Joan Miró, il pittore che voleva assassinare la pittura, arriva al PAN con la mostra “Il linguaggio dei segni”, un tripudio di forme femminili, stelle e voli d’uccello. La mostra, che resterà al Palazzo delle Arti fino al prossimo febbraio, abbraccia l’intera carriera artistica di Joan Miró, con una straordinaria selezione di lavori provenienti dalla collezione del Museo Serralves di Porto e che comprende dipinti, disegni, sculture, arazzi, parole, opere e omissioni.

Il linguaggio dei segni: la mostra del PAN dedicata a Joan Miró

80 opere in totale, che offrono una visione quantomai completa del genio Surrealista nato nel cuore di Barcellona, a pochi metri da Plaça de Sant Jaume, uno dei più ferventi centri dell’ideologia indipendentista catalana, a cui è dedicata una serie di fotografie.

C’è davvero tutto il materiale necessario per osservare e comprendere l’evoluzione di un artista essenziale, che credeva nell’essenzialità, tanto che all’età di 67 lo si sentì dire:

“Più invecchio e più divento padrone del mio medium, più ritorno agli esordi della mia giovinezza. Penso che alla fine della mia vita ritroverò finalmente tutta la forza della mia infanzia!”

Colori brillanti, forme sfuggenti, ma anche il dolore delle bruciature e lo stringersi delle corde, tutto in Mirò è raccontare una storia, ma una storia piena di un surrealismo magico influenzato da Picasso, Cezanne e gli impressionisti, che si è nutrito anche di tanta letteratura.

“Per quanto mi riguarda, un dipinto deve generare scintille. Deve splendere come la bellezza di una donna, o una poesia.”

Al vernissage di ieri sono intervenuti Nino Daniele, assessore alla Cultura e al Turismo; Paula Silva, direttore generale del Patrimonio Culturale del Ministero della Cultura portoghese; Ana Pinho, presidente della Fondazione Serralves; Francesca Villanti, direttore scientifico C.O.R. Creare Organizzare Realizzare; Robert Lubar Messeri, Curatore della mostra

Cinque curiosità su Joan Miró

Joan Miró è stato testimone di tutta la storia del XX secolo, e tutta l’ha tradotta alla sua maniera nella sua arte. Ma ci sono anche alcune storie, quelle personali, che forse non sono così conosciute… Scopriamone un paio, prima di avventurarci tra i colori e le forme della mostra al PAN (qui i dettagli sul sito del Comune di Napoli)!

#1 – Joan Miró rischiò di diventare… un commercialista!

Nonostante abbia preso in mano per la prima volta un pennello estremamente giovane, a 7 anni, i suoi genitori speravano per lui in una carriera nella finanza. Dopo aver passato due anni alla facoltà di economia, dunque, Miró trovò un lavoro sicuro alla scrivania di un commercialista. Animo indomabile, però, non gli riuscì di adattarsi ad un lavoro d’ufficio, e pochi mesi dopo soffrì un terribile crollo nervoso. Perché si riprendesse in tranquillità, fu mandato nella casa di famiglia a Mont-roig del Camp, e qui, nella convalescenza, si dedicò a tempo piena alla sua passione – la pittura. Fu solo naturale che lasciasse la carriera finanziaria per iscriversi all’Accademia di Belle Arti, al suo rientro.

#2 – La Spagna rise della sua prima mostra

La sua prima personale Miró la tenne nel 1918 alla Dalmau Gallery di Barcellona, e fu trovata assolutamente ridicola e pretenziosa sia dal pubblico sia dalla critica. Alcuni visitatori arrivarono addirittura a danneggiare alcune delle tele esposte. Le sue inclinazioni cubiste e surrealiste erano mal viste in Spagna, e la sua cattiva fama in madrepatria lo costrinse a trasferirsi a Parigi nel 1920, dove trovò poi la sua fortuna.

joan miro presentazione pan

#3 – Joan Miró, il più surrealista di tutti

Joan Miró dichiarò di voler “assassinare la pittura” quando si accorse che i media artistici tradizionali (la pittura figurativa, il senso immediato tra segno e significato) avevano ormai esaurito il loro potenziale: c’era bisogno di altro. Fu tra i primi ad utilizzare la tecnica del disegno automatico e ad esplorare le possibilità del surrealismo, tanto da essere definito da André Breton “il più surrealista di tutti noi”. Ad ogni modo, nel 1926 lo stesso Breton lo additò anche come “traditore della classe”, per aver preso parte assieme a Max Ernst alla realizzazione di una rappresentazione di Romeo e Giulietta del balletto russo di Sergei Diaghilev, considerata eccessivamente borghese.

#4 – Arte e amicizie

Joan Miró ebbe un numero di amicizie particolarmente brillanti a cui fu d’ispirazione: Jacques Prévert gli dedicò una poesia e di lui scrisse: “un innocente col sorriso sulle labbra che passeggia nel giardino dei suoi sogni”; amante del jazz, nel 1966 a Saint Paul-de-Vence, Miró conobbe Ella Fitzgerald e Duke Ellington, che scrisse per lui Blues for Joan Mirò; infine, uno dei migliori amici del pittore catalano fu Ernest Hemingway, col quale si allenava a tirare di boxe nei weekend e che comprò il suo dipinto The Farm nel 1922 come regalo per la propria moglie, pagandolo la cifra enorme di 5.000 franchi. Ne disse, poi: “Ha dentro tutti i sentimenti che provi per la Spagna quando sei lì e tutti quelli che provi quando ne sei lontano. Nessuno prima era mai riuscito a dipingere due sensazioni così opposte tra loro”.

Joan miro pan

#5 – Micro… e macro

In molti dei suoi dipinti si possono ritrovare delle sagome che evocano la forma di cellule e particelle: dipingendo la realtà microscopica, Miró cercava di portare l’attenzione sulle minuscole molecole che compongono l’anima dell’essere umano e la sua identità; allo stesso tempo, alcuni dei suoi lavori ispirati all’astrattismo  sembrano rappresentare le forme dell’intero universo, e spesso Mirò creò tele sulle quali convivono i segni cellulari e universali, con l’intento di mettere lo spettatore davanti allo spettacolo del cosmo che ci contiene, ma anche di quello che siamo noi stessi: siamo stelle anche noi, alla fin fine, pare suggerirci.

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