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Gomorra napoli
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Napoli ha bisogno d’amore, ma soprattutto di verità

Napoli, per una parte dei suoi cittadini, ha un costante bisogno di due cose: un capo popolo e un nemico contro cui scagliarsi, sbagliando spesso la mira.

Il caso di Saviano è eclatante: tanti credono che il problema sia lo scrittore, non riuscendo a focalizzare la propria attenzione su quello che è il problema reale, che è poi raccontato alla perfezione nei suoi scritti.

Chi vi scrive ritiene Gomorra un prodotto d’eccellenza, uno di quelli che da anni non veniva realizzato in città. Ha dato la giusta ribalta internazionale ad attori come Fortunato Cerlino, Marco D’Amore – eccellente anche nei panni di regista -, Cristiana Dell’Anna, Arturo Muselli, Salvatore Esposito, senza dimenticare le meravigliose Maria Pia Calzone e Cristina Donadio, in attesa di scoprire i volti nuovi della prossima stagione, in cui potrebbero avere un ruolo determinante Daniela Ioia e Ivana Lotito.

Chiariamo subito una questione: non è Saviano il problema se a Napoli una bambina, mentre sta tranquillamente passeggiando al centro della città, si trova a lottare tra la vita e la morte perché un proiettile le perfora entrambi i polmoni. Non era nel momento sbagliato al posto sbagliato, perché certe cose non dovrebbero succedere. Non è Saviano il problema, né la sua scorta – che non è un merito, ma una necessità – se la Camorra non ha problemi a manifestarsi davanti a una scuola, che dell’anticamorra dovrebbe essere il baluardo per eccellenza, o se esplodono bombe nel cuore della notte sulla soglia dell’ingresso di uno dei più noti locali del centro storico.

Fatevi qualche domanda: il problema da affrontare è “La paranza dei bambini“, intesa come ultimo lavoro dello scrittore partenopeo, o il fenomeno delle baby gang? È davvero “Gomorra” a indurre un fenomeno di emulazione o i ragazzini, soprattutto quelli che risiedono in certe zone, hanno costantemente davanti agli occhi la controparte reale di “Enzo sangue blu” dalla quale deriva la serie trasmessa da Sky?

Le risposte sono fin troppo banali e scontate. Se in certi passaggi non emerge il “bene“, è perché evidentemente il bene, in determinati contesti – non zone, sia chiaro, perché ci sono comitati e associazioni che combattono contro tutto e tutti per difendere i diritti dei cittadini onesti – non esiste affatto. Lo si evince dal finale di ognuna delle quattro stagioni: non esistono legami, di amicizia o di sangue, non esistono valori, non esistono vincitori. Si è tutti sconfitti, l’unica cosa che cambia è il momento in cui la sconfitta arriva. Perché arriva, è evidente, anche se si è sempre stati fedeli a certe logiche, anche senza passi falsi. Anche se, secondo certe assurde logiche, non hai mai tradito.

Sarebbe il caso di finirla anche con la storia del racconto di una Napoli sempre e solo sbagliata, sia perché – piaccia o no – Gomorra racconta una delle due facce della medaglia, sia perché di esempi positivi della napoletanità ne sono stati raccontati tanti: basti pensare a “Come figli miei“, puntata speciale de “I dieci comandamenti” di Domenico Iannacone che mostra come una scuola possa essere un presidio di legalità in una terra come il Parco Verde di Caivano, oppure alla “Napoli Velata” di Ozpetek, “L’amica geniale”, “I bastardi di Pizzofalcone” e gli speciali di Alberto Angela su Pompei.

Napoli ha bisogno di amore e non di fango, come recitava uno striscione appeso al centro della città pochi giorni dopo l’uscita di uno dei libri di Roberto Saviano? Verissimo, ma Napoli ha bisogno soprattutto di verità e di voglia di cambiare le cose, di orgoglio da non tirar fuori nelle occasioni che contano davvero.

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