.

Come ogni commedia che si rispetti, si deve però arrivare al lieto fine e il superamento dell’ostilità di Lady Bracknell è permesso da Miss Prism, istitutrice di Cecily che un tempo lavorava proprio per Augusta. Si scopre allora che 28 anni prima Miss Prism perse il neonato nipote di Lady Bracknell, riponendo per sbaglio il suo romanzo in tre volumi nel passeggino e il bambino nel borsone poi dimenticato a Victoria Station. Il riconoscimento del borsone (secondo un meccanismo trasmesso dal IV sec a.C. in poi negli schemi della commedia) rivela che Jack Worthing altri non è che il figlio della sorella di Lady Bracknell e quindi fratello di Algy, e, aggiunge Zia Augusta, in quanto primogenito, gli era stato dato il nome del padre che, a perfetta chiusura, è proprio Ernest, anche s enessuno se lo ricorda e bisogna consultare gli annuari dell’esercito per scoprirlo.

MESSA IN SCENA: TRA RIVISITAZIONE E MORALE

L'importanza di chiamarsi Ernesto; teatro Elfo PucciniLa produzione del Teatro Elfo Puccini di Milano, dove lo spettacolo è in scena fino al 31 dicembre per la regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, prende il testo di Wilde e lo trasporta negli ambienti inglesi degli anni Sessanta del XX secolo tra poltrone di design e abiti sgargianti e ad ogni atto issa per la scenografia (curata anch’essa, insieme ai costumi, da Bruni-Frongia) un pannello diverso sul quale campeggia, più o meno evidente, il volto di Oscar Wilde, riferimento persistente per lo spettatore meneghino.

Quest’ultimo deve tenere a mente che nel 1895, mentre era in scena nel West End londinese questa commedia frivola per gente seria, come la definisce Wilde, si tenevano parallelamente i processi contro l’autore, ricostruiti per altro nello spettacolo Atti Osceni di Moisés Kaufman in scena all’Elfo Puccini dal 9 al 26 gennaio. Oscar Wilde, vittima della società tardo vittoriana che lo condannò a due anni di lavori forzati, sfrutta però i suoi testi per denunciare con pungente ironia le ipocrisie e le contraddizioni del mondo in cui si trova a vivere.

La sua immagine in scena (anche durante i saluti con la scritta God Save Oscar) serve quindi a non rilassarsi sulla classica trama a lieto fine inserita armoniosamente nella tradizione della commedia ma a cogliere la mentalità a corto raggio dei personaggi, su cui calca la mano anche la regia, enfatizzando in modo caricaturale movimenti e voci soprattutto delle figure femminili, mentre sono ritratte nel loro desiderio di sposare un E(a)rnest e vengono prese di mira proprio per le vedute ristrette di cui si fanno portatrici, senza camuffarle ma rivendicandole orgogliosamente come eredità materna, in una riproposizione continua di valori e difetti secondo un ciclo che attesta che tutte le donne diventano come le loro madri, e questa è la loro tragedia; gli uomini mai, e questa è la loro.

GOD SAVE OSCAR

E se le due giovani, per il loro futuro, desiderano dal proprio marito le virtù tanto decantate dal nome, il fidanzamento invece affonda le sue radici in un inganno. È proprio sullo sfalsamento tra verità e menzogna, tra realtà e finzione, che la penna di Wilde si fa più acuta e può muoversi sul doppio livello della scena e della vita. I nomi falsi, gli amici e i fratelli inventati, i battesimi riparatori diventano allora la trasposizione sulla scena delle incoerenze della società tardo vittoriana e la ricerca della earnestness tanto desiderata od ostentata si contamina con l’ipocrisia di coloro nei quali quella stessa qualità viene individuata, in un intreccio così denso che non si riescono più a distinguere i due livelli. E a chi vuole la pura e semplice verità, si può solo rispondere che la verità non è mai pura e quasi mai semplice, neanche nel nome, che nel titolo forse viene barrato anche per questo. God Save Oscar per avercelo ricordato.

Le produzioni del Teatro Elfo Puccini di Milano sono ormai care a Menti Sommerse, ve ne abbiamo già parlato a proposito de “I figli della frettolosa” nell’articolo “I figli della frettolosa: dal punto di vista di chi non vede”: se ve lo siete persi correte a cliccare qui!

 

L’importanza di chiamarsi Ernesto a teatro

di Oscar Wilde

regia, scene e costumi di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia

luci Nando Frigerio, suono Giuseppe Marzoli

con Riccardo Buffonini, Giuseppe Lanino, Elena Russo Arman, Elena Ghiaurov, Luca Toracca, Cinzia Spanò, Camilla Violante Scheller, Nicola Stravalaci

assistente alla regia Giovanna Guida

assistente ai costumi Saverio Assumma

produzione Teatro dell’Elfo con il sostegno di Fondazione Cariplo

Spettacolo sostenuto nell’ambito di NEXT 2017/18

Per un assaggio dello spettacolo correte a dare un’occhiata al canale YouTube del Teatro Elfo Puccini, clicclando qui. 

 

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