When it hasn’t been your day, your week, your month
or even your year, but I’ll be there for you…
Il 22 Settembre del 1994 avevo 7 anni, non avevo idea di cosa esistesse oltre ai compiti, a Roberto Baggio, ai cartoni animati di Bim Bum Bam, e non sapevo chi fosse quel tizio dal forte accento milanese che tutti avevano pericolosamente sottovalutato qualche mese prima quando aveva deciso di “scendere in campo”.
Nel frattempo, negli Stati Uniti, la NBC trasmetteva la prima puntata di Friends, l’ennesima sit-com da dare in pasto alla famiglia media americana, già da tempo fossilizzata sui divani in attesa di scoprire chi avesse sparato a JR, o di sbavare su un altro episodio di Seinfield. Un gruppo di amici che vive a New York condivide sfighe e gioie varie legate al loro lavoro, alle loro storie d’amore, al disagio sociale. Sai che novità… Eppure, eccoci qua, venticinque (VENTICINQUE!) anni dopo, a parlare di quello che da molti addetti ai lavori è considerato il più inaspettato fenomeno televisivo della storia. In Italia arriva in ritardo di circa 4 anni, e nonostante un doppiaggio e un adattamento pessimi almeno fino a metà serie, ad oggi è il programma non italiano più replicato sulla nostra TV, uno dei pochi ad aver avuto almeno un passaggio su tutte le principali reti televisive in chiaro, digitali e satellitari. Prendi questa, Jessica Fletcher!
Come è stato possibile che una “semplice” sit-com abbia valicato i confini dello spazio-tempo, diventando un fenomeno culturale così potente per almeno due (finora) generazioni?
Partiamo specificando che ciclicamente in TV si verificano fenomeni simili. Produzioni che alzano l’asticella, sceneggiature nate con intenti usuali e canonici, ma che si rivelano successivamente delle pietre miliari da cui ripartire e riscrivere le regole. Perché da quel momento in poi tutto cambia e non si può più tornare indietro, pena un’infinità di paragoni persi in partenza, la cancellazione di stagioni lasciate a metà, e archivi colmi di puntate zero registrate a vuoto. Da Happy Days a Breaking Bad, parliamo di veri terremoti televisivi per i quali sembra che il tempo non passi mai, e che riguardi con piacere ogni volta che te ne viene voglia o che becchi una replica in tv, senza sentirti in colpa per quella serie nuova di zecca da finire al più presto per stare al passo con le segnalazioni di Netflix. Friends è senza dubbio uno spartiacque televisivo, nello specifico del genere sit-com, per diversi motivi che ancora oggi lo rendono uno degli show televisivi più visti nella storia, contando anche repliche e streaming.
Un manuale di scrittura comica. Si parte da un’accuratissima assegnazione dei ruoli, tanto accurata da essere formalmente sbagliata in base ai canoni dell’epoca. Lo schema classico della sit-com americana prevedeva dei ruoli comici ben definiti, talvolta stereotipati. Tradotto: Willy era il ragazzo figo e divertente, mentre lo zio di Willy era il padrone di casa ben vestito e paternale, Francesca era la tata figa ma sbadata, mentre il signor Sheffield l’aristocratico tutto d’un pezzo, Fonzie era divertente ma altezzoso, Steve Urkel era il coglioncello maldestro, Cliff Robinson era il capo-comico di una famiglia che gli faceva interamente da spalla. Insomma ci siamo capiti (e intendo anche sul fatto che se non conoscete anche solo uno di questi personaggi, non meritate il mio saluto). In Friends lo schema viene riformulato, a tratti sovvertito. Gli esempi sono molteplici. Si va dalla tontaggine di Joey, che invece dovrebbe sprizzare da ogni poro la classica spocchiosa sicurezza da playboy pur essendo il diretto precursore di Barney Stinson, alla goffaggine slapstick di Ross, l’uomo di scienza pieno di passione confinato in un fisico da brontosauro in un negozio di specchi. Ognuno dei sei amici è caratterizzato in modo ben preciso, senza mai sconfinare nel ridicolo (vedi la “stranezza” di Phoebe o le manie ossessive di Monica).
Se volete far esplodere la testa a un fan di Friends basta una domanda:
“chi è il tuo personaggio preferito?”.
Sei personaggi praticamente tutti protagonisti, totalmente interscambiabili tra loro nell’arco delle trame, senza preferenze nei rapporti ma sempre sullo stesso livello di relazione, con uno scambio continuo di ruoli comico/spalla che li rende amabili e divertenti tutti allo stesso modo, seppur per i motivi più diversi a disparati. Un legame di amicizia indissolubile, equamente distribuito, tanto profondo da essere rappresentato persino da un easter egg: in ogni puntata della serie viene pronunciata la parola Friend.
Grande merito, oltre che ai creatori Kauffman e Crane, va dato senza dubbio agli attori. Un cast così affiatato e agile sul palco è raro da trovare. Livelli altissimi di messa in scena, tempi comici perfetti, senza fronzoli, una recitazione credibile anche negli eccessi. Un puzzle incredibilmente dettagliato di sfaccettature, movimenti, caratterizzazioni, dove persino i tormentoni non danno fastidio, perché tutto funziona, tutto fa ridere nello stesso modo, tanto. E quando non si ride, si riflette o ci si commuove, perché questi ragazzi non si fanno mancare niente.
La semplicità di questa serie è disarmante in relazione al successo che ha avuto. Un modo di fare televisione in totale antitesi con il concetto di targetizzazione del pubblico che tanto piace ai network di oggi, che producono pensando solo a quale fascia di portafogli intercettare. Friends è per tutti, ma nell’accezione più nobile possibile. Entra nelle case con facilità attraendo varie fasce di età, diventando divertente e interessante per chiunque sia nato tra gli anni ’70 e i primi del 2000. Questo accade perché le connotazioni temporali sono minime, non si sente il peso del tempo perché i personaggi stessi non ne risentono. Una puntata scritta nel ’99 potrebbe benissimo essere girata e mandata in onda oggi, e nessuno se ne accorgerebbe. Emblematica, in tal senso, la totale assenza di riferimenti all’11 settembre (appena un cartello-dedica sui titoli di coda della puntata andata in onda la settimana successiva) nonostante la serie sia ambientata e saldamente legata a New York.
Anche per questo è lo show che risente meno delle continue repliche televisive, nonostante i ripetuti passaggi di diritti tra le varie reti, in Italia e nel Mondo. L’unico che nonostante sia nato in TV, ha sconquassato il mondo delle piattaforme di streaming, con Netflix costretta addirittura a prolungare i diritti di permanenza, sommersa da e-mail e telefonate di gente che non avrebbe sopportato la cancellazione della serie dalla piattaforma, prevista per quest’anno e rinviata al 2020. Alla faccia dei 20 miliardi di dollari spesi per gli Originals solo nel 2019!
Non è la solita nostalgia. Non parliamo di qualcosa che ci manca e che vorremmo non finisse mai. Insomma, non si sta parlando delle Spice Girls. Nessuno chiede a gran voce una nuova stagione o una reunion, perché l’unicità di questa serie tv è palpabile puntata dopo puntata, e l’emozione di rivederli insieme viene subito sopita dalla saggezza di chi sa che quelle voci, quella casa, quelle storie, oggi risulterebbero del tutto fuori contesto, e gli attori per primi hanno sempre sposato questa teoria. Friends funziona perché è (o nonostante sia) finito. Non si tratta di quel film che ti rimanda a quando eri bambino o di quell’odore che ti ricorda i pranzi dalla nonna dopo la scuola. Friends è altro. Guardare un episodio equivale a stare in compagnia di amici che rivedi ogni tanto, e con i quali sei sicuro che ti divertirai, perché avranno sempre qualcosa di bello da raccontare o un’esperienza da condividere insieme. Loro saranno lì per te…