Stelle è il suo nuovo album di inediti, a cui si aggiungono “Eppure soffia” e “Spunta la Luna dal monte”, due dei maggiori successi di papà Pierangelo. Tra canzoni, incontri e l’eredità culturale del padre Pierangelo, Alberto Bertoli si racconta in un’intervista esclusiva.
Partiamo da una domanda introspettiva: chi è Alberto Bertoli e come si è avvicinato al mondo della musica?
Sono un cantautore e interprete che ha mosso i suoi primi passi nella musica partendo da quello che aveva sentito in casa da suo padre.
Ho una vita complicata ed impegnata, che mi porta a svolgere più attività, tra cui anche quella di logopedista e organizzatore di eventi. Sono padre di due bellissimi bimbi e ho una meravigliosa compagna.
In “Stelle” sono presenti anche due brani iconici come “Eppure soffia” e “Spunta la Luna dal monte”, con i Tazenda, riarrangiate in chiave rock. Che esperienza è stata, per Lei, dare una nuova veste a queste due canzoni?
Le canzoni di mio padre hanno sempre fatto parte del mio repertorio, perché le amo e le sento mie.
Ho voluto affrontare questi due grandissimi brani perché, se è una sfida interpretare qualche suo brano, quando si affrontano i grandi successi ci si mette molto più in gioco con il pubblico affezionato. Dai riscontri, emerge che sono molto piaciute e questo mi rende oltremodo felice.
Ho avuto di recente una brutta discussione con un vecchio discografico, che ha finito col darmi dell’imbecille perché secondo lui non dovrei più fare niente che mi metta vicino alla figura di mio padre.
Oltre al fastidio delle offese, anche se veramente di poco conto vista la caratura della persona, quello che è molto chiaro in me e che questa discussione ha chiarito maggiormente, è che io alla musica e a mio padre voglio davvero bene.
Se qualcuno non è d’accordo e pensa che io stia facendo solo un percorso inutile o deplorevole, o qualche altra stronzata, può benissimo ascoltare qualcun altro o lavorare con qualcun altro. Sento di avere il dovere di vivere la mia vita in base a chi e ciò che amo non a quello che la gente pensa sia meglio per me, e “io percorro questa via sarà dura ma è la mia e che sia quel che sia sei con me” (autocit. “E così sei con me”)
“Stelle” è un disco che contiene canzoni scritte nell’arco degli ultimi vent’anni. È la fine di un percorso, che coincide con un nuovo inizio, o la risposta alle domande sorte in questi anni?
Non credo esista davvero la fine di un percorso, credo che le cose e gli eventi siano sempre in divenire, per questo non è possibile stare seduti a riposare.
Queste canzoni sono stelle, cioè meraviglie luminose che ho incontrato nel cammino e che ho fermato così con le mie note, ma fanno parte di una sensibilità che vale per ora, domani non so cosa accadrà ed è bello aspettare un nuovo giorno pieni di curiosità.
Dentro questo disco ci sono tutti i miei affetti, qualche mia paura e qualche difetto, poi c’è il rock che è la mia vita.
“E l’acqua si riempie di schiuma, il cielo di fumi / La chimica lebbra distrugge la vita nei fiumi / Uccelli che volano a stento, malati di morte / Il freddo interesse alla vita ha sbarrato le porte“. Sono versi scritti nel 1976, ma potrebbero essere stati scritti ieri, vista la situazione in cui versa il mondo. Quanto è importante il ruolo della musica, con la sua immediatezza e la sua sincerità, nel trattare argomenti di interesse sociale e politico? E, soprattutto, c’è ancora quel filo di speranza per un futuro migliore?
Mio padre era un visionario, un genio per molti versi, con una mente brillante. “Eppure soffia”, però, non nasce da questa qualità, ma dal piombo della fabbrica di fianco a casa sua che rendeva i vetri della camera verdi.
Voglio dire che il mondo ha questo tipo di problemi da un po’ ed è chiaro che oggi, dove la comunicazione è globale e dove la possibilità informativa è gigantesca rispetto ad anni fa, il problema ci sembra più urgente. Era urgente anche prima.
Sicuramente la musica è un modo per sensibilizzare le persone verso una tematica, perché è una lingua universale compresa più o meno da tutti.
Io non stento a dire di essere un’anima positiva, che se guarda il passato ed il nostro futuro non vede che le cose vanno peggiorando affatto. Abbiamo più mezzi e più possibilità per attivarci e credo che la gente in qualche modo ce la farà.
Il futuro sarà migliore, ne sono certo io, ne è certa Barbara che ha deciso di fare due figli con me, non certo per consegnarli nelle mani di un futuro gramo dove la prospettiva è solo distruzione e morte. Credo che migliorerà e sarà un futuro migliore per tutti.
Il filo conduttore di “Stelle” è l’interpretazione del mondo, partendo dal proprio animo e dal proprio punto di vista. In un mondo dove il confine tra la relazione e l’isolamento è labile e le relazioni sempre più tendenti al virtuale, quanto è importante stare bene innanzitutto con sé stessi?
Lo dicevo prima, stare bene con sé stessi e col proprio percorso è fondamentale. Bisogna avere la forza e il coraggio di scegliere la propria via senza che le critiche, seppur valide, degli altri ci scoraggino e ci ricaccino dentro ad un mondo che non ci appartiene.
Non c’è niente di più triste e di più povero di una persona che dalla vita ha ottenuto solo i soldi. La vita ha dignità di essere per quello che può generare per quello che può inventare, per quello che può portare verso l’amore per essa e per gli altri.
L’isolamento e la vita virtuale ci portano spesso verso dei baratri tra noi stessi e l’anaffettività, la mancanza di contatto e di scambio emotivo e la tensione a rincorrere modelli che non sono nostri.
Per questo è molto importante avere chiaro cosa si vuole e condividerlo con persone in carne ed ossa che amiamo. Dopodiché il mondo virtuale va benissimo ed è una risorsa inestimabile.
In occasione del “Premio Pierangelo Bertoli”, ha condiviso il palco anche con Luciano Ligabue, che ha avuto modo di conoscere ben prima dell’inizio della sua carriera. Che ricordi ha di quel periodo? C’è un aneddoto o un momento in particolare che vuole raccontare?
Cantare con Luciano è stato per me un coronamento artistico unico. Mi tremavano le mani su quel palco e provavo un senso di gratitudine verso di lui, verso mio padre e verso la musica, che non so descrivere.
Il palco del Premio Pierangelo Bertoli, che parlava ovviamente di lui, con l’artista che è stato ed è oggi uno dei miei idoli, cantando una canzone scritta da lui per mio padre. Qualcosa di più bello fatico ad immaginarmelo.
Ho conosciuto Luciano quando avevo 8 anni. Ho molti ricordi, ma forse quello che mi fa sorridere di più è quando “litigarono” sul testo di “Non è tempo per noi”, perché mio padre insisteva nel volere correggere il testo con “…che siamo spine nei rosai”, e Luciano tenne duro dicendo che non era quello che voleva scrivere.
Proprio per il discorso di prima, oggi posso dire che Luciano ha fatto decisamente bene rimanendo sulla sua strada, ma ripensandoci è incredibile di che forza d’animo parliamo: lui era un artista nuovo, sconosciuto, e stava discutendo con l’affermato cantautore, famoso paroliere Pierangelo Bertoli.
Nonostante questo ha scelto la sua strada e ha avuto ragione.
In conclusione, qual è il più grande insegnamento che Alberto Bertoli ha ricevuto da Suo padre?
Mi fanno ogni volta questa domanda e ogni volta rispondo con la stessa cosa: l’indipendenza intellettuale ed emotiva da qualsivoglia idolo, professore, chiesa, religione. Questo è davvero un grande insegnamento ed eredità.
Per tutte le informazioni riguardanti il tour che vedrà protagonista Alberto Bertoli, potete consultare il suo sito ufficiale (a questo link) o la sua pagina Facebook (qui).
Ad Alberto Bertoli va un sentito ringraziamento da parte della redazione di MentiSommerse.it
Intervista a cura di Corrado Parlati
Foto di FotozoomModena