Alla fin fine, noi cinici siamo solo romantici un po’ incazzati. A questo proposito, Bukowski non lo leggo spesso. Charles Bukowski, con le sue oscenità gratuite, la sua cruda sensibilità ostentata e poi nascosta, il suo tragico senso della nullità di tutto il senso, mi mette a disagio. Lo trovo esagerato in ogni sua manifestazione, nella vita come nella scrittura, soprattutto nella scrittura.

Poi però mi vengono in mente le parole di Anais Nin, quando dice che tutto quello che viene creato è un eccesso di qualcos’altro. La scrittura è forse un eccesso di sé, allora. E allora forse ha ragione Bukowski, ha ragione pure quando scrive una poesia tra le più esagerate che abbia mai letto e che recita così:

Consiglio amichevole a molti giovani uomini

Vai in Tibet.
Cavalca un cammello.
Leggi la bibbia.
Tingi le tue scarpe di blu.
Fatti crescere la barba.
Fai il giro del mondo in una canoa di carta.
Abbonati a The Saturday Evening Post.
Mastica soltanto dalla parte sinistra della bocca.
Sposa una donna con una gamba sola e raditi con un rasoio a lama.
E incidi il tuo nome sul suo braccio.

Lavati i denti con la benzina.
Dormi tutto il giorno e arrampicati sugli alberi la notte.
Fatti monaco e bevi pallettoni e birra.
Tieni la testa sott’acqua e suona il violino.
Fai la danza del ventre davanti a candele rosa.
Ammazza il tuo cane.
Candidati a sindaco.
Vivi in una botte.
Rompiti la testa con un’accetta.
Pianta tulipani nella pioggia.

Ma non scrivere poesie.

Interrogato sull’argomento in un’intervista, Bukowski dichiarò: “Immagino che quello che intendessi dire era che è meglio non far niente che far male qualcosa. Ma la questione reale è che ad oggi gli scrittori mediocri sono pieni di autostima, mentre quelli buoni dubitano di sé stessi. E quindi i cattivi scrittori continuano a scrivere le loro merdate e vanno in giro a leggerle ad un pubblico che per lo più è composto da altri scrittori mediocri che aspettano il proprio turno di parlare. L’atmosfera a questi reading è assassina, senz’aria, senza vita. Quando la mediocrità si raduna in un unico luogo per farsi le auto-congratulazioni, non porta a nient’altro che ad un nuovo, più profondo fallimento. Le folle sono i luoghi in cui si rifugiano i deboli; la creatività vera è un atto solitario.”

Facendo eco alle parole di Borges, secondo il quale la scrittura è una piacevole forma di pigrizia, Bukowski va avanti a sostenere che quest’atto solitario debba anche essere un momento – per una volta! – felice, e senza alcuno sforzo.

“Scrivere non è un lavoro, per niente… E quando la gente mi dice quando sia doloroso scrivere non riesco a capire cosa intendano, perché per me è come rotolare giù da un pendio, capisci? È liberatorio. È divertente. È un regalo, e vieni pagato per fare esattamente quello che vuoi fare! Io scrivo perché è quello che mi viene fuori – ed essere pagato, addirittura? Una volta dissi ad un amico che è come fare l’amore con una donna bellissima e, dopo, questa si alza, va alla borsa e ti allunga una mazzetta. Grazie, la prendo.”

E, effettivamente, poche routine lavorative possono sembrare rilassate come quella a cui fa riferimento Bukowski per tutta la sua vita da scrittore:

“Non scrivo mai di mattina. Non mi alzo proprio, la mattina. Vedi, io di notte mi ubriaco. Cerco di restare a letto fino alle dodici, fino a mezzogiorno. Se per un qualche motivo devo alzarmi prima, poi sto male tutto il giorno. Guardo l’orologio, se le lancette stanno vicino alle dodici mi alzo e comincia la mia giornata. Mangio qualcosa e poi vado direttamente alle corse – scommetto sui cavalli, poi torno a casa e Linda mi cucina qualcosa, parliamo un po’, bevo un paio di drink e poi mi ritiro di sopra a scrivere. Di solito comincio alle nove e mezza e vado avanti fino all’una e mezza, le due di notte. E quest’è.”

Bukowski, con tutto il suo cinismo, credeva forse alla più romantiche delle idee: che ciò a cui sei destinato ti troverà, e il trovarsi sarà dolce, e facile, come un amore che il destino ha già posto sulla tua strada e che ripaga da tutte quelle volte in cui amarsi è stato doloroso, e difficile, e innaturale.

Marzia Figliolia

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