Quello del radiocronista è uno dei modi più intensi e delicati, e allo stesso tempo emozionanti, di raccontare lo sport: per una manciata di giri d’orologio, infatti, presta i suoi occhi all’ascoltatore, ricreando gesta, colori, odori, portandolo con l’immaginazione al centro del campo, al fianco dei campioni che si apprestano a scrivere una pagina di storia.
Di storie, Riccardo Cucchi ne ha raccontate per trentacinque anni, in giro per il mondo, e le ha raccolte in “Radiogol: Trentacinque anni di calcio minuto per minuto”.
Ecco la nostra intervista.
Come si è avvicinato Riccardo Cucchi al mondo del giornalismo sportivo e della radio? C’è un aneddoto legato ai Suoi esordi che vuole raccontarci?
Più che un avvicinamento è stato un percorso che ha mi ha accompagnato fin da quando, poco più di un bambino, la domenica mi affidavo alle voci di Carosio, Ameri, Bortoluzzi, e più tardi Ciotti e Provenzali, per vivere le emozioni del calcio. Alla radio.
Prima ancora di entrare in uno stadio conoscevo il colore dell’erba e delle maglie grazie alle loro straordinarie narrazioni. E provavo ad imitarli registrando la mia voce su un piccolo registratore, in tempi nei quali la tv non era ancora entrata a far parte delle abitudini delle famiglie italiane. Almeno non di tutte.
Coltivavo un sogno mentre studiavo alle medie, al liceo e poi all’Università. Non immaginavo di riuscire a realizzarlo.
E quando, un giorno mi sentii restituire la linea dallo storico conduttore di Tutto il calcio minuto per minuto Roberto Bortoluzzi, in una delle prime puntate alle quali partecipavo non più da ascoltatore, con un classico ” grazie Cucchi…” l’emozione rischiò di travolgermi.
La Sua avventura come radiocronista di “Tutto il calcio minuto per minuto” inizia sui campi di provincia della Serie B, come voce del Campobasso. Che rapporto ha con la provincia e cosa rappresenta per Lei?
Adoro la provincia, adoro quei luoghi dove i rapporti umani sono caratterizzati da valori autentici, dove le radici e le tradizioni sono più salde.
La RAI – sono stato assunto per concorso nel 1979 – mi inviò a Campobasso per farmi fare le “ossa”, per imparare i rudimenti di questo mestiere, con l’umiltà che caratterizza ogni ambiente lontano dalle grandi metropoli.
È stata un’esperienza intensa e formativa. E anche fortunata, dal momento che un Campobasso sorprendentemente promosso in B mi consentì di effettuare la mia prima radiocronaca: Campobasso-Fiorentina di Coppa Italia che si svolse in un torrido agosto.
La squadra molisana, sconosciuta ai più, vinse contro lo squadrone di Galli, Antognoni, Passarella, Bertoni e tanti altri.
Come nasce “Radiogol. Trentacinque anni di calcio minuto per minuto”? Vuole presentare il Suo libro ai nostri lettori?
Radiogol è innanzi tutto un atto d’amore. Un atto d’amore nei confronti della radio, del calcio, dello sport. Le mie passioni.
È un tentativo di dare una vita leggermente più lunga a quelle parole pronunciate per 40 anni al microfono, parole che duravano il tempo di essere ascoltate per poi svanire.
Radiogol (qui su Amazon e qui su Audible, ndr) è sostanzialmente un libro di narrativa, un libro che racconta storie. Storie vere, non inventate. Storie di partite, di atleti, di calciatori, di radiocronisti. E che accende la luce anche su ciò che c’è dietro un evento, una partita, un mondiale, un’Olimpiade. Dietro ad una radiocronaca. E che forse riporterà qualcuno a vivere ricordi. E non solo di calcio, ma di vita. Vita di ciascuno di noi.
Quali sono i libri che hanno maggiormente influenzato la sua formazione personale e professionale e perché?
Amo la narrativa. Quella di Cesare Pavese e de “La luna e i falò”; quella di Gabriel Garcia Marquez, Osvaldo Soriano ( “Triste solitario y final”), Eduardo Galeano che racconta le miserie e gli splendori del calcio; o i brani di autentica letteratura giornalistica che ci ha lasciato Gianni Brera. Ma non riesco a fare una graduatoria. Nella mia valigia non mancava mai un libro mentre giravo il mondo raccontando sport.
Fin dai tempi del dopoguerra, i campioni dello sport hanno rappresentato uno spaccato del nostro paese, basti pensare alla rivalità Coppi-Bartali: Fausto era definito “comunista”, mentre Gino era il “democristiano”. Qual è il Suo pensiero a riguardo? È vero, secondo Lei, che lo sport in certi momenti storici ha contribuito a mantenere unito il paese?
Intorno allo sport, come intorno a qualunque “storia”, c’è anche la leggenda, c’è anche il mito.
Del resto quale attività umana più dello sport, si presta a narrazioni “epiche”? L’eroe dello sport è un eroe moderno, capace – da uomo, da donna – di fare cose che altri uomini o altre donne non sono in grado di fare.
Non so se Coppi fosse comunista. Non so nemmeno se Bartali fosse democristiano. So che, entrambi, sono stati la fortuna di uno sport come il ciclismo.
Del resto agli italiani piacciono le rivalità. Da appassionato di lirica ricordo il dualismo tra la Callas e la Tebaldi per esempio. Ma anche Ameri e Ciotti sono stati in competizione. E di quella rivalità si è avvalsa la popolarità di Tutto il calcio minuto per minuto.
Gli italiani in fondo si uniscono quando “litigano”. Che parlino di sport, di politica o di pettegolezzi.
Ha partecipato come inviato a otto Olimpiadi e sei Mondiali di calcio, e ha raccontato inoltre 19 scudetti. Qual è il momento che Riccardo Cucchi ricorda con maggiore emozione della sua carriera da radiocronista?
Gridare “Campioni del Mondo” è un’occasione rara, unica, irripetibile. Prima di me alla radio Carosio gridò due volte quella frase: nel 34 e nel 38.
Nell’82 fu la volta di Ameri, in quella giornata che in Tv ebbe la voce di Martellini. Penso spesso che narratori dello spessore di Pizzul e Ciotti non hanno avuto questa possibilità. L’ho avuta io nella notte di Berlino del 2006. Una notte indimenticabile, la più bella della mia vita.
In conclusione, diamo uno sguardo alla Serie A: sarà, secondo Lei, un’altra stagione di dominio bianconero oppure potrebbero esserci sorprese, a partire dall’Inter di Conte? Per la Champions, invece, quale squadra vede come favorita?
La Juventus rimarrà la squadra da battere. Ma vedo un’Inter cresciuta e organizzata. Sono sicuro che anche il Napoli saprà essere competitivo.
In Europa sarà dura per le italiane. Il divario c’è, inutile negarlo. Ma la Juventus, pur non tra le favorite, potrebbe dire la sua. Vedremo. Anche perché sarebbe bello riportare una Coppa in Italia.
A Riccardo Cucchi va un sentito ringraziamento da parte della redazione di MentiSommerse.it
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