Era il 1995: Kurt Cobain era morto, i Kyuss si erano sciolti ed i Pearl Jam non si sentivano tanto bene (Woody ci perdonerà). Il Grunge aveva già vissuto il suo breve ed intenso apogeo, che l’avrebbe reso immortale. L’hair metal e la new wave con i suoi sintetizzatori spazzati via da un tornado di camicie a quadri e chitarre non sempre accordate ma potenti. Di lì a poco anche i Soundgarden si sarebbero sciolti, l’aberrazione del Nu Metal avrebbe preso il controllo della scena rock, Layne Staley si sarebbe incamminato verso un tunnel senza ritorno.
Ma nel 1995 il rock aveva ancora qualcosa da dire: ed era una voce così forte che anche la nascente Mtv Italia dovette ascoltare. L’edonismo degli anni ’80 era finito, le angosce esistenziali degli adolescenti non avevano più le vie di fuga del dualismo tra paninari e punk in cui rifugiarsi. In quell’anno venne fuori un disco che le raccolse tutte, in ogni forma possibile, sistemandole in un meraviglioso caleidoscopio. Il viaggio di un giovanissimo partendo dall’alba al tramonto prima (Dawn to Dusk) passando dal crepuscolo alla notte stellata poi (Twilight to Starlight). Attraverso l’insicurezza che si prova in quell’età, ed alle possibilità di trovare comunque la propria strada.
Una via fatta di dubbi, paure e l’ansia che ciascuno di noi, almeno una volta nella vita, ha provato sulla propria pelle. Sentirsi rifiutati da tutto il mondo, e vomitargli contro rabbia o solitudine. Questa è la genesi di Mellon Collie and the Infinite Sadness, capolavoro degli Smashing Pumpkins. Un disco che Wikipedia descrive come “un compendio di 40 anni di rock, evidente anche nei suoi acclamati singoli, partendo dal pop di 1979, all’orchestrale Tonight, Tonight, il violento grunge di Bullet with Butterfly Wings e il martellante riff di sabbathiana memoria di Zero”.
Album doppio, 28 canzoni: sarà lo stesso Billy Corgan a dire che “tra Bullet with Butterfly Wings (ascolta qui) e 1979 (ascolta qui) avete gli estremi di Mellon Collie and the Infinite Sadness. Avete letteralmente ascoltato la fine delle cose rock e l’inizio della cose nuove“. Perché c’è un prima e un dopo questo disco, per gli Smashing e per tutto il Grunge. Eccessive, teatrali, capaci di alternarsi tra atmosfere intime e sinfoniche e altre aggressive e nichilistiche. Ci sono tracce di industrial-metal e prog; c’è del pop scarno e mai banale, del puro e semplice rock, acustico o metallico. Un muro di chitarre, di parole, di suoni, apparentemente privi di una coerenza.
Mellon Collie non è un disco che merita troppe parole. È un’esperienza di vita, è un percorso che hanno fatto tutti, almeno una volta, anche se magari oggi non lo ricordano. Al primo ascolto appare caotico, ma c’è un inizio ed una fine, come ha detto Corgan. C’è un viaggio che termina in una notte stellata e “con i fari puntati all’alba, eravamo sicuri che non avremmo mai visto la fine di tutto“. Lui nel 1979 aveva 12 anni, e non era più un bambino. Raccontare il disagio giovanile senza fare retorica è molto difficile: Mellon Collie riesce in un compito ingrato per chiunque.