Gira e rigira, si finisce sempre per fare i conti con il Boss. Non quello degli stadi pieni di folla, del “one…two…one, two, three, four…” che introduce la centesima canzone di una maratona musicale di quattro ore. Quando tutti sono stanchi tranne lui. «Questo album è un ritorno alle mie registrazioni da solista, con canzoni ispirate ai personaggi e con travolgenti, cinematografici arrangiamenti orchestrali. È un gioiello di disco», ha dichiarato l’autore. Chi meglio dello stesso Bruce Springsteen potrebbe descrivere Western Stars, diciannovesimo album e primo di inediti dopo Wrecking Ball del 2012?
“WESTERN STARS”, IL VIAGGIO DI BRUCE SPRINGSTEEN LUNGO LA WEST COAST
Più che un disco, dovremmo parlare di un road movie, di un viaggio lungo la West Coast americana, ambientato a cavallo tra gli anni 60’ e 70’. Un’America che non c’è più, un paese che ha pensato di farcela ma che si è ripiegato sul suo stesso sogno. E’ un disco in cui il Boss fa i conti con quello che è rimasto della grande epopea a stelle e strisce, del mito incarnato dalla sua stessa persona. Un figlio di immigrati olandesi e italiani che ce l’ha fatta, diventando simbolo e idolo di due generazioni.
L’America di Western Stars – qui su Spotify – è un luogo in cui non ci sono più sogni e ideali, dove la ricerca di nuovi spazi è stata abbandonata per tornare indietro. Alla ricerca di sé stessi, di un luogo sicuro. La musica come metafora di un viaggio di redenzione dopo una sconfitta, tra panorami desertici, lunghe autostrade e vallate infinite. Tredici storie, in parte autobiografiche. Tredici racconti a cavallo tra speranza, disillusione, ricordi amari e vecchi eroi malinconici.
Non c’è la E-Street Band: ci sono Bruce, la sua chitarra e i suoi eleganti arrangiamenti orchestrali, che si alternano ai momenti più introspettivi e struggenti. Archi, fiati, celesta, moog e farfisa, più di venti musicisti in studio, artisti come David Sancious, Charlie Giordano e Soozie Tyrell.
Il disco inizia con l’arpeggio delicato di Hitch Hikin’, viaggio di un autostoppista senza meta. The Wayfarer è la storia di un venditore ambulante che vaga di notte di città in città. When everyone’s asleep and the midnight bells sound My wheels are hissin’ up the highway, spinning ‘round and ‘round.
Tucson Train racconta l’attesa della donna amata alla stazione del treno. La ritmica minimale si intreccia con l’ampio respiro degli archi, la stanchezza di una vita e la speranza di un avvenire migliore percorrono la stessa strada. La title-track è il racconto di un vecchio eroe del west che non riesce a riconoscersi nel mondo di oggi, ma che non ha mai perso il suo spirito. Perché sa che the western stars are shining bright again. Dopo l’allegra ballata di Sleepy Joe’s Café, il disco entra nel vivo con l’emozionante racconto di Drive fast (The Stuntman) e Chasin’ Wild Horses, in cui il disperato protagonista fa i conti con la fatica ed il dolore di una vita.
La redenzione inizia con Sundown (I drift from bar to bar, here in lonely town Just wishing you were here with me). Prosegue con la confessione di Somewhere North of Nashville (I lie awake in the middle of the night Makin’ a list of things that I didn’t do right). E si conclude con Stones, potente metafora dei sassi in bocca come punizione per le menzogne. La speranza in un domani migliore si apre con There goes my miracle e i suoi imponenti arrangiamenti, per concludersi con Hello Sunshine (con la chiarissima eco di Love is in the air). Il viaggio termina con Moonlight Motel, metaforico luogo in cui si ritrovano le confortanti sicurezze della quotidianità.
Non è il disco che vi farà ballare, che potrete ascoltare durante un allenamento o mettere su nei momenti di rabbia. Ma vi farà capire che certi grandiosi sogni a stelle e strisce possono essere molto pericolosi.