“Le nostre paure sono molto più numerose dei pericoli che corriamo. Soffriamo molto di più per la nostra immaginazione che per la realtà” (Lucio Anneo Seneca)
Esiste un argentino che vive a Torino, ma non è né un calciatore, né il proprietario di un ristorante argentino. In effetti dare un etichetta ad uno come lui diventa difficile, forse anche riduttivo. Leandro Gago è uno scrittore, compositore, suonatore di vari strumenti a corda: è un uomo che abbraccia l’arte in molte delle sue forme per dar vita a sensazioni del tutto personali. Avvicinarsi al suo mondo non è una cosa così semplice: la sensibilità di Leandro fa sì che le sue emozioni non siano così accessibili a chiunque. Un ghiaccio bollente, un fuoco freddo. Ed è da questo turbinio di stati d’animo che nascono i suoi componimenti e “Fobos”, il suo primo libro.
“Come amante della poesia detesto dover spiegare il perché una poesia. Il perché è una parola, perché un titolo, soprattutto penso che si perde tantissimo, quando si prova a spiegare. Concretamente mi piaceva il titolo Fobos: parla di paure, di questo satellite (phobos, è un satellite che ruota attorno a Marte). Quello che ho provato a fare è stato creare un ambiente un po’ spaziale, un’atmosfera un po’ oscura, anche un po’ pesante e deforme. Tutta questa poesia, in spagnolo, cerca di trasmettere uno stato di pesantezza, poter esprimere un po’ l’emozione che ho vissuto in quel momento. Non mi piace dire niente tramite un discorso diretto, mi piace dire le cose tramite un filtro, tramite un paesaggio. Fobos prova a dire questo: creare un paesaggio. A volte crea una sensazione di disagio, a volte un po’ strano”.
Qual è l’emozione che vorresti trasmettere al lettore?
“Non ci ho mai pensato. Ho scritto Fobos per esprimere qualche emozione, per raccontare un momento particolare che ho vissuto, per raccontare anche un viaggio… È stato più un dialogo con me stesso. A volte mi crea disagio pensare che altre persone lo possono leggere, mi fa strano. Non so cosa aspetto, spero che il lettore trovi il senso che ho voluto dare. Mi piace che ognuno trovi la sua interpretazione su quello che ho scritto, ma anche che riesca a trovare le piccole sfumature che ho dato. Quindi che non rimanga un discorso con me stesso, ma che ci sia anche un po’ di partecipazione tra scrittore e lettore”.
Quale può essere l’identikit del tuo lettore? Sognatore, illuso, speranzoso, realista, una persona con degli obiettivi?
“Altra domanda a cui non ho mai pensato. Penso che debba essere soprattutto un amante della poesia, questo libro è pensato per una persona che ama la poesia. È molto difficile parlare della poesia che uno scrive, io non sono mai sicuro che siano scritto bene. A me piace creare come dei labirinti, come iniziare a leggere senza sapere che cosa si trova. Non è pensata per nessuna persona in particolare, ma più a persone che piaccia fare cose come i puzzle: leggere la poesia per provare a risolvere un enigma”.
Un po’ come guardare un quadro: uno lo guarda e ci vede quello che vuole…
“Infatti la mia poesia la vedo molto come un quadro. MI piace creare immagini soprattutto, e penso che questa è una cosa che si sente”.
Parliamo un po’ di te: hai viaggiato molto tra Canada, Spagna e adesso Torino…
“Ho viaggiato tanto soprattutto per il disagio. Ho provato il desiderio di cambiare tutto e cambiare vita. Sono stati momenti di grande crisi, dovevo fare qualcosa. Viaggiare è una delle cose che volevo fare, una persona che vuole comunicare qualcosa penso abbia bisogno di farlo. Il movimento, lasciare la sua zona di comfort, cambiare lingua.. è una sensazione che dovevo provare. Quando ho deciso di partire avevo paura, ma adesso no. Fu difficile, essere qui (Torino) sembrava come lottare contro dei giganti. Fu duro, ma mi ha dato felicità”.
C’è differenza tra sentirsi straniero in Italia e negli altri paesi in cui hai vissuto?
“Probabilmente sì, tanta, ma in Italia non mi sono mai sentito straniero. Non tutti possono dire lo stesso, ma per me è stato diverso. Pensavo di trovarmi un mondo un po’ più ostile con gli stranieri”.
Che cosa significa per te essere a casa?
“Un’altra domanda che non ho risposta. Allora io soprattutto a casa non mi sentivo a casa, quando ho deciso di cambiare, girare un po’ il mondo, devo dire che a casa non mi sentivo a casa. Uno dei motivi per il quale sono andato via. In Italia ho trovato della gente che mi ha fatto sentire a casa, una città che mi piace molto, però non mi sento casa. A volte penso che non ho casa. Forse la mia casa è tutto il mondo, per questo mi piace girare. L’Argentina è come se fosse una una stanza dentro una casa più grande. Sembra uno stereotipo ciò che sto dicendo, niente profondo, però ho veramente difficoltà a trovare una casa in cui identificarmi”.
Sei un compositore, un cantante, uno scrittore… Si può dire quale sia la tua passione più grande?
“Non posso scegliere. Sono due mestieri che possono essere collegate ma per me sono cose completamente diverse. Per fare canzoni mi serve un approccio totalmente diverso dallo scrivere poesia. È uno stato d’animo totalmente diverso, per me è molto importante il testo quando scrivo una canzone ma ho un approccio diverso dalla poesia, uno stile differente. In una canzone ci si può permettere di giocare un po’ di più, di essere più “imperfetta”. Scrivere una canzone poi è più complesso, perché devi anche pensare alla musica. Il mood e il modo di lavorare è uno l’opposto dell’altro per me. Ad esempio non posso scrivere poesia e canzone allo stesso tempo. Per me la canzone è più come se fosse una carezza, mentre invece la poesia è come se fosse più un urlo a volte, più disperato. Non riesco a unire entrambi i mondi, sono come due mestieri veramente diversi per me. Mi piacciono entrambi, non so se riesco a scegliere. Ci sono dei momenti in cui preferisco la poesia, soprattutto quel momento nel quale mi piace ascoltare musica, e ci sono dei momenti in cui mi piace scrivere musica. Una cosa fantastica è che io non posso ascoltare musica, mentre scrivo la musica. Sembra strano dirlo ma è così. Però per me è importante perché mi piace stare con la musica in sottofondo, sempre. Quando faccio il musicista e devo scrivere una canzone, sto settimane in quale non ascolto musica in camera mia, tranne la mia. Che cosa noiosissima ascoltare sempre la stessa musica vero?”
Naah.
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