In questo piccolo mondo che si regge sulla normalità gli elementi estranei devono essere eliminati, uno dopo l’altro, in silenzio. Le presenze anomale vanno scartate.
Ecco perché devo guarire. Altrimenti sarò allontanata dalla grande tribù delle persone normali.
Finalmente capisco perché i miei genitori si disperavano e continuano a disperarsi per me.
Murata Sayaka autrice de La ragazza del Convenience Store (Edizioni E/O) ha scritto un romanzo di non-formazione disturbante.
Con tale definizione intendo un’opera in cui la protagonista trova il suo posto nel mondo in maniera non convenzionale, rivoluzionando le conformità, ponendoci nella seria condizione di riflettere se le nostre azioni sono frutto del libero arbitrio oppure imposte dalla società.
Keiko è da sempre considerata una ragazza strana: è priva di ambizioni, è disinteressata al sesso, alla vita di coppia, non vuole figli.
Per la società è una donna irrealizzata sia sul piano professionale (lavora part-time da sedici anni nello stesso konbini, un supermercato giapponese sempre aperto) che su quello familiare.
Il suo stile di vita noncurante le costa la riprovazione di parenti, colleghi e amici. Ma di questo più che soffrirne cerca di comprenderne il perché; dunque si limita a indossare piccole maschera, non per la vergogna piuttosto per non recare disagio ai suoi interlocutori, considerati dall’intera società persone normali.
L’autrice ci accompagna nella profondità dell’anima di Keiko, l’unica fra tutti i personaggi a non essere depersonalizzata e incastonata dentro costrutti preesistenti e immutabili.
È un romanzo profondamente giapponese, sia per la freschezza e l’intelligenza vivida della scrittura che ricordano la prima Banana Yoshimoto, sia per la tematica solo apparentemente occidentale: la donna giapponese cela un’irrealizzata emancipazione.
Ma la grandezza del romanzo risiede proprio nella sua capacità di essere sì particolare (profondamente giapponese), nondimeno generale: la rappresentazione di giovani precari costretti ai margini della società, sempre giudicati e dal futuro incerto.
La pressione sociale più che ostacolare sembra privarli del loro posto nel mondo.
I concetti di normalità e alienazione sono il perno portante dell’intera narrazione.
Fondamentale è comprendere cosa e chi definisce un’azione, un pensiero, un soggetto, normale.
Perché Keiko è considerata malata (lei stessa dice di voler guarire) in quanto non desiderosa di un legame di coppia?
Le aspettative sociali ammazzano la nostra personalità, le nostre inclinazioni, preferenze, gusti, ci ingabbiano illudendoci di possedere le chiavi della nostra prigione.
L’individualismo è considerato un’anomalia, poiché non è una questione caratteriale, ma di percezione: e non puoi non essere percepito come un ingranaggio funzionale, una rotella di un sistema gigante ed erroneamente considerato perfetto e unico.
La possibilità di non essere capiti non viene neanche più contemplata, si rinuncia a priori alla propria vera personalità in favore di altre già preconfezionate.
Murata Sayaka ha saputo descrivere con acutezza la nostra società, i nostri limiti e le nostre paure. Avvalendosi di una penna dolce, ironica, grottesca, ma soprattutto disincantata.
E la domanda sorge spontanea dopo aver annusato le ultime pagine di questo piccolo gioiello scovato per caso: vivo assecondando me stessa o gli altri?