Esistono fondamentalmente due scuole di pensiero, quando parliamo di scrivere: ci sono quelli secondo i quali la scrittura è un dono piantato nell’anima come una foresta primordiale, che non ha bisogno di alcun aiuto esterno, cresce perché semplicemente c’è; e poi ci sono quelli che credono nello studio, nella scrittura come miniera da cui estrarre qualche raro diamante con il sudore della fronte… e della mano!
Io sono da qualche parte nel mezzo, credo nella parola come muscolo e nella scrittura come esercizio però, certo, c’è chi all’esercizio nasce con una certa predisposizione e chi riesce giusto ad alzarsi dal divano per andare al frigo a sollevare bottiglie di birra! Credo nella necessità di una disciplina radicata nella capacità innata, insomma: mi do da seguire delle regole.
Meglio se semplici, poche e ironiche come le otto che elenca Kurt Vonnegut nelle sue regole per una storia breve:
- “Ricorda di fare in modo che il totale sconosciuto che ti legge non pensi che il tempo che ti ha dedicato sia totalmente tempo perso.
- Dai al lettore almeno un personaggio per cui possa fare il tifo.
- Ogni personaggio dovrebbe volere qualcosa, foss’anche un bicchiere d’acqua.
- Ogni frase dovrebbe fare una di due cose – rivelare qualcosa sul personaggio o portare avanti l’azione.
- Comincia quanto più vicino alla fine è possibile.
- Sii sadico. Non importa quanto dolce o innocente sia il tuo protagonista, fa in modo che gli succedano cose tremende, così che il lettore possa comprendere di che pasta è fatto.
- Scrivi con un’unica persona/lettore in mente. Se apri una finestra e fai l’amore col mondo intero, per così dire, prenderai la polmonite.
- Dai al lettore quante più informazioni possibile nel minor tempo possibile. Al diavolo la suspense! Il lettore dovrebbe sapere così perfettamente quello che succede da poter terminare loro stessi la storia, dovessero gli scarafaggi mangiarsi le ultime pagine.”
Queste regole di forma sono state accompagnate, nel tempo, da nuove regole di stile che, per uno scrittore tanto fantasioso e libero come Vannegut, potrebbero suonare restrittive. In realtà, come spiega lui stesso, un’applicazione personale di queste regole, lungi dal creare una scrittura conformista, porterebbe a rivelare il proprio stile personale:
“I reporter e i giornalisti sono abituati a non lasciar trapelare nulla di loro stessi nella loro scrittura, il che li rende delle strane creature per la comunità degli scrittori, perché anche l’ultimo di questi straccioni macchiati d’inchiostro non possono evitare di rivelare ciò che sono alla loro platea di lettori: noi chiamiamo queste rivelazioni, più o meno accidentali, il nostro stile.
E perché osservare il nostro stile con l’idea di migliorarlo? Diciamo che bisogna farlo come atto di rispetto nei confronti dei nostri lettori. Se scarabocchi i tuoi pensieri così come vengono, sicuramente chi ti legge penserà che non ti importi niente di lui. Penserà che tu sia un egocentrico narciso o, peggio, smetterà di leggerti!
La più grande rivelazione che puoi fare di te stesso è ammettere di non sapere cosa può essere interessante e cosa no. Tu stesso non apprezzi quegli scrittori che ti fanno pensare a qualcosa autonomamente, più di quelli che decidono di mostrati qualcosa? Per cui, nel tuo stile c’è bisogno innanzitutto che ci siano idee!”
E dunque, per finire, Vonnegut elenca altre otto regole, otto regole per lo stile dei grandi scrittori, direttamente indirizzate ai grandi scrittori di domani:
- Trova un argomento che ti stia a cuore: e non parlo solo di scrivere un racconto, anche se sarei molto contento se lo facessi. Anche una petizione al sindaco per la riparazione di una strada o una lettera d’amore alla ragazza della porta accanto possono andare!
- Non divagare, però: e a riguardo non divagherò.
- Sii semplice: ricordati che geni del tipo di Shakespeare o Joyce hanno scritto frasi di infantile semplicità che sono rimaste nella storia come capolavori di letteratura – essere o non essere?
- Abbi il coraggio di tagliare: potrebbe anche darsi che tu abbia tanto da dire e sappia dirlo benissimo, ma ricorda sempre che la tua eloquenza dev’essere al servizio della tua idea. La regola potrebbe essere questa: se una frase, non importa quanto ben scritta, non getta nuova luce sull’argomento, tagliala.
- Scrivi come parli: fortunati quegli scrittori che sono nati irlandesi, dove l’inglese è una lingua musicale e piena di orpelli. Io, al contrario, sono nato ad Indianapolis, dove la lingua suona come il filo arrugginito di una sega e il vocabolario è più spoglio del trespolo di una scimmia. Eppure, mi rendo conto che mi fido molto più di quello che scrivo, e così il lettore, se lo scrivo così come se stessi parlando da uomo di Indianapolis. D’altronde, che alternative ho?
- Scrivi esattamente quello che vuoi dire: e qui s’infrange il mio desiderio di fare con le parole quello che Picasso faceva con le forme o quello che i miei idoli jazz fanno con la musica. Se scrivessi con una punteggiatura tutta mia, o usassi parole per significarne altre, non importa quanto il risultato possa essere bello, non sarei comunque capito. Se hai da scrivere qualcosa che valga la pena essere letto, sii preciso.
- Abbi pietà del lettore: il lettore deve identificare migliaia di piccoli segni su un pezzo di carte. Deve leggere, un’arte così incredibilmente difficile che tanta gente non arriva a padroneggiarla se non dopo aver studiato per lunghi e difficili anni. Per cui, le nostre scelte di stile dovrebbero tener conto dello sforzo che richiediamo. E questa è la brutta notizia. La buona, invece, è che viviamo in un mondo che ci permette di scrivere su qualunque argomento senza paura di essere puniti, e per questo le nostre scelte d’argomento sono illimitate.
- Per ulteriori consigli, vi rimando alla lettura sullo stile di E.B. White. Tieni conto, comunque, che se White non avesse avuto meravigliose cose da scrivere, a niente gli sarebbe servito uno stile impeccabile!
Marzia Figliolia