Avevamo tutti tra i dodici e i quindici anni quando all’ombra delle Vele iniziò a diffondersi un qualcosa di nuovo.
Era il periodo in cui non esisteva Spotify, YouTube era uno strumento per pochi eletti, le canzoni entravano nelle case tramite le compilation acquistate al mercato o i primi file scambiati con il bluetooth del cellulare.
Se siete stati nei corridoi di una scuola del sud tra il 2005 e il 2009, sicuramente le parole “Ce truov int o’ rione/nun me sent’ bbuono mamma’/che me succer’” vi riporteranno con la mente a quei momenti.
Si tornava da scuola e si passavano ore a cercare di capire tutte le rime scritte da due giovanotti che avevano da poco pubblicato il primo disco.
Potrebbe sembrare la classica frase fatta, ma è così: era un mondo totalmente diverso, anche per il rap, che non era di certo il genere più diffuso, quando Luche ha iniziato a farlo in una piccola stanza di casa sua.
Vuoi per motivi linguistici, perché il napoletano è una lingua che ha una musicalità per certi versi anche superiore a quella dell’inglese, vuoi per ragioni sociali, perché è una delle poche città con una street credibility molto vicina a quella del bronx che andava in fiamme, vuoi per l’esigenza di cose da dire e da far sapere, a Napoli, fin dai tempi in cui Enzo Avitabile ha incontrato Afrika Bambaataa, il rap ha trovato la sua casa.
Quello di Ntò e Luche, però, era un rap nettamente in controtendenza rispetto a quello che si era ascoltato fino a quel momento: scevra da qualsiasi aspetto politico, tanto da arrivare a chiedersi “ma i Co’ Sang da che parte stanno?”, capace di rappresentare non la strada, ma chi la vive ogni giorno.
Sono passati dieci anni dall’uscita di “Vita Bona”, di vicende ne sono successe tante e la storia dei Co’ Sang e della poesia cruda ve l’abbiamo già raccontata, per cui non ci perderemo in dettagli, ma questa introduzione era necessaria.
Sì, perchè Luca Imprudente è un rapper che va ben oltre la moda del momento, i dissing su instagram e le autocelebrazioni che durano una manciata di secondi per poi essere dimenticate dopo un giorno.
L’INNOVAZIONE DI LUCHE
Luche è uno che del rap, piaccia o meno, ha scritto la storia e ha rivoluzionato il genere, avendo il coraggio di puntare sulla trap prima d’ogni suo collega in Italia.
Avevate mai sentito quel sound prima di GVNC, in feat con Marracash, in Italia? No, ma non solo: ha dimostrato che si possono fare rap e trap anche intonando le strofe e i ritornelli, senza nessuna doppia dal vivo e senza ricorrere a un uso massiccio fino alla nausea di autotune. Che fa parte del suono, certo, non è vietato utilizzarlo, ma spesso finisce per appiattire tutte le tracce di un disco se ne si fa un uso sconsiderato.
Luche ha una sua storia, che parte da lontano, e in pochi possono vantarsi di questo privilegio, e ha una capacità di scrittura che gli consente di passare dal pezzo strettamente autocelebrativo al pezzo più introspettivo e toccante con una facilità incredibile.
Ha un vissuto particolare, porta sulla sua pelle e nella sua anima i segni della periferia, non ha bisogno di inventarsi nulla né di recitare una parte.
D’altronde, non puoi scrivere canzoni come “Il mio ricordo”, “Lieto fine”, “Quando non ero nessuno”, se non hai vissuto in prima persona certe esperienze.
POTERE: LUCHE, IL RE DI NAPOLI
Ha fatto trend, pur avendo tutta la scena costantemente contro, pur prendendosi una quantità enorme di accuse – spesso anche gratuite e infondate – al momento dello scioglimento dei Co’ Sang, è partito con poche decine di persone ad assisterlo durante i suoi primissimi live da solista.
Ci ha creduto, ha lavorato duro, è cresciuto artisticamente. Si è preso la sua rivincita.
Si è autoproclamato Re di Napoli, come molti dei suoi detrattori sostengono? La domanda dovrebbe essere un’altra: chi ha i numeri, la costante voglia di ricerca e innovazione e, soprattutto, una penna da usare come spada per potergli contendere il trono?
Ai posteri l’ardua sentenza, noi la risposta la conosciamo.